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Ambiente

“Serve più selvi-Cultura”: oltre venti sigle del settore forestale firmano un Manifesto per chiedere una gestione dei boschi “più vicina alla natura”

In occasione della Giornata internazionale delle foreste, che si celebra il 21 marzo, la rivista tecnico-scientifica “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” ha lanciato un Manifesto, sottoscritto da numerose organizzazioni del settore forestale, per chiedere che la selvicoltura naturalistica proposta nei documenti e nelle strategie internazionali sia messa in pratica in tutto il territorio nazionale. La parola d’ordine è “cultura”, o meglio, “selvi-CULTURA”

 

di
Luigi Torreggiani
21 marzo | 13:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Una delle “idee guida” della Strategia Forestale Nazionale, che l’Italia si è data dal 2022, è di “non produrre di più, ma produrre meglio”.

Che cosa significa? Il nostro Paese è coperto per più di un terzo (il 37% circa) da foreste molto diversificate, che assolvono a numerose funzioni: dalla conservazione della biodiversità allo stoccaggio del carbonio, dalla produzione di materia prima (legno) e prodotti selvatici, alle valenze paesaggistiche e turistico-ricreative. Per garantire una gestione multifunzionale di questa risorsa una parola chiave è senza dubbio “gestione”, cioè conoscere, pianificare e progettare le attività da svolgere (o da non svolgere) nelle varie foreste in base alle loro caratteristiche peculiari e cercando di tenere assieme - sulla stessa area boscata o a scala di paesaggio - le esigenze ambientali, sociali ed economiche.

 

A guidarci verso il raggiungimento di una buona gestione, oltre alla Strategia Forestale Nazionale, ci sono grandi documenti strategici internazionali, come la Strategia Forestale Europea e la Strategia Europea sulla Biodiversità, ma anche linee guida più specifiche, come quelle pubblicate di recente sulla “gestione forestale Closer-to-Nature” (più vicina alla natura). Questo documento, redatto dalla Commissione insieme ad un gruppo di grandi esperti internazionali, esorta gli Stati membri (in particolare quelli del Nord Europa, dove la gestione dei boschi ha un’impronta più produttiva) a introdurre buone pratiche per avvicinare le foreste a una condizione di maggiore naturalità.

 

“In un contesto di crisi climatica globale, l’uscita di questi documenti ci ha spinto a riflettere su come metterne in pratica i princìpi anche in Italia”, spiega Paolo Mori, direttore della rivista tecnico-scientifica Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi, che in occasione della Giornata internazionale delle foreste 2024 ha pubblicato un Manifesto, creato insieme al proprio Consiglio editoriale, per chiedere un cambio di passo culturale nella selvicoltura in Italia.

 

 

Ma cosa significa “selvicoltura”?

 

Una definizione tanto semplice quanto calzante è stata recentemente pubblicata sul sito della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale - SISEF.

“La selvicoltura”, scrive Renzo Motta, docente di questa materia all’Università di Torino e Presidente SISEF, “è la scienza che studia l’impianto, la coltivazione e l’utilizzazione dei boschi, con l’obiettivo di soddisfare le nostre esigenze economiche e sociali, nel rispetto delle caratteristiche ecologiche degli ecosistemi forestali”.

 

E come viene praticata la selvicoltura nel nostro Paese?

 

“Negli ultimi anni in Italia sono stati fatti molti passi in avanti nei campi della governance, della normativa, della raccolta dati, della comunicazione, dell’associazionismo e dello sviluppo di filiere nazionali del legno”, si legge sul Manifesto di Sherwood, “tuttavia, uno degli aspetti fondamentali che ancora manca è l’adeguamento culturale e operativo del settore forestale italiano all’applicazione della selvicoltura. È indubbio, infatti, che per promuovere una gestione forestale più vicina alla Natura che sia innovativa e capace di generare servizi ecosistemici impattando il meno possibile su habitat, specie, suolo e paesaggio, occorra affinare gli interventi selvicolturali, quindi le conoscenze e le sensibilità di tutti gli attori che operano in questo ambito specifico”.

 

In Italia esistono già, indubbiamente, grandi eccellenze: intere valli, province o regioni in cui la selvicoltura naturalistica è attuata da tempo attraverso buone pratiche consolidate. Ma in molte altre aree, nonostante leggi e regolamenti abbiano permesso negli ultimi decenni l’incremento e la conservazione del patrimonio forestale (i boschi italiani sono quasi raddoppiati nell’ultimo secolo), manca ancora quel passo in più auspicato dai grandi documenti strategici.

 

Si percepisce una notevole distanza tra la selvicoltura predicata nei documenti internazionali e nazionali, frutto delle attività di ricerca e di buone pratiche, e la selvicoltura praticata nella gestione ordinaria di parte del patrimonio forestale”, sottolinea Paolo Mori, “se è normale che tra la conoscenza più avanzata e quella che viene tradotta sul territorio ci sia una certa distanza, il fatto che ci ha spinto a produrre il Manifesto è la diffusa mancanza di una cultura dell’aggiornamento costante degli attori della gestione forestale”.

 

Per questo, all’interno del Manifesto, è stato coniato un termine simbolico: “selvi-CULTURA”.

 

 

“La selvicoltura che viene praticata nel patrimonio forestale italiano non dipende da una sola categoria di operatori, ma da un ampio insieme di soggetti che devono lavorare insieme, ognuno con il proprio ruolo e le proprie competenze”, sottolinea Mori, “si parte da chi forma tecnici e operatori per passare ai legislatori, ai tecnici pubblici, ai liberi professionisti, agli imprenditori, agli addetti al controllo fino a chi si occupa di monitoraggio, informazione e comunicazione. Tutti dovrebbero avere la cultura dell’aggiornamento e la capacità di tradurla in scelte coerenti e consapevoli, finalizzate a soddisfare, con il minor impatto possibile sull’ambiente, le esigenze di ogni categoria di persone. Per questo abbiamo voluto scrivere il Manifesto. Per dire a gran voce che ci serve più selvi-CULTURA, in almeno dieci ambiti specifici”.

 

Il Manifesto, disponibile integralmente sul sito della rivista, elenca i dieci ambiti d’intervento indicando, per ciascuno, le priorità.

 

Tra i primi sottoscrittori del Manifesto un ampio ventaglio di portatori d’interesse del settore, dagli schemi di certificazione forestale - FSC e PEFC - all’Associazione nazionale delle imprese boschive, passando per Legambiente, l’Accademia dei Georgofili, varie Fondazioni, Associazioni di categoria e gruppi che da decenni promuovono una “selvicoltura prossima alla natura”, come Pro Silva Italia, che fa parte di Pro Silva Europa.

 

“Il Manifesto uscito oggi, in occasione della Giornata internazionale delle foreste, rappresenta solo una prima versione”, conclude il direttore di Sherwood, “da oggi e fino al 30 aprile chiunque potrà inviarci i propri commenti per migliorarlo e altre associazioni, gruppi o istituzioni potranno sottoscriverlo. Auspichiamo che sia il più condiviso possibile”.

 

Il futuro delle foreste italiane, sembra di leggere tra le righe del Manifesto, non potrà essere guidato dall’incuria, dall’abbandono o dalla gestione improvvisata di vasti territori delle nostre aree interne, come spesso accade oggi. Al contrario, negli scenari futuri dettati dalla crisi climatica e dalla necessaria transizione ecologica occorrerà gestire più attivamente, ma in modo capillare, un patrimonio enorme come quello forestale, agendo in un’ottica di multifunzionalità. Farlo ancora meglio di oggi, seguendo le buone pratiche esistenti, le innovazioni, le indicazioni della scienza e con molta più “selvi-CULTURA”, ci permetterà di camminare in equilibrio in un contesto ambientale, sociale ed economico in continuo e rapido mutamento.

 

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