Perchè il futuro delle Alpi e degli Appennini dipende anche da quello del Mediterraneo?
Oggi a Cop29 è stato presentato il nuovo rapporto sugli impatti del cambiamento climatico sul Mar Mediterraneo, nel presente e nel futuro. Qui spieghiamo perché il futuro delle montagne e delle coste italiane non possono essere considerati come due cose sconnesse tra loro
Dopo una (meritata) giornata di pausa al termine della prima settimana di lavori, il lunedì di questa seconda settimana di Cop29, segnato dalla ripresa dei lavori negoziali sui grandi temi del nuovo obiettivo di finanza climatica globale e i nuovi obiettivi di adattamento e di mitigazione, oltre che dall’arrivo dei ministri dell’ambiente e dell’energia (tra cui il nostro Pichetto Fratin, atteso in serata) è dedicato ai temi dell’istruzione, della gioventù e della salute.
Mentre i negoziatori discutono, nelle sale adiacenti continuano senza sosta le conferenze stampa, gli eventi tematici, i workshop, le presentazioni: scegliere dove andare è sempre un’attività complessa, si parte da una prima selezione di cose interessanti e poi si inizia a fare tetris per riuscire a seguirne il maggior numero possibile, per incontrare persone interessanti, cercare di strappare interviste nel caos generale. Tra le varie, stamattina sono stata alla presentazione del nuovo rapporto di MedEcc sull’impatto del cambiamento climatico sull’area mediterranea, per voce di Piero Lionello, ricercatore dell’Università del Salento, e nel pomeriggio a un panel organizzato dall’Unesco sulle sfide che la criosfera sta affrontando (o non affrontando).
Perché seguire un aggiornamento sullo stato del Mediterraneo, se mi occupo di montagna? Questa sarebbe una domanda lecita che può dare avvio a una riflessione (penso) interessante. La risposta breve è: perché le due cose sono intimamente collegate. La risposta un po’ meno breve è che gli oceani e le terre alte del globo, e in particolare le Alpi e gli Appennini e il Mar Mediterraneo sono strettamente connessi, soprattutto se si parla di cambiamento climatico e quindi delle loro sorti.
Come spesso accade, una delle ragioni è molto semplice e la troviamo andando a scavare nei ricordi delle lezioni seguite dai banchi delle elementari: il ciclo dell’acqua! L’acqua di fusione dei ghiacciai è quella che, tramite i fiumi, corre poi a valle e va a tuffarsi nei laghi e nei mari. E l’acqua del mare è poi quella che evapora, condensa, forma le nuvole e precipita (anche) di nuovo a terra, chiudendo il ciclo. Ma questo cosa vuol dire? Vuol dire che se i ghiacciai fondono, i mari si alzano. E questo è vero sia se consideriamo gli oceani, che se ci focalizziamo sul mare nostrum, il cui livello è stimato aumenti di ben 33 centimetri entro il 2050. E, attenzione, citando proprio il rapporto appena uscito: “Questo processo è irreversibile in una scala che va dai secoli ai millenni”.
Proprio sabato ascoltavo una ricercatrice dell’Università di Oslo parlare dell’aumento di aumento del livello del mare globale (sia di quello già osservato che di quello previsto): metteva l’accento sul fatto che sebbene ci siano anche altri fatto che influenzano questo valore (come l’espansione termica stessa, dovuta a una temperatura maggiore dell’acqua), il contributo del ghiaccio fuso - proveniente sia dalle calotte artica e antartica che dai ghiacciai montani - sia quasi la metà del totale.
A sua volta, come in un domino che crolla, pedina dopo pedina, l’innalzamento del livello del mare si ripercuote più o meno direttamente anche sulla vita di chi abita in pianura, in collina e in montagna per diversi motivi. Ad esempio, con il ritiro delle coste, che spingerà i loro abitanti a spostarsi più in alto (a migrare, come le specie animali e vegetali), e che, tra l’altro, renderà sempre più frequenti le alluvioni e i danni alle infrastrutture, che si andranno ad aggiungere ad altre criticità della zona costiera, come la scarsità di acqua e il conseguente conflitto tra i suoi diversi usi. Insomma, per farla breve, le coste diventeranno sempre meno ospitali, e non solo per chi ci abita, ma anche per i turisti, che sceglieranno quindi altre mete per le loro settimane di relax.
A voler essere precisi, nel rapporto sono descritti con precisione una lunga serie di altri effetti a catena: danni previsti per tante e diverse sfere dell’attività umana, dall’agricoltura alle reti di trasporto, dalla produzione di energia agli impatti sulla salute. Senza andare nel dettaglio (anche perché sennò alla fine di questo articolo l’ecoansia starà galoppando), notiamo solamente che tutti questi effetti si ripercuotono sull’intera penisola e non solamente sugli abitanti delle sue coste (insomma, stiamo parlando di cibo, energia e trasporti dopotutto), e quindi anche sulle montagne.
Questo ragionamento, soprattutto quello legato alla risorsa idrica, vale anche al contrario: non possiamo ragionare sulle montagne e le pianure e le coste come se si trattasse di enti separati perché le alte quote, con i ghiacciai, sono le “torri d’acqua” del pianeta, riserve di acqua dolce “stoccata” sotto forma di ghiaccio per le stagioni più calde. Chiaramente, un futuro senza ghiacciai, è anche un futuro senza riserve di acqua per i mesi più caldi, e dunque di siccità per le pianure e le coste (non serve usare l’immaginazione, basta rileggere le notizie che arrivavano dalla Sicilia la scorsa estate).
Ultimo punto, ma come si direbbe in inglese “last but not least”: le masse di acqua che costituiscono gli oceani e i mari fungono da enormi magazzini di energia. Pensiamo alla tempesta Vaia, o alle alluvioni che hanno colpito l’Emilia Romagna e Valencia negli ultimi mesi: un elemento comune a tutti questi fenomeni era la presenza dell’energia rilasciata in atmosfera da un Mar Mediterraneo molto più caldo della media (parliamo di diversi gradi, che è un’enormità). Il vapore emesso dai mari caldi, infatti, diventa poi uno degli ingredienti principali per i fenomeni estremi e alluvionali che stiamo imparando a conoscere sempre meglio (purtroppo).
Sperando di essere stata convincente in questa lunga spiegazione del perché ragionare sul futuro degli Alpi e degli Appennini vuol dire anche ragionare sul futuro del Mediterraneo, vorrei chiudere con una nota proattiva, e non solamente riportando cattive notizie, così come hanno fatto oggi Salpie Djoundourian (ricercatore libanese) e Piero Lionello, parlando delle soluzioni e di come possiamo accelerare il nostro adattamento a questa nuova situazione. "Alla fine, il cambiamento arriverà dalle persone, anche dalla loro buona volontà, ma adesso abbiamo bisogno di politiche che siano in grado di guidare le persone nella direzione giusta e di una buona istruzione che possa porre le basi per il cambiamento fin dalla giovane età" ha dichiarato Lionello, commentando le tre parole chiave che definiscono la "ricetta" per l'adattamento: le soluzioni tecnologiche, le soluzioni basate sulla natura e il cambiamento dei comportamenti. E così, chiudiamo il cerchio, e chiudiamo questa giornata dedicata, anche, all'istruzione.
Questo spazio è dedicato al racconto della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge dall'11 al 23 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian. Sofia Farina seguirà i negoziati sul posto per L'AltraMontagna, portando i lettori nel mondo dei negoziati climatici, guidandoli alla scoperta delle questioni più stringenti per i leader del pianeta (e non solo)