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Ambiente

Oltre il 90% dei ghiacciai africani è scomparso dall'inizio del secolo scorso. È il risultato delle modifiche dei regimi di precipitazione

Recenti ricerche portano l'attenzione sulle condizioni, drammatiche, di ghiacciai a cui non siamo abituati a pensare quando parliamo del ritiro dei giganti bianchi: quelli dell'Africa orientale

di
Sofia Farina
26 febbraio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Una delle ultime immagini del giorno di Copernicus, che ci regala costantemente delle incredibili fotografie del pianeta dallo spazio, si intitola così: “I ghiacciai africani sono quasi scomparsi in un secolo”. La foto, catturata dai satelliti di Sentinel-2, mostra la degradazione della copertura dei ghiacciai sul monte Kenya. 


Immagine acquisita il 17 febbraio 2024. Fonte: Copernicus

Quando pensiamo alla fusione dei ghiacciai, è probabile che nella nostra mente si concretizzi in immagini di ghiacciai alpini o di calotte polari soggette a crolli sotto lo sguardo attonito dei presenti. Quando invece pensiamo agli effetti del cambiamento climatico in Africa, probabilmente ci immaginiamo il deserto che avanza, la siccità che annienta le piantagioni e spezza vite. Ebbene, una recente ricerca pubblicata sulla rivista Environmental Research: Climate, ci forza a realizzare che la fusione dei ghiacciai è uno degli effetti del surriscaldamento globale nel continente Africa. Dalla collaborazione tra i team di ricerca dell'Istituto di Geografia della FAU, delle università di Otago in Nuova Zelanda, del Massachusetts negli Stati Uniti e di Innsbruck in Austria è emersa una ricostruzione agghiacciante della velocità con cui i ghiacciai africani si stanno riducendo.

 

In realtà, come sapranno i più interessati al tema, i pochi ghiacciai africani sono diventati da tempo un indicatore importante della rapidità e della gravità dei cambiamenti climatici che stanno interessando il nostro pianeta: stanno rapidamente scomparendo e l'Africa potrebbe perdere le sue cime bianche entro la metà del nostro secolo (ovvero entro i prossimi 25 anni, lasciamo sedimentare questo numero nella mente).

 

Anne Hinzmann, una delle autrici del lavoro, ha spiegato come con questa ricerca il gruppo abbia mirato a colmare una grande lacuna. Per avere un’idea, l'area del ghiacciaio del Monte Kenya (che ricordiamo essere alto 5.199 metri), è stata misurata con precisione l'ultima volta nel 2016, i dati relativi ai ghiacci del Kilimanjaro (5.985 metri), nel nord della Tanzania, erano disponibili solo dal 2011 e l'area del ghiacciaio dei Monti Ruwenzori (5.109 metri), al confine tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo, non era stata misurata dal 2005.

 

Ciò che rende particolarmente interessanti queste tre regioni glaciali, come si può immaginare, è proprio il fatto che si trovino poco lontane dall’Equatore, nel bel mezzo dei tropici. Esse, sono già state oggetto di studio di alcuni tra i ricercatori coinvolti in questo recente studio, che tempo fa hanno mostrato come in regioni dalle quote così elevate, un ritiro dei ghiacciai su questi massicci, non è una conseguenza diretta dell’aumento delle temperature, come invece accade nelle Alpi ad esempio, ma è il risultato delle modifiche dei regimi di precipitazione (a loro volta determinata dal cambiamento climatico, chiaramente). 

 

In effetti, nelle regioni in questione, le precipitazioni sono cambiate molto per effetto del cambiamento climatico. In Africa orientale, le precipitazioni cadono principalmente durante due periodi piovosi, da ottobre o novembre a dicembre e da marzo a maggio, e il resto del tempo (quindi la maggior parte) rimane secca. Solo una piccola parte delle forti precipitazioni nei periodi piovosi raggiunge le alte quote, dove cade sotto forma di neve. Se le temperature medie alle alte quote del Kilimanjaro, del Monte Kenya e dei Monti Ruwenzori rimangono al di sotto dello zero, questa neve rimane e si ricopre di un nuovo strato bianco al più tardi nel successivo periodo di pioggia. Col tempo, sempre più neve preme sugli strati più profondi, trasformando gli strati più bassi in ghiaccio e causando la formazione di un ghiacciaio. Se le precipitazioni diminuiscono, il ghiaccio non si riempie e il ghiacciaio inizia a ritirarsi. 

 

Dalla fine del XIX secolo i periodi di pioggia sono diventati più secchi e da allora i ghiacciai hanno iniziato a ritirarsi. I cambiamenti nelle precipitazioni nella regione giocano un ruolo importante anche per altri motivi: non sono solo i giorni di precipitazione a diminuire, ma anche i giorni con copertura nuvolosa. E un numero maggiore di giorni di “clear sky” si traduce in una maggiore esposizione dei ghiacciai alla radiazione solare. Anche se le temperature rimangono sotto lo zero, il sole può trasformare il ghiaccio direttamente in vapore acqueo e umidità, intaccando il ghiacciaio. 

 

Il team di ricercatori di Anne Hinzmann ha voluto scoprire la velocità di questo processo utilizzando immagini satellitari ad alta risoluzione scattate quotidianamente per ogni area. Ricerche precedenti avevano concluso che oltre l'80% dell'area dei ghiacciai dell'Africa orientale sarebbe scomparsa entro il 2010, ma i nuovi risultati mostrano un quadro ancora più triste "da quando i ghiacciai sono stati mappati per la prima volta a cavallo tra il XIX e il XX secolo, più del 90% della loro superficie è scomparsa", spiega Hinzmann. Nel 1899, il Monte Kenya aveva ancora un'area di 1,64 chilometri quadrati, che si è ridotta a 0,07 chilometri quadrati nel 2021/2022. Nei Monti Ruwenzori, il ghiaccio si è ridotto da 6,51 chilometri quadrati nel 1906 a soli 0,38 chilometri quadrati, e anche la più grande area di ghiaccio in Africa, sul Kilimangiaro, è passata da 11,4 chilometri quadrati nel 1900 a 0,98 chilometri quadrati tra il 2021 e il 2022. 

 

Quello che questi ghiacciai comunicano è che non solo il cambiamento climatico è iniziato da tempo, ma sta anche procedendo a gran velocità. Infatti, commenta Hinzmann "Una diminuzione di questa portata è allarmante. I ghiacciai in Africa sono un chiaro indicatore dell'impatto del cambiamento climatico".

 

Un racconto toccante della fusione dei ghiacci del Kilimangiaro, per immagini e tramite racconti degli alpinisti del posto, è stato fatto dall'arrampicatore Will Gadd qualche anno fa in occasione di una missione mirata a scalare le tipiche torri di ghiaccio della zona per l'ultima volta, sponsorizzata da Redbull. Il resoconto della spedizione è racchiuso in un breve video, che comprende il confronto tra le condizioni del ghiacciaio a differenza di pochi anni e un'intervista a Doug Hardy, glaciologo tropicale. "It feels like we're dancing in the bones of someone's grave", sembra di danzare tra le ossa della tomba di qualcuno, così Gadd descrive, in chiusura, la sensazione che ha nell'arrampicare quel che rimane del ghiacciaio del Kilimangiaro.

 

 

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