Neve artificiale: misura necessaria o "accanimento terapeutico"? Storia, utilizzo e impatti di una pratica sempre più necessaria per lo sci
Anche in questa stagione invernale ci siamo abituati a vedere le piste da sci bianche di neve artificiale, stagliarsi in contesti dai colori autunnali. Come viene prodotta la neve artificiale, con che risorse e soprattutto che impatti può avere sui territori in cui viene utilizzata in modo massiccio?
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Anche questa stagione sciistica, come le due che l’hanno preceduta, sta procedendo con una grande assente: la neve, o meglio, la neve naturale. Molte località montane stanno facendo massiccio ricorso alla neve artificiale (o, più correttamente, tecnica) per garantire lo svolgimento dello sci alpino (tra l'altro, non sempre riuscendo a garantire il normale svolgimento dell'attività, come abbiamo notato dal recente annullamento delle gare di Coppa del Mondo per condizioni climatiche avverse, che questa vogliono dire caldo). I pattern di precipitazione sulle Alpi e sugli Appennini stanno cambiando, rendendo la presenza di neve naturale sulle piste sempre più scarsa. Facciamo allora un passo indietro, per vederci meglio e soprattutto per osservare con l'attenzione necessaria questo fenomeno complesso, e prendiamoci un momento per riflettere sull’utilizzo della neve artificiale.
Disclaimer preventivo: quella dello sci alpino è stata e spesso è ancora un'economia trainante che ha permesso a tanti territori montani di sopravvivere e di contrastare lo spopolamento, e oggi è praticamente inscindibile da un utilizzo massiccio dalla neve artificiale. Questo implica un valore economico e sociale dell'utilizzo di tale tecnologia che è importante tenere a mente: siamo quindi ben lontani da una condanna generica dell'utilizzo della neve artificiale. Tuttavia, dato il contesto climatico in cui ci troviamo a vivere, caratterizzato da temperature sempre più alte, precipitazioni sempre più difficili da sfruttare con questi scopi, fabbisogni idrici ed energetici sempre più alti, è fondamentale che anche il tema degli impatti e dei consumi di questa attività diventino parte della conversazione e delle variabili di cui tenere conto in fase decisionale.
Breve storia della neve artificiale
Oggi è molto difficile trovare, in Italia, comprensori che non abbiano cannoni e lance per la produzione di neve artificiale lungo le piste, ma vi siete mai chiesti quando abbiamo iniziato ad utilizzarli e soprattutto chi ha inventato questi strumenti? Nel cercare una risposta è facile imbattersi in diverse storie: c’è chi sostiene che i cannoni per l’innevamento artificiale siano stati inventati nel Massachussets dai fratelli Tropeano, originari di Avellino, durante dei tentativi di produrre nebbia nei loro frutteti e ottenendo invece cristalli di ghiaccio dai loro sistemi di nebulizzazione dell’acqua; altri sostengono che la creazione di neve artificiale sia stata per anni relegata nei laboratori per studiare i processi di formazione di neve e valanghe prima di essere sfruttata nel mondo degli sport invernali applicando la medesima tecnologia ai cannoni; chi invece la fa risalire al Canada, quando per una competizione di salto con gli sci, in carenza di neve, gli organizzatori decisero di ordinare 75 tonnellate di ghiaccio e di triturarlo. Insomma, non è facile risalire a chi sia venuto in mente per la prima volta, ma sappiamo con certezza che i primi cannoni sparaneve hanno iniziato a comparire negli uffici brevetti e poi nei resort sciistici degli Stati Uniti intorno agli anni ‘50. Da allora, il ricorso alla neve artificiale ha subito continui incrementi, con l’avvio della sua produzione nei resort europei intorno agli anni ‘70, il primo cannone da neve nelle Dolomiti nel 1981 a Col Raiser (poi eretto a sorta di monumento), fino ad arrivare ai nostri anni in cui non solo la neve artificiale è impiegata nella maggior parte delle competizioni sportive, nelle Olimpiadi invernali e nelle località sciistiche di tutto il mondo (dalle Alpi alle Montagne Rocciose) ma addirittura permette di sciare, letteralmente, nel deserto, come accade allo ski-dome di Dubai.
Come funzionano i cannoni sparaneve
Esistono varie tipologie di impianti di innevamento, che spesso vengono divise in due macro-categorie: gli impianti ad alta pressione e quelli a bassa pressione. In ogni caso, il meccanismo alla base della produzione di neve è lo stesso e si realizza, a grandi linee, in due fasi principali. La prima consiste nel pompaggio e nella nebulizzazione dell’acqua ad alta pressione nell’aria; queste, a contatto con l’aria fredda, congelano immediatamente, generando i cosiddetti nuclei di condensazione. Nella seconda fase viene immessa altra acqua nebulizzata nell’aria che va a posarsi sui nuclei di condensazione, accrescendoli, e formando il cristallo che in brevissimo tempo cade al suolo. Ovviamente la funzione dei cannoni dipende molto dalla temperatura e dall’umidità in atmosfera, che più è bassa e meglio è. Il fatto che gli ingredienti principali per la realizzazione della neve siano acqua e aria compressa, entrambe a bassa temperatura, inizia a farci intuire come mai sia un processo così energivoro (come insegna la termodinamica, quando viene compressa l'aria si surriscalda). Se ci sforziamo di visualizzare nella sua interezza un impianto di innevamento, oltre ai cannoni e alle lance dobbiamo visualizzare le condotte per l’acqua, per l’aria compressa, i compressori e le pompe e, eventualmente, i bacini artificiali e i serbatoi.
(Not so) fun fact, la produzione della neve può avvenire, da pochi anni, anche indipendentemente dalla temperatura esterna, con dei generatori di neve di ultima generazione già in commercio da diversi anni e che funzionano, essenzialmente, come un gigantesco frigorifero che produce brina e la spara poi all’esterno.
Un altro (not so) fun fact: dalla sezione FAQ del sito di Techno Alpin leggiamo che la quantità di neve artificiale prodotta varia a seconda del modello di cannone, ma che, in condizioni ideali, il generatore a ventola con la maggiore capacità di innevamento attualmente sul mercato, produce una quantità pari a circa 10 camion carichi di neve all’ora. 10 camion carichi l’ora.
Cosa cambia tra la neve artificiale e quella naturale
La neve naturale si forma da gocce di acqua che nell’atmosfera vengono a contatto con nuclei di congelamento, costituiti da pulviscolo atmosferico, per formare granuli di ghiaccio. La sublimazione del vapore acqueo presente nelle nubi sui granuli di ghiaccio, origina i cristalli di neve. Temperatura e grado di umidità sono le variabili che danno ai cristalli di neve naturale forme infinitamente varie. La neve artificiale, invece, si forma prevalentemente da acqua in forma liquida ed è generalmente costituita da cristalli arrotondati. Inoltre, una volta arrivata al suolo la neve naturale si trasforma in relazione alle condizioni ambientali, secondo processi di metamorfismo, mentre quella artificiale evolve poco, se non per la formazione di legami tra i cristalli, dovuti al congelamento dell’acqua interstiziale.
Quali e quante risorse si consumano
Essenzialmente, e per passaggi logici semplici: più acqua si pompa e più neve si produce, più è breve il tempo per innevare e più potenza occorre; minore è la temperatura esterna, maggiore è la resa del processo e minor dislivello è presente tra i diversi elementi del sistema e minori consumi si hanno (a meno che l’acqua non sia disponibile a quote superiori all’impianto di innevamento, ma questo accade in una minoranza dei casi).
Ma proviamo a quantificare. Con un metro cubo di acqua è possibile generare mediamente 2,5 metri cubi di neve. Per l’innevamento di fondo (circa 30 cm di altezza neve) di un ettaro di pista servono circa 1.000-1200 metri cubi di acqua, il che corrisponde a più di un terzo di una piscina olimpica, come leggiamo sui canali ufficiali della provincia di Bolzano.
Secondo uno studio tedesco, il consumo totale di energia nell'intera regione alpina per la produzione del solo primo strato di neve artificiale (alto 30cm) è stimato pari a circa 1400 gigawattora per stagione. Considerando poi anche i successivi interventi di innevamento, questo numero salirebbe a 2100 gigawattora. Chiaramente, questi valori potrebbero aumentare notevolmente con l'innalzamento delle temperature, e potrebbero diminuire considerando i rendimenti dei cannoni di ultima generazione, che sono però in uso solamente in alcune località. Nel rapporto Nevediversa 2023 di Legambiente troviamo anche delle stime del consumo di energia per una stagione per la produzione dei primi 30cm di neve per le Alpi italiane (720 gigawattora) e per gli Appennini (87 gigawattora).
Considerando i consumi idrici, secondo le stime del WWF e di Legambiente, ogni anno sulle piste italiane vengono attualemente impiegati a questo scopo circa 95 milioni di metri cubi d’acqua, pari al fabbisogno di una città di circa 1 milione di abitanti. Sempre nel rapporto di Legambiente si trovano delle stime sui consumi idrici che richiederebbe innevare artificialmente tutti i 24.000 ettari di piste delle Alpi italiane (96 milioni di metri cubi) e i quasi 3000 ettari di piste degli Appennini (11.6 milioni di metri cubi).
Andando ancora più nello specifico, secondo il rapporto Neve di EURAC, negli inverni dal 2007 al 2016, i cannoni da neve in Alto Adige hanno consumato dai cinque ai dieci miliardi di litri d’acqua a stagione e, insieme agli impianti di risalita, dai 90 ai 170 milioni di chilowattora di elettricità, vale a dire il 6-12% del consumo annuo di acqua potabile e il 2,9-5,4% del consumo annuo di elettricità di tutta la provincia.
Il tema del consumo idrico è più spinoso rispetto a quello del consumo energetico perché è più difficile reperire dati e quelli che si trovano sono a volte contrastanti. Di certo, il suo impatto sulla risorsa idrica disponibile è fortemente dipendente dal territorio specifico in considerazione, dalle sue risorse, dal fabbisogno delle attività che in esso vengono svolte. Rimanendo sul caso dell'Alto Adige, citato anche perché per esso esistono dati e analisi prodotti da un centro di ricerca di fama mondiale, basta riprendere in mano i giornali di un anno fa per trovare tangibili esempi di come l'utilizzo delle risorse idriche per la produzione di neve sia sfociato in un vero e proprio conflitto idrico, aggravato dalla siccità in corso, che ha portato il governatore Arno Kompatscher a firmare un'ordinanza "contingibile e urgente" per contenere il consumo di acqua che includeva anche uno stop alla produzione di neve artificiale per innevare le piste da sci.
Last but not least, tra le risorse necessarie per garantire l'innevamento artificiale c'è anche quella economica. Anche in questo caso una stima dei costi può essere trovata nel rapporto NeveDiversa 2023, dove leggiamo che "se tutti cannoni sparaneve fossero in funzione, in Italia nella stagione 2022-2023 per uno spessore di circa 3 cm si arriverebbe ad un costo totale che può variare tra 242.100.000 e 564.900.000 di euro". Anche in questo caso, i numeri sono altamente variabili perché risentono di numerosi effetti, tra cui anche il cambiamento climatico in atto: basti pensare che il costo al metro cubo per la produzione della neve è passato da circa 2 euro al metro cubo nella stagione 2021-'22 a 3-7 euro al metro cubo nella stagione 2022-'23.
Quali sono gli impatti ambientali di questa pratica
Gli effetti del ricorso all’innevamento artificiale sono molteplici, alcuni più evidenti di altri, anche per l’occhio più attento.
Dopo gli effetti connessi alla costruzione delle infrastrutture e le opere edili, che implicano sostanziali modifiche ambientali, dallo sbancamento delle aree destinate ai bacini artificiali alla posa delle tubazioni, le conseguenze a livello di bilancio idrico sono probabilmente quelle più facilmente intuibili. L’acqua per l’innevamento proviene solitamente dalle acque correnti e da laghi naturali o artificiali. Gli effetti del prelievo e del disgelo sul bilancio idrico sono conseguenti al diverso scorrimento d’acqua e dipendono non solo la quantità prelevata, ma anche il periodo e l’intensità del prelievo: a novembre/dicembre l’innevamento è più intensivo, e quindi proprio in periodi di scarse quantità di scorrimento, vengono sottratte grandi quantità di acqua al bilancio naturale; in primavera, d’altro canto, si può manifestare un flusso d’acqua aggiuntivo di notevole portata andando a provocare ulteriori fenomeni di erosione. Per i più curiosi, nel rapporto "Alpi e turismo: trovare il punto di equilibrio" realizzato d WWF Italia è possibile trovare dati precisi e puntuali relativamente agli impatti idrici su specifiche aree di studio, tra cui anche il Parco Nazionale dello Stelvio, la provincia di Trento, di Bolzano e il comprensorio dei Piani di Bobbio.
Per quanto concerne l’impatto sul suolo, come ci ha spiegato Michele Freppaz, docente all'Università di Torino: “I principali impatti della gestione invernale delle piste da sci su suolo e vegetazione derivano dalle operazioni di battitura e dal conseguente aumento di densità del manto nevoso che ne riduce l’azione isolante. Ciò determina un più facile congelamento del suolo, la formazione di strati di ghiaccio e il ritardo della ripresa vegetativa”. Utilizzare neve programmata influenza questi effetti: “L’impatto dei mezzi battipista sulla superficie del suolo viene ridotto a causa del maggiore spessore del manto nevoso mentre la maggiore permanenza del manto nevoso riduce ulteriormente la durata della stagione vegetativa. Inoltre aumenta la quantità d’acqua che arriva al suolo nel corso del disgelo primaverile, con il potenziale innesco di fenomeni erosivi, così come l’input di specie chimiche, le cui caratteristiche dipendono dal tipo di acqua utilizzata”.
Freppaz spiega che “la capacità del suolo di sopportare questi effetti dipende dal suo stato di salute e il tipo di specie vegetali impiegate negli inerbimenti - diventano allora di fondamentale importanza le tecniche di costruzione e ripristino dei suoli e della vegetazione lungo i tracciati, conservando per quanto possibile, gli ecosistemi esistenti e tramite l’impiego di specie ed ecotipi autoctoni, i cui semi sono stati raccolti da praterie naturali circostanti (che fungono da siti donatori di seme), in grado di garantire una buona efficacia del processo di colonizzazione della vegetazione. Le opere di sistemazione delle piste da sci, con particolare riferimento alla gestione del suolo e della vegetazione, anche attraverso il pascolamento, possano contribuire in maniera significativa a ridurre lo spessore di neve necessario per la pratica dello sci, con conseguenti risparmi proprio nella pratica dell’innevamento programmato”.
In termini di impatto sugli abitanti delle aree interessate dal fenomeno l’innevamento artificiale determina anche un inquinamento luminoso e sonoro, che possono risultare molesti sia per l’uomo che per la fauna locale.
Un altro grande impatto è connesso alla realizzazione di bacini idrici per l’alimentazione degli impianti di innevamento programmato, che riduce le necessità energetiche per portare in quota l’acqua dai pozzi o dai torrenti di fondovalle, cercando di accumulare quanta più acqua possibile in particolare nel periodo del disgelo primaverile. I bacini sono attualmente individuati in un numero pari a 142 da parte di Legambiente, per una superficie totale pari a 1.037.377 mq circa. “Si tratta di una pratica sempre più diffusa, non soltanto in Italia ma anche in altre nazioni dell’arco alpino, quali ad esempio Francia e Svizzera - spiega Freppaz - la loro costruzione viene effettuata generalmente in aree pianeggianti, che in alcuni casi possono ospitare aree umide con suoli di elevato pregio naturalistico, gli Histosuoli, in grado di erogare molteplici servizi ecosistemici quali la regolazione del ciclo del carbonio e del regime idrologico”.
La presenza dei bacini, infatti, può costituire un'aggressione al paesaggio sotto vari aspetti: non solo quello estetico, ma anche in termini dei pesanti e impattanti interventi necessari alla loro costruzione di cantieri che comprendono l’apertura di nuove strade di accesso, voli in elicottero e costruzione di tubature. “I bacini di innevamento artificiale non sono dei laghetti”, ha ribadito più volte Legambiente, cercando di combattere concetti errati molto diffusi. Infatti, nonostante la normale tendenza a naturalizzarsi dei bacini artificiali, è molto difficile che un certo equilibrio riesca a crearsi in un ambiente caratterizzato da continui svuotamenti, in cui viene messo in atto un sistema di circolazione con aria compressa per mantenere la superficie libera dal ghiaccio, abbassare la temperatura dell’acqua ed evitare la formazione di alghe.
Da questa lunga serie di impatti “deriva la necessità di porre estrema attenzione nel processo autorizzativo, così come nelle fasi di realizzazione di questa tipologia d’invasi, con il coinvolgimento di tecnici specializzati non solo in campo pedologico, ma anche botanico e faunistico”.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire
Una nota finale: come spesso accade con argomenti connessi al cambiamento climatico, nel fare ricerche su questo tema è facile imbattersi in una vasta letteratura scientifica, in report scritti da associazioni, enti locali o enti di ricerca che dieci, venti anni fa sottolineavano l’uso eccessivo della neve artificiale e i suoi impatti e che auspicavano un cambio di paradigma nel nostro modo di intendere la pratica degli sport invernali sulle Alpi e gli Appennini. Chiaramente, rispetto al recente passato, i numeri sono fortemente lievitati: in alcuni report, già nel 2004 si parlava - con toni allarmati - del 40% delle piste innevate artificialmente, oggi siamo al 90% con tutto ciò che ne consegue a livello di costi e consumi. Essenzialmente, al posto di affrontare questo problema con atteggiamento scientifico e lungimiranza, abbiamo continuato a riproporre lo stesso paradigma noncuranti dei cambiamenti in atto, giungendo a una situazione che non sembra scorretto definire un accanimento terapeutico.