"Negli Appennini la stagione delle neve è non pervenuta": il nuovo aggiornamento della fondazione CIMA sulla neve in Italia
Il terzo rapporto dell'inverno 2024 realizzato da Fondazione CIMA ci mostra un quadro drammatico in termini di precipitazioni nevose su tutto il territorio italiano, e in particolare su Alpi e Appennini
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
“A febbraio, il deficit di snow water equivalent nazionale è del -64%: i dati peggiori si registrano per gli Appennini e sulle Alpi, ma la situazione di scarsità di neve caratterizza tutta la penisola”. Questo è quando leggiamo nell’attesissimo terzo resoconto di questo inverno (che inverno poco sembra) sulle precipitazioni nevose da parte di Fondazione CIMA, il Centro Internazionale in Monitoraggio Ambientale.
Con snow water equivalent intendiamo l’acqua contenuta nella neve (ne avevamo parlato qui con il ricercatore Francesco Avanzi in occasione della pubblicazione degli altri report), un parametro che fornisce un’indicazione preziosa sulla quantità di riserva idrica su cui potremo contare in primavera e in estate.
Questa notizia genererà ben poco stupore nelle persone che hanno frequentato le terre alte recentemente, magari nell'ultima settimana, e si sono trovate di fronte a panorami primaverili, montagne spoglie, lingue di neve artificiale che si aggirano tra abeti bostricati e prati giallognoli.
Il monitoraggio mensile realizzato da CIMA serve a valutare il peggioramento o il miglioramento delle condizioni man mano che ci si inoltra nell’inverno (se avete interesse, qui e qui potete trovare i rapporti di dicembre e gennaio). Purtroppo, allargando lo sguardo a comprendere anche i mesi precedenti, osserviamo un netto peggioramento: infatti, il deficit di snow water equivalent a livello nazionale, un mese fa, era pari al -39%, mentre attualmente si attesta al -64%. “Questa condizione va fatta risalire al tempo mite e secco, soprattutto nella seconda metà di gennaio, che ha aggravato un deficit preesistente: secondo le nostre stime, hanno portato a una fusione anticipata dell’ordine di 1 miliardo di metri cubi di acqua in neve nella seconda metà di gennaio. Purtroppo, la scarsità di neve ha caratterizzato i nostri monti per tutti gli ultimi tre anni”, ha spiegato Francesco Avanzi, ricercatore di Idrologia e Idraulica di Fondazione CIMA.
Passando dai valori medi sul territorio nazionale al dettaglio su Alpi e Appennini, scopriamo che le condizioni di questi ultimi sono di gran lunga peggiori, se non drammatiche: si potrebbe dire, la stagione della neve è non pervenuta. Per quantificare la gravità della situazione prendiamo la regione Abruzzo ad indice per l’Appennino centrale: in essa il deficit di snow water equivalent è del -85%.
Questa carenza di precipitazione si riflette rapidamente sui fiumi e sulla loro portata, con dati che ci permettono rendere più concrete questo indice difficile da tradurre dall’inglese: il bacino del Tevere registra un deficit del -93%, con condizioni stazionare da novembre, quando vi è stata l’ultima nevicata significativa (state visualizzando anche voi mentalmente fotogrammi del film “Siccità” di Paolo Virzì?).
Considerando invece l’arco alpino, il deficit complessivo (pari a -53%) è leggermente inferiore alla media nazionale e molto simile a quello dello scorso anno in questo stesso periodo. Avanzi ha ricordato che “la neve alpina è particolarmente importante per l’approvvigionamento idrico italiano, perché alimenta anche il bacino del Po, che a sua volta registra un deficit del -63% rispetto agli ultimi 12 anni”.
Questi dati assumono particolare rilevanza (e diventano particolarmente preoccupanti) se li inquadriamo nella condizione di severità idrica nazionale, di cui Ispra ci ha recentemente fornito una fotografia. Infatti, come è stato dimostrato da ricercatori e ricercatrici di diversi istituti italiani, tra cui CIMA, in un articolo scientifico pubblicato pochi giorni fa, una delle cause principali della siccità del 2022 è stata proprio la mancata fusione nivale in primavera e a inizio estate. Gli Osservatori distrettuali permanenti sugli utilizzi idrici hanno segnalato una situazione di severità idrica alta in Sicilia, media in Sardegna e bassa nei distretti idrografici delle Alpi Orientali, dell'Appennino Centrale e dell'Appennino Meridionale, con la nota che all'interno dei singoli distretti sono presenti situazioni localizzate con severità idrica superiore rispetto a quella distrettuale, che necessitano di essere tenute ancora sotto stretto monitoraggio (soprattutto in Appennino Centrale e Sardegna).
Per intenderci, la definizione fornita dallo stesso Ispra di situazione di severità idrica alta è: "Sono state prese tutte le misure preventive ma prevale uno stato critico non ragionevolmente prevedibile, nel quale la risorsa idrica non risulta sufficiente a evitare danni al sistema, anche irreversibili". In Sicilia, a febbraio, le risorse idriche non sono sufficienti ad evitare danni al sistema, infatti è stato dichiarato lo stato di calamità naturale, infatti, come riportano i canali ufficiali di comunicazione della Regione "la condizione sta danneggiando agricoltori e allevatori, già gravati dalle conseguenze dei fenomeni atmosferici anomali che hanno colpito l'Isola per tutto il 2023. L'allevamento degli animali è il settore più colpito per l'assenza di foraggio verde e la mancanza di scorte di fieno danneggiate dalle anomale precipitazioni del maggio dell'anno scorso". Tornando ai bacini fluviali e citando ancora Avanzi "il fiume Simeto, il principale della Sicilia orientale, registra un deficit del -61%, perché dopo le prime nevicate di gennaio il rialzo delle temperature ha portato a una fusione precoce della neve".