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Ambiente

L’età e la struttura delle foreste influiranno più del cambiamento climatico sulla loro resistenza e resilienza: serve una gestione forestale attiva e sostenibile

Due recenti studi, condotti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e pubblicati sulle riviste “Journal of Environmental Management” e “Forests”, forniscono importanti informazioni su produttività, stabilità e resilienza di alcune tipologie di boschi europei in vari scenari di cambiamento climatico. I risultati evidenziano che l’età di alberi e boschi e la loro struttura potranno influire addirittura di più del cambiamento climatico stesso

di
Luigi Torreggiani
09 agosto | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

L'età degli alberi e la struttura in diverse “classi di età” dei popolamenti forestali influenzano significativamente il funzionamento dell’ecosistema, condizionando la capacità di mitigazione dei cambiamenti climatici. È quanto hanno messo in luce due recenti studi condotti dal Cnr, attraverso il Laboratorio di Modellistica Forestale dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (Cnr-Isafom) di Perugia in collaborazione, tra gli altri, con il Laboratorio di Geomatica Forestale dell’Università degli Studi di Firenze.

 

Le ricerche, in particolare, forniscono importanti informazioni su come l'età dei popolamenti influisce in maniera fondamentale sul bilancio del carbonio, sulla sua assimilazione e quindi sulla produttività degli stessi, con effetti sulla resistenza, la resilienza e la stabilità delle foreste, sia nelle condizioni climatiche attuali che future.

 

Gli studi, pubblicati sulle riviste Journal of Environmental Management e Forests, hanno preso in esame foreste europee di faggio, pino silvestre e abete rosso, tre tra le specie più importanti e comuni in Europa. Su questi popolamenti forestali - storicamente gestiti e quindi modificati dall’attività antropica - è stato applicato un modello biogeochimico per studiarne l’evoluzione futura (in diversi scenari di cambiamento climatico e in uno scenario “no climate change”) in assenza di interventi umani.  

 

 

“Negli scenari di cambiamento climatico, le faggete hanno mostrato un aumento della produttività e hanno mantenuto la loro stabilità e resilienza in tutte le classi di età”, spiega Elia Vangi, primo autore di entrambi i lavori, “tuttavia, per le foreste di abete rosso e pino silvestre la produttività è diminuita. In queste foreste di conifere, la stabilità e la resilienza sono state più influenzate, in particolare nel caso dell’abete rosso e soprattutto nelle classi di età più avanzate. Sorprendentemente, le differenze riscontrate tra le diverse età dei popolamenti sono risultate maggiori che tra i diversi scenari di cambiamento climatico, per tutte le specie considerate”.

 

I risultati ottenuti possono avere implicazioni significative per la gestione forestale futura a livello europeo. “L'incertezza climatica futura influenzerà in modo disomogeneo la funzionalità e i servizi ecosistemici delle foreste, variando in base alla specie, alla struttura e allo sviluppo del popolamento considerato”, spiega Alessio Collalti, responsabile del Laboratorio di Modellistica Forestale del Cnr-Isafom, “i nostri studi, basati su modelli, servono proprio per capire cosa può succedere in diversi scenari per impostare così una gestione forestale il più possibile adattativa”.

 

Un esempio concreto relativo alle foreste di abete rosso, che dallo studio risultano le più vulnerabili, si può trovare in “Sottocorteccia - Un viaggio nei boschi che cambiano”, primo libro targato L’AltraMontagna ed edito da People, dove il tema dell’età delle peccete alpine viene trattato nell’ultimo capitolo.

 

 

“Tutti parlano dei problemi di boschi artificiali, monospecifici e coetaneiformi, e hanno ovviamente ragione, ma uno dei problemi è anche la loro età avanzata, valutandola ovviamente con parametri umani, selvicolturali”, viene spiegato nel libro. “Secondo l’Inventario Forestale Nazionale, in Italia i boschi di abete rosso tra gli 0 e i 40 anni sono soltanto il 16,5% del totale. Il 37% è concentrato nella fascia di età tra 41 e 80 anni e ben il 45,6% ha un’età maggiore di 80 anni. Le peccete italiane sono evidentemente sbilanciate verso età elevate, che i selvicoltori considerano mature o addirittura stramature. Gli abeti in natura possono vivere molto di più ovviamente, anche diverse centinaia di anni, ma a queste età gli alberi non garantiscono più molti di quei servizi ecosistemici che chiediamo alle foreste, specialmente nei boschi produttivi per il legname e di protezione dalla caduta di massi, frane e valanghe. Se nei Parchi, in particolare nelle Riserve integrali o nei cosiddetti Boschi vetusti, è importantissimo avere alberi molto vecchi, senescenti e deperienti, habitat fondamentali per parte della biodiversità forestale, in quelli attivamente gestiti è opportuno mantenere i popolamenti all’interno di “turni” che normalmente, per le fustaie d’abete, non dovrebbero superare il 120-150 anni”.

 

Nel libro è citato Roberto Del Favero, storico docente di selvicoltura all'Università di Padova: “Se vogliamo davvero, per il futuro, boschi più resistenti e resilienti, capaci di generare tutti i servizi che chiediamo loro ogni giorno, non dobbiamo soltanto pensare alla mescolanza delle specie o a strutture più irregolari, ma anche a modificare la distribuzione tra le varie classi di età, riequilibrandola a favore di popolamenti più giovani”.

 

Studi basati sulla modellistica, come quelli condotti dal Cnr-Isafom, permettono di mettere in pratica questi concetti, diventando quindi uno strumento utile, dati alla mano, per immaginare la futura gestione delle foreste nel contesto della crisi climatica. Un altro risultato interessante su questo tema, reso noto circa un anno e mezzo fa sempre a cura del Forest Modelling Lab, ha riguardato la futura capacità di stoccaggio e sequestro del carbonio dei boschi europei. Anche in quel caso, come sottolinea Alessio Collalti: “I risultati hanno mostrato che la gestione forestale, e il tipo di gestione che si decide di applicare nel medio e lungo termine, hanno di gran lunga un impatto maggiore di quanto non lo abbia il cambiamento climatico stesso”. Questi studi hanno dimostrato, ad esempio, che foreste ben gestite saranno in grado di sequestrare e stoccare più carbonio dall'atmosfera rispetto a foreste lasciate alla propria evoluzione naturale, a causa, ad esempio, della minore competizione delle singole piante per acqua e luce. 

 

Come sempre, in questi casi, non esistono “ricette univoche”. Ogni scelta deve essere ben calibrata rispetto ai differenti contesti e agli obiettivi gestionali o conservazionistici a cui scegliamo di lavorare rispetto alle singole foreste. Tuttavia, sapere che l’età dei popolamenti o una loro particolare gestione può influire addirittura più del cambiamento climatico stesso è un dato notevole, che deve far nascere importanti riflessioni tra chi ha il compito di impostare politiche gestionali di medio-lungo termine.

 

Nei boschi più vulnerabili nei futuri contesti climatici, come ad esempio quelli di abete rosso, è necessario ed urgente lavorare, attraverso una gestione forestale attiva e sostenibile, per modificarne la struttura, che spesso è derivata da piantagioni, dalla gestione forestale passata o da entrambi questi elementi. Favorire la mescolanza di specie e di età differenti a scala di singolo bosco e/o di paesaggio, ad esempio, potrà risultare particolarmente efficace.

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