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Ambiente

L'Italia ha approvato il suo primo piano di adattamento ai cambiamenti climatici: l'analisi di Giorgio Vacchiano

L'Italia ha iniziato il 2024 con l'approvazione, dopo sei lunghi anni dalla prima bozza, del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici: ben 361 azioni rivolte ai sistemi naturali (tra cui quelli montani), sociali ed economici. Comprendiamo le implicazioni di questa novità con l'aiuto di Giorgio Vacchiano

di
Sofia Farina
30 gennaio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

“Il piano potrebbe essere migliorato integrando maggiormente le sinergie tra mitigazione e adattamento. Ad esempio, politiche di mitigazione che promuovono l'uso di energie rinnovabili non solo riducono le emissioni di gas serra, ma possono anche migliorare la resilienza delle comunità ai cambiamenti climatici e alle crisi energetiche. Questa integrazione è cruciale per sviluppare una risposta comprensiva ed efficace al cambiamento climatico”.

 

Come regalo di inizio anno, il ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica ha approvato, con decreto n.434 del 21 dicembre, l'atteso Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc). Il Pnacc è il documento che delinea una strategia per rendere il nostro Paese resiliente alla crisi climatica e che, idealmente, funge inoltre da guida per pianificare al meglio le politiche di adattamento sul piano nazionale e locale, nel breve e nel lungo periodo.

 

Il piano, che presenta ben 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici, arriva dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e dopo ben quattro governi, permettendo all’Italia di raggiungere il restante 85% dei paesi del mondo, che un piano di adattamento lo aveva già da tempo. 

 

Per comprendere le implicazioni di questa novità di inizio 2024, abbiamo fatto alcune domande a Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all’Università di Milano e membro del comitato scientifico del Climate Media Center, esperto di strategie di adattamento e mitigazione. 

 

Il piano di adattamento e la strategia in esso delineata sono in linea con lo stato dell’arte della ricerca riguardo gli impatti del cambiamento climatico presenti e futuri sul territorio italiano?

 

La base scientifica del Pnacc è piuttosto completa, e fornisce una sintesi accurata degli impatti biofisici attesi dalla crisi climatica in Italia - dall'innalzamento del livello del mare, che avrà un impatto significativo sulle coste italiane, al ritiro dei ghiacciai e la riduzione della durata e abbondanza della copertura nevosa nelle montagne, che influisce sulle risorse idriche e sul turismo invernale. Il piano riconosce l'aumento degli eventi climatici estremi, come ondate di calore e precipitazioni intense, che possono avere effetti diretti sulla salute pubblica e sull'ambiente.

 

E per quanto riguarda gli impatti che le problematiche ambientali hanno e avranno sulla società?

 

Gli aspetti relativi agli impatti sulla salute umana e sull'occupazione sono meno approfonditi nel piano, anche se i pochi dati riportati (ad esempio, la perdita di oltre 400 000 posti di lavoro, il raddoppio delle perdite di PIL a causa della mortalità da ondate di calore estive) sono sufficienti a prendere estremamente sul serio la necessità di agire. Più carente ancora è l'analisi degli impatti su economia e aspetti sociali. Sebbene questi elementi siano cruciali per stimolare l'azione sia dei soggetti pubblici che privati, il piano sembra non fornire un quadro sufficientemente dettagliato su come il cambiamento climatico influenzerà l'economia italiana nel suo complesso e le dinamiche sociali, né una analisi costi-benefici delle varie misure proposte, che sarebbe utilissima ai soggetti pubblici e privati che intendano mettere in atto le misure e stabilire quelle prioritarie. 

 

Quali sono le principali strategie di adattamento che saranno messe in campo e quali toccheranno i territori montani?

 

Gli ambiti di azione del piano sono la gestione delle risorse idriche, la protezione delle coste, la salvaguardia della biodiversità, l'adattamento urbano, l'agricoltura sostenibile, le foreste, la produzione energetica e quella industriale, la salute, e la gestione del rischio di eventi estremi. 

 

Per i territori  montani, che sono particolarmente vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico, il Pnacc prevede strategie specifiche: la gestione sostenibile delle foreste montane, in particolare per preservarne la  funzione di protezione idrogeologica; l'adattamento delle pratiche agricole e forestali alle nuove condizioni climatiche; la gestione del rischio di dissesto, sempre più elevato a causa del riscaldamento globale; la gestione delle risorse idriche, con misure per il monitoraggio e  l'adattamento delle infrastrutture idrauliche alle nuove condizioni climatiche. Tra le strategie per i territori montani sono indicati anche il potenziamento del turismo sostenibile, tenendo conto degli impatti climatici in particolare con la differenziazione dell'offerta di attività invernali , e l'adattamento delle infrastrutture e delle comunità locali agli eventi climatici estremi, che comprende anche  la realizzazione di infrastrutture più resilienti e la promozione di pratiche costruttive che riducano i rischi legati al clima.

 

In termini operativi, come si procederà con l'implementazione di quanto previsto dalla strategia e con quali fondi?

 

Il piano propone due strumenti per la realizzazione delle misure proposte nel suo database di 361 azioni:  un Osservatorio Nazionale sull'Adattamento, cioè una struttura di governance nazionale per definire le priorità, gli obiettivi a scala nazionale, e le modalità con cui gli enti territoriali potranno (non "dovranno") mettere in atto le azioni, e delle Linee Guida per la realizzazione di piani di adattamento a scala territoriale e locale. Ma per passare da un elenco di azioni suggerite alla loro implementazione sul territorio la strada è lunga, e mancano alcuni passaggi chiave: obiettivi nazionali, come detto; analisi costi-benefici, che aiutino a decidere le priorità;  indicazioni chiare su chi si occuperà dell'implementazione a livello regionale e locale e su come verranno gestiti i lavori di integrazione con gli strumenti regolatori già esistenti; ma soprattutto la mancanza di fondi. 

 

Come hanno fatto notare Legambiente e WWF, il Piano cioè assomiglia più a una Strategia, cioè un documento di indirizzo senza finanziamenti specifici. E anche nella Legge di Bilancio 2023 l'adattamento (ma anche la mitigazione) non hanno trovato nessuno spazio. Un'ulteriore lacuna, evidenziata da diversi colleghi, è l'esclusione o la limitazione del ruolo del settore privato, di cui praticamente non si parla nelle azioni proposte - nonostante la grande necessità di coinvolgere il mondo aziendale, come ad esempio nel caso delle grandi multiutilities energetiche o dell'acqua. Infine, le azioni stesse sono un catalogo molto completo (niente di nuovissimo, ma una buona sintesi di quanto la ricerca già afferma da tempo), ma a volte troppo dettagliato o frammentario: è vero che l'adattamento si fa a scala locale, e va quindi calibrato su realtà molto specifiche, ma forse le azioni potevano essere raggruppate in macro-strategie o obiettivi a scala nazionale, che dessero l'idea delle priorità principali, e che i territori avrebbero poi declinato più nel dettaglio. C'è da chiedersi se, per un sindaco, l'elenco di 361 azioni di piani (due terzi delle quali, tra l'altro, sono "soft", cioè basate su informazione o ricerca, senza prevedere realizzazioni concrete) sia uno strumento che aiuta effettivamente l'azione.  

 

Ritieni che la strategia delineata sia sufficiente per affrontare gli impatti che il cambiamento climatico avrà sul nostro paese, soprattutto in termini di eventi estremi e gestione idrica?

 

A fronte di una analisi e previsione scientifica completa e rigorosa, che occupa i 4/5 delle pagine del piano, il Pnacc affronta la sfida di implementare le sue strategie di adattamento in un contesto di risorse limitate, obiettivi nazionali poco chiari, con una partecipazione e un coinvolgimento del settore privato ancora da definire, e con la necessità di coordinare efficacemente le azioni a livello nazionale, regionale e locale. La mancanza di fondi specifici e di un quadro chiaro per la partecipazione degli enti locali e dei privati rende difficile la concretizzazione delle azioni proposte e la decisione delle priorità, e quindi c'è da dubitare fortemente sulla sua reale efficacia. Molto dipenderà dal ruolo e dalle azioni che l'Osservatorio deciderà di assumere, e - come è stato finora - dalla capacità tecnica e volontà politica dei territori.

 

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