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Ambiente

Le nevicate primaverili ci hanno sorpreso, ma questo sarà davvero un anno di tregua per il ritiro dei ghiacciai alpini?

La stagione invernale, anche quest'anno, ci ha lasciati sorpresi e confusi, con mesi di completa assenza di neve, seguiti da copiose precipitazioni primaverili che hanno fatto passare molti bacini idrici del Nord Italia da forti deficit a notevoli surplus. Ma, in questo contesto, come stanno i ghiacciai?

di
Jacopo Pasotti
25 maggio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Seguendo un copione a cui ancora non siamo abituati, e sicuramente non ancora adattati, anche quest’anno le nevicate invernali ci hanno sorpreso.

 

Il copione recita di un crescente ritardo nelle nevicate all’inizio della stagione invernale, per poi rilasciare grandi quantità di acqua, liquida o cristallina, ad inverno inoltrato. O, come quest’anno, l’arrivo di una sorta di tsunami di neve verso la fine della stagione dove, in poche settimane il bacino del Po è passato da un deficit di neve del -63% ad un surplus rispetto alla media del +48% (dati Fondazione Cima).

 

Per chi frequenta la montagna, per le economie montane (ma anche delle pianure adiacenti), e per gli ecosistemi, la neve è benvenuta. Questo malgrado il disagio provocato dalle nevicate copiose concentrate in poche ore. Ma la domanda che, passato lo tsunami, si sente spesso nelle piazze è: “chissà se queste nevicate restituiranno un po’ di ghiaccio ai nostri ghiacciai!”.

 

Qualunque sia la risposta, ed è presto per dirlo, il contributo di quest’anno sarà comunque limitato. L’inverno scorso è stato decisamente povero di neve per la catena alpina. E le due ultime estati sono state torride al punto da causare una perdita del 10% del volume complessivo dei ghiacciai in Svizzera, in una manciata di mesi.

 

Ma ogni cristallo di neve in più può fare la differenza. Secondo Francesco Avanzi, idrologo alla Fondazione Cima, queste nevicate tardive ma abbondanti sulle Alpi “possono sicuramente aiutare”.  Dopo l’ormai consueto inizio in sordina, con un Natale più verde che bianco, sopratutto nelle Alpi Retiche e nord-occidentali la quantità di neve al suolo è ritornata nella media delle decadi passate. “Ci sono state zone in cui in 48-72 ore sono caduti due metri di neve, riportando i livelli nella media stagionale”, spiega il ricercatore. 

 

“La neve abbondante sulle Alpi di queste settimane può sicuramente aiutare i ghiacciai e il ciclo idrologico. Come abbiamo evidenziato in una analisi ad Aprile attualmente nelle Alpi abbiamo una notevole quantità di neve”. E questo si rifletterà tra l’altro nel livello di laghi e fiumi a inizio estate. 

 

Lo studio annunciava che le nevicate di febbraio e marzo “sono riuscite a riportare in equilibrio, per la prima volta in due anni il contenuto d'acqua nella neve (tecnicamente chiamato Snow Water Equivalent) registrando addirittura un certo surplus rispetto alla media degli ultimi 12 anni”. 

 

Avanzi aggiunge però che sulle Alpi gli inverni sono quasi da considerarsi a due piani: mentre nelle basse quote la neve ormai si presenta sempre più raramente, a favore della pioggia, alle quote sopra i 2000 metri ci possono essere nevicate, talvolta anche copiose. L’idrologo sottolinea però che in realtà queste nevicate non fanno di questo un anno particolarmente ricco di neve, ma lo riportano nella normalità come la conoscevamo fino ad ora. Mentre se lo sguardo si allungasse sull’ultimo secolo, la quantità di neve al suolo di oggi sarebbe tutt’altro che eccezionale.

 

Questa, almeno, la situazione sulle Alpi. Sugli Appennini le condizioni di innevamento sono state a dir poco misere, con la catena di conseguenze negative per i corsi d’acqua e il turismo invernale.

 

Se però il leggero surplus sulle Alpi, sopratutto alle alte quote, potrà dare un respiro ai ghiacciai alpini dopo due estati torride, è ancora tutto da vedere.

 

“Tutto dipende anche da quanto farà caldo da qui alle prossime settimane, perchè gli ultimi anni ci hanno mostrato anche che l'arrivo del caldo primaverile è spesso molto rapido e questo innesca fusioni altrettanto rapide”, dice ancora Avanzi. Vero è che l’anno scorso, all’inizio di Maggio, molti ghiacciai erano almeno in parte già scoperti dalla neve e cominciavano già la fusione estiva, spiega l’idrologo. Il fatto che siano ancora coperti dalla neve, mantiene i ghiacciai ancora in uno stato di riposo invernale.

 

Il fenomeno che oggi gioca un ruolo importante nella fusione dei ghiacciai è però anche legato agli estremi di temperatura. Glaciologi svizzeri hanno infatti osservato che le ondate di caldo estive causano fusioni eccezionali e concentrate. Nella estate del 2022 più di un terzo della perdita di massa complessiva dei ghiacciai è avvenuta in 25 giorni di ondate di calore

 

E dunque, visto che si prevede l’intensificarsi di questi eventi è chiaro quanto sia importante fare il possibile per mantenere l’aumento delle temperature sotto i fatidici 2°C. Ogni aumento di temperatura globale, anche di solo mezzo grado riscaldamento globale, provoca ondate di calore più frequenti e più gravi. O, in altre parole, una ondata di calore che si verificava una volta al decennio in un clima non alterato dalle attività umane, si verificherebbe quattro volte al decennio con un riscaldamento di 1,5°C e cinque o più volte volte con un riscaldamento di 2°C (secondo il gruppo di esperti climatici delle Nazioni Unite – Ipcc).

 

Se le nevicate di quest’anno concederanno una tregua al rapido ritiro dei ghiacciai, è ancora presto per dirlo. Ma non è tardi per ribadire l’importanza di rallentare l’aumento delle temperature, anche per proteggere inverni, neve, e ghiacciai.

 

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