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Ambiente

"Le api però non riescono a stare dietro al cambiamento perché è troppo veloce": come cambia il miele di montagna con il surriscaldamento globale

Un’intervista a due apicoltrici bellunesi per capire com’è cambiata la produzione del miele, un prodotto di eccellenza del territorio. Tra clima, uso di fertilizzanti e parassiti, gli apicoltori sono  diventati i custodi di questi preziosi impollinatori

di
Agenda17
09 ottobre | 13:00

A cura di Sandy Fiabane

 

“Sono nata con le api di mio padre e ho ripreso l’attività qualche anno dopo la sua morte, ma da allora molte cose sono cambiate, soprattutto il clima. Le api però non riescono a starci dietro perché il cambiamento è troppo veloce: cambieranno, certo, ma hanno bisogno di tempo”. Esordisce così Aurora Menegus, apicoltrice, che sarà presente alla tradizionale manifestazione “Limana paese del miele”, in programma dal 18 al 20 ottobre.

 

La festa si svolgerà a Limana, in Provincia di Belluno ed è giunta alla 15sima edizione. Offre non solo prodotti locali di qualità, ma anche convegni a tema, mostre e dimostrazioni di apicoltura e agricoltura, e una passeggiata enogastronomica sul territorio (qui il programma).

 

Anche il miele delle Dolomiti cambia con il clima

 

“La festa – racconta Menegus – è nata dall’iniziativa di poche persone, che hanno messo anima, cuore e corpo in un’idea che ha funzionato, grazie anche alla collaborazione con le scuole e l’aiuto della Pro Loco.” La zona di produzione del “Miele delle Dolomiti bellunesi” dop interessa tutto il territorio provinciale: è prodotto dall’Apis mellifera e le sue caratteristiche sono legate agli ambienti montani, per cui in base alle specie botaniche nascono diversi tipi di miele, come il millefiori, acacia, tiglio, castagno, rododentro e tarassaco.

 

Le api, però, sono sempre più in difficoltà a causa del cambiamento climatico, rendendo necessario un lavoro costante da parte degli apicoltori per preservare il loro benessere e la produzione di miele.

“Anche quest’anno – spiega Menegus - ho dovuto dare loro da bere e le ho nutrite fino a giugno, ma il cibo artificiale non è paragonabile al nettare che si procurano autonomamente. Devo dire che temo per l’inverno: nonostante la presenza di molti fiori, le api hanno mangiato poco perché stressate a causa delle temperature. Nel mio piccolo, continuo con il mio metodo e lascio a loro una parte del miele affinché possano vivere, tuttavia, anno dopo anno, se ne produce sempre meno e alcune tipologie, come il tarassaco, non ci sono praticamente più”.

 

In una goccia di miele, la vita di un’ape: il nomadismo è necessario per salvare le api  

 

“Anche per me si tratta di una passione, ma gli sbalzi di temperatura e i cambiamenti climatici nel tempo ci hanno messo a dura prova – conferma Lorena De Barba, apicoltrice locale -. Inoltre, sono cambiate le tipologie di miele: quest’anno non ci sono monoflora, perché a causa del freddo le fioriture sono partite a metà giugno, ma già a metà luglio abbiamo interrotto la produzione per fare i trattamenti: in quel mese c’è stata un’esplosione di fioriture tutte assieme e una concentrazione di profumi, gusti e aromi che ha portato ad avere solo miele millefiori”.

 

E molto dipende anche dalla quota di produzione. “L’unica cosa che diversifica il miele – prosegue – è l’altitudine: io ho distribuito le api in luoghi diversi, con postazioni sia fisse sia mobili. Ad esempio portiamo giù quelle di Valmorel a fine stagione, ottenendo un particolare tipo di miele in un momento preciso. In montagna sicuramente la produzione e il benessere delle api crescono, grazie a un clima più favorevole.

 

Pur essendo molte le variabili che interagiscono con l’apicoltura, infatti, la principale è il clima: non solo dobbiamo nutrirle e abbeverarle, ma anche spostarle. Il nomadismo serve ormai non solo per la produzione, ma anche per salvare le api e nutrirle artificialmente il meno possibile. Teniamo presente che vivono dai 30 ai 45 giorni, durante i quali lavorano costantemente, con un ricambio continuo garantito dalla regina: per questo in un cucchiaino di miele c’è tutta la vita di un’ape e in un vasetto ci sono migliaia di microprelievi del territorio, quindi ogni goccia è preziosissima”.

 

L’ulteriore minaccia dei pesticidi: ma collaborando si può convivere

 

Altro grande rischio è l’uso intensivo di prodotti chimici in agricoltura e nella coltivazione dei filari per la produzione di prosecco. “Oggi molti produttori sono più sensibili – spiega De Barba – specie dove c’è l’apicoltura. Le due cose possono convivere, l’importante è il rispetto delle regole e, salvo le consuete eccezioni, c’è attenzione. Ad esempio, poiché uno dei problemi principali sono i fiori sotto le viti, molti produttori tagliano il prato prima dei trattamenti, riducendone l’impatto”.

 

“Dove ho le mie arnie – aggiunge Menegus – non ci sono filari, ma ci sono comunque coltivazioni dove si usano diserbanti. La mattina le api vanno a bere ai margini dei campi ma, parlando con gli agricoltori, hanno spostato i trattamenti la sera. O nel caso del mais, la goccia di diserbante si ferma in cima alla pianta, dove bevono le api: in questo caso è bene usare i prodotti prima che la pianta nasca oppure appena prima della pioggia. Di fatto, l’apicoltore ha bisogno dell’agricoltore per la cura dei prati e, allo stesso modo, quest’ultimo ha bisogno delle api per l’impollinazione: ci vuole collaborazione”.

 

Clima, fioriture e parassiti: gli apicoltori guardiani delle api

 

Infine i parassiti, contro cui le api si trovano indifese. Una minaccia che avanza è la vespa velutina, o calabrone asiatico, diffusa anche in Italia: recentemente se ne sono trovati esemplari in Piemonte, mentre la Valle d’Aosta ha avviato dei corsi di formazione per conoscere e neutralizzare i nidi. “Le api – osserva Menegus – si difendono non uscendo dall’alveare e, quindi, morendovi all’interno. È un po’ più piccola del nostro calabrone e si distingue per le zampe gialle e un cerchio giallo in più nel corpo. Da noi fortunatamente non è arrivata, tuttavia è già presente a Rovigo, quindi è possibile che si diffonda come è stato per la varroa.”

 

Che è oggi il principale nemico: un acaro che priva le api della linfa vitale e trasmette la varroatosi. “La varroa – conclude De Barba – si sviluppa nelle cellette delle api e deve essere trattata adeguatamente dopo la nascita delle api. Tutto dipende da come l’apicoltore gestisce i trattamenti, che andrebbero fatti tutti assieme visto che l’ape si sposta, per cui è una responsabilità comune salvaguardare il patrimonio.

 

Dobbiamo insomma fare attenzione a molte cose: se da sempre le api sono le sentinelle del creato, oggi gli apicoltori sono diventati i custodi e i guardiani delle api e, per farlo, è fondamentale avere passione”.

l'autore
Agenda17

Agenda17 è realizzato dal laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara in collaborazione con l'Ufficio stampa, comunicazione istituzionale e digitale dell'Università di Ferrara. Pubblica notizie e contenuti scientifici relative ai 17 obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile, declinandoli nei relativi contesti sociali, economici, culturali e politici

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