Contenuto sponsorizzato
Ambiente

La montagna tradizionale non esiste più: come si costruisce il cambiamento (dal basso) nel libro “Montagne immaginarie” di Michele Sasso

L’immagine idilliaca ma ormai illusoria della montagna, i cambiamenti climatici, la sfida della “restanza”: abbiamo intervistato Michele Sasso sulla sua inchiesta, che ha esplorato luoghi e modelli di sviluppo di Alpi e Appennini per fare luce sui problemi che schiacciano le terre alte e su come reagiscono sindaci e abitanti

di
Agenda17
28 December | 12:00

A cura di Sandy Fiabane

 

Una nuova montagna non è utopia. In Italia ci sono già migliaia di persone che cercano nuovi modi dell’abitare: non quelli imposti dai cittadini che cercano in montagna le stesse cose di cui usufruiscono in città, ma altri completamente diversi. A partire dal fenomeno della restanza e dai nomadi metromontani.” Così Michele Sasso, giornalista, introduce a L’AltraMontagna il suo nuovo libro “Montagne immaginarie”. Edito da Edizioni Ambiente per la collana Verde Nero Inchieste, in collaborazione con Legambiente, nasce da un viaggio tra i problemi, le difficoltà e le buone pratiche che interessano il presente e il futuro delle montagne italiane.

 

Ma cosa significano “restanza” e “nomadi metromontani”? La restanza è la necessità e al contempo la volontà di creare un nuovo senso dei luoghi, riguarda chi “resta”, vivendo questi luoghi in un processo rigenerativo che riguarda anche (ma non solo) le terre alte. E i metronomadi fanno parte di coloro che restano, decidendo di spostarsi abitualmente tra la città e i piccoli paesi per portare il loro contributo a questo nuovo abitare.

 

“Le montagne immaginarie e da immaginare per il XXI secolo possono essere abitabili e produttive e non solo oggetto passivo di consumo o di prelievi smodati di acqua da trasformare in milioni di bottiglie di minerale. Servono racconti al positivo, fondamentali per uscire dal fatalismo che attraversa tante comunità alpine e appenniniche. Servono narrazioni non solo di supereroi capaci di vivere in condizioni estreme, ma narrazioni “normali”, di persone comuni.”

 

Agroalimentare e ricerca scientifica per rilanciare il settore, ma bisogna superare monoculture e sistema di erogazione dei fondi

 

Occorre dunque partire da una visione diversa da quella “metrocentrica” nella quale la montagna è un prolungamento delle città, un luogo di svago e consumo. Il rilancio delle aree interne non passa solo dalla loro fruizione “lenta”, ma devono tornare a essere luoghi dell’abitare quotidiano e la crisi climatica offre paradossalmente delle occasioni per avvicinare montagna e città, tra le quali lo sviluppo di nuove colture in quota, riscoprendo antiche varietà locali e studiando, in sinergia con la ricerca, varietà più resistenti.

 

Sono però due i principali ostacoli da superare oggi: la diffusione delle monoculture e l’attuale sistema di erogazione di contributi, sbilanciato a favore dei produttori più ricchi. “Quando interviene, la politica lo fa con manovre a senso unico – spiega Sasso – cioè verso un modello di agricoltura intensivo. Ciò a cui abbiamo assistito l’anno scorso è esemplificativo: la Politica agricola comune (PAC) europea chiedeva di diminuire l’uso di sostanze tossiche e di lasciare ciclicamente a riposo i terreni per favorire la biodiversità. I contadini italiani ed europei, aizzati da una certa politica, sono però scesi in piazza contro una decisione che tutelava i loro diritti e il loro futuro. 

 

Invece il problema principale è un altro, cioè la mafia dei pascoli e il sistema di ‘incetta’ dei fondi europei tramite prestanome, che schiacciano il tessuto economico di agricoltori e allevatori che sono la parte sana della filiera produttiva.

 

Inoltre la tipicità che tutti noi cerchiamo in montagna ormai non esiste più. La bresaola della Valtellina viene dall’Argentina, il disciplinare del prosecco di Valdobbiadene arriva fino a Trieste, e così via: si tratta di una struttura tipica del nostro sistema produttivo che, dove arriva la grande distribuzione, perde la tipicità. E anche con questo dobbiamo fare i conti: se tutti vogliamo mangiare certi prodotti, dobbiamo sapere che le risorse sono limitate e ci saranno sempre più problemi per l'approvvigionamento”.

 

“Restanza”: la costruzione di un nuovo abitare in montagna

 

Per questo il libro propone dei racconti al positivo, storie di chi decide di restare e costruire il cambiamento. Il concetto di “restanza”, introdotto dall’antropologo Vito Teti, riguarda la volontà e la necessità di sviluppare un nuovo senso dei luoghi e un nuovo modo di abitarli. 

 

Una nuova tendenza è quella dei nomadi metromontani – spiega Sasso –, come il produttore che produce sopra il lago Maggiore e va a vendere a Milano, o chi scende in pianura per lavorare e  quotidianamente risale nella media montagna. Ci sono poi i nomadi che abitano in città e, per alcuni periodi dell’anno, si spostano in centri minori per organizzare cammini e iniziative culturali dal basso, diversi da quelli tradizionali. Sull’Appennino, ad esempio, nonostante la miopia della politica in tanti hanno capito che non ha senso costruire nuovi impianti e cercano qualcosa di diverso, come un gruppo di ragazzi di Arquata del Tronto che, dopo il terremoto, è ripartito da una visione diversa, cioè mettere in rete i sentieri che collegano le frazioni e offrendo un turismo attento alle esigenze locali.

 

Il cambiamento dunque deve partire dal basso. E tutti coloro che vivono in questi territori chiedono sempre le stesse cose: di non essere considerati cittadini di serie b e, quindi, di avere accesso ai servizi, alla sanità, alla banda larga, cioè di poter vivere dignitosamente.”

 

Montagna e clima: partire dall’infrastruttura culturale per cambiare modello di sviluppo

 

Infine, il clima: c’è consapevolezza di quanto sta accadendo? “Le Alpi sono un hotspot incredibile – conclude Sasso – e qui i cambiamenti climatici sono più accentuati. La crisi è sotto gli occhi di tutti, eppure manca una consapevolezza profonda: mentre gli osservatori più attenti se ne accorgono e non chiudono gli occhi, altri non provano nemmeno a immaginare un modello diverso rispetto a quello nel quale il solo costruire infrastrutture e impianti sciistici equivale a maggiore sviluppo e benessere.

 

Oggi si continua a puntare al gigantismo: centinaia di chilometri di piste, ski dome dove sciare tutto l’anno e iniziative collaterali allo sci per fare concorrenza a player globali di Asia e Nord America. Tutto ciò scatena una folle corsa ad alzare sempre più l’asticella, vendendo pacchetti che sfruttano in maniera sempre più intensiva la montagna.

 

Come sostiene Franco Arminio, bisogna lavorare sull'infrastruttura culturale, del pensiero, e cambiare l’atteggiamento verso un modello superato. Vale per turisti come per gli abitanti: finché io cittadino voglio andare in montagna e trovare quell’offerta lì, l’abitante della zona sarà portato a darmela. Se però si progettano nuovi tipi dell’abitare, si può cambiare anche quell’approccio”.

 

l'autore
Agenda17

Agenda17 è realizzato dal laboratorio DOS (Design of Science) dell'Università di Ferrara in collaborazione con l'Ufficio stampa, comunicazione istituzionale e digitale dell'Università di Ferrara. Pubblica notizie e contenuti scientifici relative ai 17 obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile, declinandoli nei relativi contesti sociali, economici, culturali e politici

SOSTIENICI CON
UNA DONAZIONE
Contenuto sponsorizzato
recenti
Attualità
| 22 January | 06:00
Il primo cittadino di Valbondione, Walter Semperboni, difende il progetto di collegamento dei comprensori sciistici di Colere e Lizzola. Poi attacca: "Gli pseudo ambientalisti che fanno yoga nel bosco mi propongano un'alternativa"
Sport
| 21 January | 20:00
L’atleta del team La Sportiva segna un nuovo traguardo nella storia del bouldering italiano. L'impresa compiuta a Tintorale in Abruzzo: ''Big Slamm non è stato solo un semplice sasso o una scalata difficile, ma un vero maestro di vita''
Attualità
| 21 January | 18:00
Un accostamento che a un primo sguardo può sembrare decisamente azzardato, ma a ben guardare delle connessioni ci sono: la "città del peccato" nei decenni ha sviluppato una sua monocoltura economica incentrata sul gioco d'azzardo che tuttavia sta iniziando a mostrare qualche crepa. Pertanto ha avviato una diversificazione della proposta
Contenuto sponsorizzato