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Ambiente

Il pianeta ha bisogno di più studiosi dei ghiacci

Quella di ieri, a Cop29 è stata una giornata interamente dedicata ai ghiacciai: nella zona che ospita i padiglioni delle diverse delegazioni si sono svolte tavole rotonde, presentazioni di documentari, di rapporti scientifici, di risultati di ultime analisi. Accenti diversi componevano questa sequenza lunghissima di interventi da pochi minuti l’uno, che con parole e prospettive personali delineavano un’immagine comune, quella di una comunità della criosfera che si trova di fronte a sfide senza precedenti e non ha abbastanza mani (o menti) per affontarle

di
Diario da Cop29
17 novembre | 13:00

Quella di ieri è stata una giornata interamente dedicata alle aree montane e ai ghiacciai che si trovano alle alte quote del pianeta: nella zona che ospita i padiglioni delle diverse delegazioni si sono svolte tavole rotonde, presentazioni di documentari, di rapporti scientifici, di risultati di ultime analisi. A parlare, spesso in contemporanea, ai capi opposti dell’enorme stanza che sembra estendersi all’infinito in tutte le direzioni, c’erano nomi altisonanti: direttori di istituti internazionali, inviati speciali delle Nazioni Unite, rappresentati di programmi dell’Unesco e così via. Accenti diversi componevano questa sequenza lunghissima di interventi da pochi minuti l’uno, che con parole e prospettive personali delineavano un’immagine comune, quella di una comunità della criosfera che a volte ha la sensazione di gridare senza essere sentita.

 

In particolare, molti degli interventi della giornata di oggi erano dedicati al fatto che il prossimo anno, il 2025, non solo sarà l'Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai ma aprirà anche la decade dell’Azione per le Scienze Criosferiche da parte delle Nazioni Unite. Lungi dall’essere solamente dei nomi privi di contenuto, queste iniziative rappresentano delle occasioni fondamentali per spingere la collaborazione tra discipline diverse e tra regioni diverse del mondo allo step successivo.

 

“Abbiamo bisogno di maggiore slancio politico sul tema dell’acqua e quindi dei ghiacciai - ha dichiarato Zulfiya Suleimenova, consulente del presidente del Kazakhstan in materia ambientale - lavorare su questi partneriati può creare lo spazio per integrare le conoscenze della comunità locale e creare opportunità per i glaciologi più giovani, mobilitando le risorse finanziarie necessarie”.

A quanto pare, ascoltando opinioni dei massimi esperti del settore provenienti da tutto il globo e riuniti qui per provare a cambiare le cose e salvare i giganti di ghiaccio che versano ormai in condizioni drammatiche (come conferma il rapporto pubblicato il secondo giorno di Cop29, di cui abbiamo parlato qui) mancano i glaciologi.

 

“Dobbiamo lavorare sulla comunicazione, ispirare i giovani a studiare questa materia” ha dichiarato Heidi Sevestre, glaciologa e comunicatrice scientifica molto nota, poco dopo, sostenendo la tesi per cui c’è tanto lavoro da fare, tanti gap conoscitivi da colmare, ma mancano gli esperti per farlo.

 

"Pensate che in Colombia di glaciologo ce n'è solo uno - ha aggiunto Sevestre - e quest'anno è anche scomparso il ghiacciaio che stava studiando e monitorando da decenni". Questa frase mi ha incuriosita e ho fatto ulteriori ricerche: la persona che citava Sevestre si chiama Jorge Luis Ceballos, è davvero l'unico glaciologo della Colombia, che è un Paese con alcuni dei pochi ghiacciai tropicali rimasti sul pianeta. Per citare El Pais, che gli ha dedicato un lungo articolo (che si trova qui in lingua inglese) "è il pioniere della glaciologia moderna in Colombia e il suo ultimo praticante".  Ceballos ha lavorato per anni per la tutela dei ghiacciai tropicali colombiani e l'ha fatto da un punto di vista sia scientifico che politico, diplomatico e persino antropologico. Continuando a citare El Pais "ha negoziato con i guerriglieri per installare stazioni meteorologiche nel loro territorio, ha addestrato giovani guide alpine e ha insegnato in scuole rurali così remote che alcuni bambini devono percorrere due ore a cavallo per arrivare in classe".

 

Solo poche ore dopo mi trovavo al Padiglione Italia che ha ospitato un evento dedicato a raccontare al mondo quali sono le sfide e le opportunità che le montagne italiane presentano: tra le voci che hanno condiviso la propria prospettiva c’erano ricercatori di diverse università italiane, del Club Alpino Italiano e dell’Aeronautica Militare. Anche in questa sede si è parlato di formazione di nuove leve, di corsi universitari per preparare i climatologi e gli specialisti della criosfera del domani, di cui abbiamo disperatamente bisogno.

Ascoltare questi voci, stamattina, mi ha fatto tornare in mente un articolo scritto da Sebastiano Piccoloraz, dell’Università di Trento, pubblicato su Nature, che faceva delle considerazioni simili a partire dall’alluvione di Valencia.

 

Secondo il ricercatore infatti l’alluvione ha messo in evidenza che se da una parte la necessità di una solida gestione delle alluvioni a livello locale, nazionale e globale diventa sempre più urgente, alcuni Paesi registrano un preoccupante calo delle iscrizioni degli studenti nei settori pertinenti. In particolare, l’Italia mostra chiaramente questa tendenza. Citando Piccolroaz: “Dal 2010 al 2023, le iscrizioni a livello universitario in ingegneria civile e ambientale sono diminuite del 45%, in geologia del 42% e in silvicoltura del 19%, secondo i dati del Ministero dell'Istruzione italiano”.

 

Insomma, il messaggio - che arriva da più fronti - è chiaro: la crisi climatica ci sta mettendo e ci metterà di fronte a situazioni sempre più complesse da gestire, che si tratti di frane che portano via interi paesi, di alluvioni che fanno scomparire pezzi di strada, di esplosioni di laghi glaciali che inondano intere vallate (solo per citare alcuni esempi di fatti realmente accaduti nelle terre alte dell'Italia e del mondo negli ultimi mesi), e parte dell'azione che dobbiamo portare avanti consiste anche nell'avere professionisti formati a gestire le nuove emergenze, a disegnare le infrastrutture del futuro.

 

Foto in copertina scattata da me, ad agosto 2023, nel Canton Vallese.

l'autore
Diario da Cop29

Questo spazio è dedicato al racconto della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge dall'11 al 23 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian. Sofia Farina seguirà i negoziati sul posto per L'AltraMontagna, portando i lettori nel mondo dei negoziati climatici, guidandoli alla scoperta delle questioni più stringenti per i leader del pianeta (e non solo)

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