Il museo diffuso “Mu.Ri” raccoglie l’eredità ingegneristica lungo il Piave. Andrea Zannini racconta il progetto tra acqua, infrastrutture e nuovi invasi
Parlare del nuovo invaso del Vanoi in provincia di Belluno significa ampliare il discorso alle infrastrutture fluviali e alla loro storia. Per capire lo spessore storico e culturale di tali opere e di come queste opere si inseriscano nelle comunità in cui insistono è nato Mu.Ri, museo diffuso regionale dell'ingegneria, che raccoglie tutte le opere ingegneristiche costruite sul bacino idrografico del Piave. Abbiamo chiesto ad Andrea Zannini, docente di “Storia d’Europa” all’Università di Udine, alcune domande per capire come ingegneria territorio e comunità possano comunicare e integrarsi a vicenda
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Parlare del nuovo invaso del Vanoi in provincia di Belluno significa ampliare il discorso alle infrastrutture fluviali e alla loro storia. Il territorio bellunese, attraversato dal fiume Piave, è cosparso di opere ingegneristiche legate alla produzione di energia elettrica (e non) fatte da dighe, ponti, argini, viadotti, strade e ferrovie. Alcune di queste infrastrutture sono entrate nella storia locale (basti pensare alla diga del Vajont) mentre per molte altre opere il passare degli anni è coinciso con il diventare parte integrante del territorio e del paesaggio. Per capire lo spessore storico e culturale di tali opere e di come queste opere si inseriscano nelle comunità in cui insistono è nato Mu.Ri, museo diffuso regionale dell'ingegneria, che raccoglie tutte le opere ingegneristiche costruite sul bacino idrografico del Piave.
Come si legge nel sito del museo diffuso, “le opere di ingegneria sono considerate custodi dell’evoluzione del pensiero e del lavoro dell’uomo, ma anche traccia della storia e fondamentale chiave di lettura delle trasformazioni territoriali, sociali ed economiche”.
Abbiamo chiesto ad Andrea Zannini, docente di “Storia d’Europa” all’Università di Udine, alcune domande per capire come ingegneria territorio e comunità possano comunicare e integrarsi a vicenda.
Come è nata l’esigenza di creare un museo regionale diffuso dell'ingegneria (e quindi delle infrastrutture) lungo la linea del Piave?
“L’idea di Mu.Ri. è nata molti anni fa all’architetto Giorgio Pradella di Mogliano Veneto, che ha coinvolto le Università di Padova e Udine e una serie di istituzioni e studiosi interessati a considerare in modo nuovo il paesaggio investito dalla modernizzazione novecentesca. Il bacino idrografico del Piave rappresenta un caso unico a livello mondiale di interazione ambiente, antropizzazione e ingegnerizzazione del territorio. Si tratta di una vicenda plurisecolare che parte almeno da quando il fiume era l’autostrada del legno verso la Serenissima, prosegue con i primi impianti idroelettrici delle Alpi orientali, il progetto del Grande Vajont e la tragedia del 1963, il decollo industriale della pianura e della montagna, quello turistico delle Dolomiti fino ad arrivare ai nostri anni arsi.”
Laghi e canali artificiali, dighe, centrali, sono parte integrante della storia di un territorio e con il passare degli anni diventa parte della cultura e della memoria collettiva e di paesaggio. Cosa abbiamo imparato come lezione fondamentale nel rapporto tra grandi opere ingegneristiche e comunità montane?
Continua Zannini: “Nonostante si dica che la storia non insegna nulla, crediamo che il solo fatto che essa sia solidamente visibile nei manufatti spesso ingombranti oggi alla vista di chiunque possa essere un elemento utile a pensare in modo diverso al nostro presente e dunque anche al nostro futuro.
In primo luogo va superata l’impressione che le opere dell’uomo siano qualcosa di estraneo al paesaggio. Esse ne fanno parte a tutti gli effetti, sia quando lo nobilitano, magari perché hanno ormai raggiunto un certo grado di “antichità” e all’occhio non disturbano più, sia quando invece risultano insopportabili. Se guardassimo ai luoghi dove abitiamo o nei quali transitiamo come “paesaggi” nella loro profondità storica e non solo come territorio, o “terreno” (agricolo, industriale ecc.) sarebbe già un bel salto di consapevolezza. Ci permetterebbe, ad esempio, di considerare le conseguenze di quegli interventi pesanti, “impattanti” come si dice oggi, che non alterano solo il paesaggio che noi consideriamo naturale ma modificano la vita di chi in quei luoghi vive ogni giorno.”
A 20 km in linea d’aria dal Piave si discute di un nuovo invaso da 33 milioni di metri cubi, la diga sul torrente Vanoi. Da un lato l’aggravarsi della crisi climatica richiede nuovi bacini di raccolta acqua in montagna, dall’altro ritorniamo a parlare ancora di rapporti di forza tra la pianura e la montagna. Come si arriva ad un “compromesso”?
“Prima che un compromesso, sarebbe doveroso cercare un dialogo. Mi spiego: la rete idroelettrica delle nostre Alpi è stata costruita un secolo fa sulla base delle esigenze dell’industrializzazione di Porto Marghera e delle città della pianura. Per aumentare questa importantissima fonte di energia pulita (che rappresenta in Italia il 40% dell’energia rinnovabile prodotta) tutti sanno che più che su nuovi invasi conviene investire per innovare tecnologicamente gli impianti: è meno costoso, più sostenibile.
Da quanto si legge la diga sul Vanoi avrebbe piuttosto la funzione di vasca di laminazione, per controllare le piene del sistema Cismon-Brenta, e di serbatoio per l’irrigazione dell’agricoltura di pianura. Che tale decisione, nel 2024, venga presa senza coinvolgere le comunità locali (nemmeno le province), senza condividere il progetto, questo lascia molto perplessi. L’esperienza storica mostra che spesso, prima di tutto, dietro a queste iniziative non ci sono gli interessi del bene comune ma quelli concreti di investitori, gruppi industriali, aziende costruttrici ecc. Se non è così, anche questo dovrebbe essere spiegato alle comunità locali.”
Progettare un’opera ingegneristica su un territorio significa coinvolgere le popolazioni locali durante le fasi di progettazione. Durante tutto il secolo scorso la corsa all’energia idroelettrica ha imposto la realizzazione di alcune infrastrutture contro la volontà della cittadinanza locale. Oggi, dopo 100 anni di esperienze (positive e negative), la politica e i decisori dovrebbero aver capito che uno degli ingredienti alla base dell'accettazione di una nuova opera è la trasparenza e la partecipazione progettuale. Una lezione che dovrebbe essere applicata al caso del Vanoi dove c’è ancora tempo per mettere in comunicazione la politica regionale e i territori.