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Ambiente

Gli impatti del surriscaldamento sulla regione del Caucaso, dove stanno per svolgersi i negoziati mondiali sul cambiamento climatico

Tra pochi giorni inizierà a Baku la ventinovesima conferenza dell'Onu sul Cambiamento Climatico, Cop29. Il paese che ospita i negoziati ha fatto storcere il naso a molti: l'Azerbaigian deve la maggior parte della sua ricchezza proprio ai combustibili fossili che l'azione climatica chiede di abbandonare con urgenza ed è un paese che si distingue per una scarsa tolleranza dell'attivismo. Ma al di là di tutto questo, il paese che presiederà i negoziati, quanto risente degli impatti del cambiamento climatico in atto?

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Diario da Cop29
08 novembre | 06:00

A cura di Sofia Farina

 

Tra pochi giorni inizierà a Baku la ventinovesima conferenza dell'Onu sul Cambiamento Climatico, Cop29. Il paese che ospita i negoziati, per il terzo anno di fila, ha fatto storcere il naso a molti, tanto che diversi volti molto noti dell'attivismo climatico globale hanno comunicato che non saranno presenti: l'Azerbaigian infatti deve la maggior parte della sua ricchezza proprio ai combustibili fossili che l'azione climatica chiede di abbandonare con urgenza, è un paese che si distingue per lo scarso rispetto dei diritti umani delle minoranze e una scarsa tolleranza dell'attivismo. Ma al di là di tutto questo, il paese che presiederà i negoziati, quanto risente degli impatti del cambiamento climatico in atto?

 

La risposta ci arriva dal Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (Unep) che ha pubblicato, pochi giorni fa, un rapporto sull'impatto del surriscaldamento globale sui sei Paesi del Caucaso, tra cui, per l'appunto, l'Azerbaigian. La pubblicazione redatta da esperti nazionali e regionali di spicco dei sei Paesi, insieme a 40 revisori internazionali e nazionali, si focalizza sull'ecoregione che comprende Armenia, Azerbaigian e Georgia, oltre a regioni della Repubblica Islamica dell'Iran, della Federazione Russa e della Turchia.

Come emerge dagli studi, i ghiacciai della regione caucasica si sono già ritirati in media di 600 metri nel corso dell'ultimo secolo, e più di 11 miliardi di tonnellate di acqua dolce - precedentemente immagazzinata nel ghiaccio - sono andate perse dal 2000. 

 

L'acqua è una risorsa distribuita in modo sempre meno uniforme nella regione, e le previsioni per il futuro non sono rosee: ci si aspetta che i flussi fluviali nella maggior parte dei Paesi diminuiranno del 20% entro il 2100. Già solo nel 2020, il flusso fluviale è già crollato del 26% in Armenia e del 20% in Azerbaigian, e nei 20 anni successivi la portata annuale della sezione di chiusura del fiume Kura - che attraversa la Turchia, la Georgia e l'Azerbaigian - è diminuirà di un ulteriore 20%. Inoltre, dal 2000 i prelievi di acque sotterranee sono raddoppiati in Armenia e aumentati del 400% in Azerbaigian.  A completare questo quadro ci sono le conseguenze della riduzione della copertura nevosa e il ritiro dei ghiacciai: gli autori del rapporto prevedono che l'approvvigionamento di acqua dolce si ridurrà ulteriormente nei prossimi decenni, richiedendo soluzioni innovative e la condivisione e il monitoraggio transfrontaliero dei dati.

 

La fusione dei ghiacciai, inoltre, determina già un grave rischio di inondazioni e richiede un monitoraggio costante: a dimostrazione di questo, ad esempio, nell'agosto del 2023 una devastante colata di fango, innescata da intense precipitazioni e dallo scioglimento dei ghiacciai, ha causato ingenti distruzioni e la perdita di almeno 24 vite nel villaggio di Shovi, nella regione di Racha, in Georgia.

 

In termini di surriscaldamento, si prevede che le temperature medie arrivino ad aumentare fino a 3,6°C entro la fine del secolo rispetto al periodo 1970-2000, ipotizzando di seguire lo scenario di medie-alte emissioni dell'Ipcc, con un riscaldamento più rapido nelle regioni montane. Inoltre, si prevede un aumento delle ondate di calore in tutta la regione, nonostante il numero e la durata dei giorni estremamente caldi e delle ondate di calore durante i mesi estivi in Azerbaigian sono già significativi. Basti pensare che le temperature dell'aria hanno raggiunto 35°C e oltre nella capitale del Paese, Baku, per un totale di 86 giorni nel periodo 1960-1990, un valore che sale a 365 giorni se si considera il periodo che va dal 1991 al 2020.

 

Una ulteriore (e sempre più pressante) minaccia ambientale è rappresentata dall'erosione, spesso causata da una combinazione di piogge abbondanti, pratiche fondiarie non sostenibili e rischi naturali. Questo fenomeno, tra le varie, riduce la terra coltivabile per i mezzi di sostentamento delle popolazioni rurali: un caso emblematico è dato dalla Turchia, dove ampie porzioni di territorio sono messe a dura prova dall'erosione, con circa il 71% dei terreni agricoli e il 59% dei pascoli colpiti.

Guardando nello specifico alle terre alte dell'Azerbaigian, che ospitano il 20% della popolazione del paese, scopriamo che si tratta di un'area classificata come altamente vulnerabile ai cambiamenti climatici: i rischi principali sono inondazioni, valanghe, frane e colate di fango, che vanno ad agire su infrastrutture spesso instabili con conseguenze distruttive. Inoltre, il settore agricolo, che svolge un ruolo significativo nell'economia nazionale dell'Azerbaigian, con circa il 58% della superficie utilizzata per l'agricoltura e oltre il 36,4% dell'occupazione in questo settore (che contribuisce al 5% del Pil) sarà (ed è già, in realtà), fortemente colpito dalla relativa scarsità di acqua, intervallata alle inondazioni, che caratterizzeranno il paese.

Secondo il profilo di vulnerabilità del paese delineato dalla Banca Mondiale, i cambiamenti climatici influenzeranno la produzione alimentare attraverso effetti diretti (come le alterazioni della disponibilità di anidride carbonica, delle precipitazioni e delle temperature) e indiretti (come la disponibilità e la stagionalità delle risorse idriche, la trasformazione della materia organica del suolo, l'erosione del suolo, i cambiamenti nei parassiti e l'arrivo di piante invasive sui processi di crescita delle colture).

 

“Con l'avvicinarsi della Cop29, la necessità di ridurre le emissioni e di adattarsi ai cambiamenti climatici è messa a nudo”, ha dichiarato il direttore dell'Ufficio Europa dell'Unep, Arnold Kreilhuber. “Il rapporto dell'Unep sul divario di emissioni nel 2024 ha recentemente rivelato che mentre l'obiettivo di 1,5 gradi è ancora raggiungibile, le politiche attuali ci stanno portando verso un aumento catastrofico della temperatura globale di 3,1°C. Nel Caucaso,  questo rapporto non si limita a lanciare l'allarme, ma fornisce indicazioni preziose per contribuire a mitigare gli impatti del clima sulle persone e sull'ambiente”.

 

 

Tra le raccomandazioni, gli autori del rapporto affermano che i cambiamenti climatici e le misure di adattamento dovrebbero essere integrati nelle politiche e nella legislazione, il che richiede un forte sostegno politico. Anche la pianificazione urbana dovrebbe tenere maggiormente conto dell'ambiente, mentre si dovrebbero elaborare piani di gestione dei bacini idrici transfrontalieri, sottolinea il rapporto.

Nel rapporto si sottolinea anche l'esistenza di un grande potenziale di miglioramento, oltre al fatto che qualche timido passo in avanti (in termini di tutela ambientale) è già stato compiuto, infatti l'area terrestre protetta nella regione del Caucaso è aumentata. L'Azerbaigian, nello specifico, protegge il 9% del suo territorio, rispetto al 4% di otto anni fa, mentre poco meno dell'11% della Georgia è protetto, rispetto a poco più del 6% nello stesso periodo.

 

Inoltre, in tutta l'ecoregione del Caucaso - un termine che indica un'area con caratteristiche climatiche e naturali simili - esistono soluzioni di adattamento concrete e testate, che applicano le tradizioni e le culture locali, come la rivitalizzazione dei vigneti contro l'erosione del suolo o il miglioramento dei metodi di pascolo. Altri percorsi per l'adattamento ai cambiamenti climatici si trovano nel rapporto intitolato "Soluzioni per il Sud del Caucaso" realizzato proprio dall'Unep.

“I processi ambientali e socioeconomici nei Paesi del Caucaso sono molto simili, soprattutto nei territori montani. Tuttavia, ogni Paese cerca soluzioni ai problemi in modo indipendente, mentre gli sforzi congiunti darebbero risultati migliori”, ha dichiarato Dmitry Koryukhin, uno dei ricercatori che ha scritto il rapporto.

l'autore
Diario da Cop29

Questo spazio è dedicato al racconto della Cop29, la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolge dall'11 al 23 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian. Sofia Farina seguirà i negoziati sul posto per L'AltraMontagna, portando i lettori nel mondo dei negoziati climatici, guidandoli alla scoperta delle questioni più stringenti per i leader del pianeta (e non solo)

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