"Gli alberi abbattuti da Vaia hanno spinto a riflettere sulla finitudine dell'uomo rispetto ai cicli lenti della natura". Iolanda Da Deppo ospite di "Un quarto d'ora per acclimatarsi"
Iolanda Da Deppo, antropologa, racconta i risultati delle ricerche sull'effetto che la tempesta Vaia ha avuto su coloro che l'hanno vissuta o ne stanno vivendo gli effetti a Un quarto d'ora per acclimatarsi, il podcast de L'AltraMontagna che approfondisce i problemi ambientali e sociali sperimentati dalle terre alte tramite la voce di chi le vive, le affronta e le studia
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Negli ultimi giorni di ottobre 2018, la tempesta Vaia, con le sue raffiche di vento di oltre 200 km/h ha abbattuto 42 milioni di alberi in una vasta area che si estende dalla Lombardia al Friuli Venezia Giulia, causando danni per circa 3 miliardi di euro.
Questo evento catastrofico è stato oggetto di numerose ricerche: la tempesta Vaia viene analizzata in oltre 50 articoli scientifici su tematiche che vanno dai danni alle foreste, all’impatto dei detriti sulle coste, dagli impatti sulla capacità di assorbire carbonio delle foreste, alle risposte idrologiche e geomorfologiche e delle falde acquifere. Indagini di natura tecnico-scientifica e giornalistica ci hanno raccontato gli effetti sui territori colpiti, ma c’è qualcuno che ha scelto di indagare l’impatto emotivo e umano di un evento di questo tipo sulle persone che quei tali territori vivono. L’ospite dell’ultima puntata di Un quarto d’ora per acclimatarsi è proprio una delle studiose che hanno portato avanti questa ricerca: l’antropologa Iolanda Da Deppo, che insieme a Daniela Perco e Michele Trentini ha portato avanti una ricerca mirata proprio a comprendere gli effetti della tempesta Vaia sulle persone che, loro malgrado, si sono trovate a viverla, e a raccogliere un archivio di testimonianze finché è ancora viva la memoria dell’evento.
“Con questa ricerca volevamo di mettere in luce non tanto i traumi vissuti dalle persone, che comunque costituiscono una parte importante delle delle memorie che abbiamo rilevato, ma soprattutto i mutamenti percepiti da parte delle comunità e dei singoli rispetto al clima e rispetto al paesaggio”. Per farlo, il team ha realizzato una “ricerca condotta sul terreno con i metodi della ricerca etnografica, attraverso l'uso delle interviste, e lavorando sull’antropologia alpina”.
Per lo studio sono stati presi in considerazione dei luoghi particolari, come spiega l’antropologa: “Ci siamo concentrati su alcune zone del Feltrino, del Cadore e poi sulla Val Visdende, perché è stato chiaro fin dall'inizio che i luoghi colpiti dalla tempesta Vaia erano diversi tra loro e conseguentemente anche gli effetti su di essi e le modalità con cui la tempesta è stata vissuta e poi elaborata non sono stati uguali in tutta la provincia di Belluno”. Infatti “un conto è parlare della Val Visdende, dove la sterminata distesa di abeti ha una valenza economica, turistica e forestale importante, un’altra storia è raccontare l’Agordino, dove i boschi caduti sono talvolta percepiti come spazi marginali e quasi dimenticati dagli stessi abitanti, soprattutto quelli più giovani, e altro ancora è quel che è successo nella città di Feltre, dove la violenza della tempesta si è abbattuta sul verde urbano, sugli alberi all'interno della città”.
Infatti, racconta Iolanda Da Deppo, la ricerca che ha portato avanti “è concentrata sul rapporto con il bosco e con gli alberi abbattuti in particolare dal vento, proprio perché uno degli aspetti che ha colpito maggiormente le persone è stato proprio la presenza del vento”. Questo perchè “alla pioggia, anche devastante, i bellunesi sono abituati storicamente, hanno conosciuto molte alluvioni - racconta la ricercatrice - le persone che abbiamo intervistato hanno spesso fatto paragoni con l’alluvione del 1966, mentre l'esperienza del vento è stata unica e nuova”.
Uno dei temi che emerge dalle ricerche è come Vaia abbia avuto la forza di modificare il nostro modo di pensare al futuro e in qualche modo di avvicinare chi l'ha vissuto all'ambiente naturale e a quello che sta succedendo in termini di cambiamento climatico.
“Il paesaggio è per sua natura in continua trasformazione e certamente quello del mutamento del paesaggio visivo sonoro, percepito tramite tutti i sensi, è stato uno dei temi che è emerso in tutte le interviste. Va però anche detto che il riconoscimento del cambiamento del paesaggio non riguarda soltanto un generico aspetto percettivo ma un processo culturale che chiama in causa l'importanza che le comunità o l'individuo dà a ciò che sta osservando”.
I risultati di questa ricerca antropologica sono diventati anche un documentario dal titolo “Paesaggio Fragile” realizzato da Michele Trentini e visualizzabile qui e qui.
Qui è possibile ascoltare la puntata, disponibile anche su tutte le principali piattaforme podcast (Spotify, Apple e Google Podcast, Audible):