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Ambiente

E se il più famoso ecocidio della storia non fosse mai avvenuto? Da Rapa Nui, l’Isola di Pasqua, una riflessione sul possibile equilibrio tra esseri umani e natura

Un recente studio ha smontato la narrazione dominante che per anni ha raccontato della civiltà di Rapa Nui, l'isola di Pasqua, come collassata a causa di un "ecocidio". Un'occasione per riflettere sulla necessità di lavorare ad un equilibrio tra esseri umani e natura, anche nelle nostre Terre Alte

di
Luigi Torreggiani
11 luglio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

C'è una piccola isola, nell’oceano Pacifico, che per anni è stata al centro di una narrazione molto facile e al tempo stesso potentissima, ripresa in libri, film, conferenze e volta a dipingere il genere umano come incapace di vivere in equilibrio con la natura, perché caratterizzato da una cieca propensione all'autodistruzione.

Si tratta di Rapa Nui, l'Isola di Pasqua, dove un'intera civiltà, secondo alcune teorie molto in voga negli scorsi anni, si sarebbe quasi estinta a causa di un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. Una civiltà che preferiva erigere enormi statue (i famosi moai), non tenendo però conto del delicato equilibrio ambientale della propria terra. Una storia perfetta, secondo molti divulgatori, per raccontare i mali della società odierna, al centro delle crisi ambientali e climatiche che ben conosciamo.

 

“La vulgata”, spiega un interessante articolo a firma di Sofia Belardinelli su Il BO LIVE, “popolarizzata anche da autori di spessore come Jared Diamond nella sua famosa opera “Collasso”, narra che questa civiltà abbia raggiunto il proprio picco demografico sfruttando il territorio e le risorse dell’isola fino a ben oltre le capacità di rigenerazione dell’ecosistema locale, causando così il proprio annientamento per carestia”.

 

Ebbene, pare che la teoria della scomparsa della civiltà dell’Isola di Pasqua a causa del superamento della “capacità di carico” dell’ecosistema dell’isola stia fortemente vacillando: diverse ricerche, tra cui una pubblicata molto recentemente, stanno dimostrando una realtà completamente diversa.

 

Perdonateci allora per questa piccola divagazione, dalle montagne di casa all’oceano Pacifico: questa storia, infatti, ha molto da dirci anche rispetto alla Terre Alte nostrane.

Il recente studio, pubblicato sulla rivista Science Advances e condotto da un gruppo di ricercatori della Columbia University, ha stimato l’estensione massima dei “giardini rocciosi” dell’isola, nei quali, con particolari tecniche agronomiche molto raffinate, gli abitanti riuscivano a coltivare patate dolci e altri alimenti nonostante la povertà di nutrienti del suolo. Secondo i ricercatori statunitensi questi giardini coprivano solo una piccola parte dell’isola, producendo cibo a sufficienza per una popolazione di circa 3.000 persone: numero simile a quello degli abitanti presenti all’arrivo degli europei. Un numero quindi che, verosimilmente, è rimasto stabile per secoli, al contrario di ciò che si pensava in passato, cioè che la popolazione, sfruttando eccessivamente le risorse naturali dell’isola, fosse cresciuta a dismisura per poi iniziare un declino inarrestabile.

 

“I nostri risultati supportano l’ipotesi secondo cui l’isola non ha mai avuto una popolazione numerosa che ha esaurito le risorse disponibili”, ha spiegato uno degli autori della ricerca, “dai reperti archeologici non emergono prove di un tracollo sociale prima dell’arrivo degli europei”.

 

L’articolo di Sofia Belardinelli su “Il BO LIVE” porta una considerazione interessante, suggerita anche dagli autori dello studio: “Se l’ipotesi dei ricercatori fosse corretta – e, in effetti, sono diversi gli studi che puntano in una simile direzione – questo significherebbe che la più accreditata ricostruzione della tragica storia degli abitanti di Rapa Nui è sbagliata. Sull’isola di Pasqua, insomma, non si sarebbe consumato un ecocidio causato da una popolazione avida di risorse e troppo poco lungimirante – una tragedia dei beni comuni, come avrebbe detto un famoso ecologo – ma, al contrario, un sorprendente esempio di sostenibilità e resilienza. Se, infatti, la popolazione dell’isola non ha mai superato la soglia dei 3.000 abitanti per via dei vincoli fisici ed ecologici dettati dalla complessità delle condizioni ambientali e dalla povertà di risorse, la storia si ribalta e questa popolazione diviene un esempio paradigmatico di come mantenere, per almeno mille anni, un delicato equilibrio con l’ambiente nel quale si vive e con la comunità ecologica di cui si fa parte”.

 

 

La storia si ribalta, insomma, e tante narrazioni, anche molto recenti, secondo cui l’isola di Pasqua sarebbe un esempio concreto a dimostrazione della necessità di allontanare il più possibile gli esseri umani dalle risorse naturali - data la nostra intrinseca propensione all’ecocidio - si sciolgono come neve al sole. Certo, non sempre come umanità abbiamo dato prova di grande lungimiranza e coscienza ambientale: prova drammatica ne sono, ovviamente, le profonde crisi che stiamo vivendo. Ma la “storia ribaltata” dell’isola di Pasqua ci insegna che laddove in molti indicavano una catastrofe c’era invece un esempio di straordinario equilibrio: un messaggio prezioso, che può suggerirci una riflessione profonda.

 

E quindi, dal Pacifico, torniamo alle Alpi e agli Appennini, luoghi pieni di numerosi esempi di come le civiltà si siano adattate ad ambienti complessi cercando un equilibrio con le risorse naturali disponibili, facendo prove ed errori, accumulando esperienza e conoscenza di successo in fallimento, esercitando creatività e senso critico, analizzando spesso in modo visionario, ma anche estremamente pratico, il senso del limite.

 

È vero, gli esseri umani sono stati e sono tutt’ora anche autori di stupidi quanto inutili scempi ambientali, ma sono anche coloro che studiano gli ecosistemi, le modalità di una loro conservazione e gestione sostenibile. Questo vale anche per la crisi climatica: certo, siamo i responsabili di questo enorme problema globale, ma lo abbiamo anche individuato, compreso, siamo qui a scriverne e ad investire ingenti risorse per immaginare, ogni giorno, soluzioni verso la transizione ecologica. Insomma, al di là di una certa narrazione manichea, l’uomo non è intrinsecamente “ecocida”: è uno strano animale, con in mano mezzi potenzialmente distruttivi e autodistruttivi, ma anche con un’etica e un’intelligenza capaci di neutralizzarli per poi lavorare ad un cambiamento.

 

Una certa fascinazione verso una “wilderness di pancia”, poco scientifica, che si sta diffondendo molto anche grazie alla potenza dei social network, vorrebbe vedere gli “esseri umani distruttori” fuori dagli ambienti naturali, anche dalle nostre montagne caratterizzate da millenni di convivenza. La storia dell’isola di Pasqua è sempre stata perfetta per alimentare questa visione. Dal suo recente ribaltamento, allora, non dobbiamo soltanto riacquisire un po’ di fiducia nell’umanità (che male non fa!), ma soprattutto comprendere che un equilibrio tra la presenza antropica e la capacità portante degli ecosistemi è possibile. A differenza degli abitanti dell’isola di Pasqua, autori di un bilanciamento socio-ambientale empirico, oggi abbiamo gli strumenti tecnico-scientifici per indagare nel profondo i limiti e studiare come non superarli. E disponiamo ancora, forse più di prima, di quell’etica che dovrebbe spingerci, attraverso numerosi strumenti, alla ricerca di un equilibrio, locale e globale, il più possibile accettabile.

 

Ovviamente non tutti sono mossi da buone intenzioni e le sfumature presenti nelle azioni da mettere in pratica verso quell'equilibrio tanto auspicabile sono molteplici e talvolta anche in conflitto tra loro, ma invece di chiedere agli esseri umani di “uscire” dalla natura o di vedere sempre di cattivo occhio ogni azione che inevitabilmente provoca una qualche antropizzazione dell’ambiente montano, proviamo a cambiare prospettiva. Sforziamoci di fare un passo in più nella complessità delle soluzioni e a lavorare come fecero, molto probabilmente, proprio gli abitanti di Rapa Nui, per anni considerati erroneamente degli “scriteriati distruttori”: continuiamo a gestire, a manutenere, a dare valore e ad interrogarci con senso critico su quei nostri personali “giardini rocciosi” - in possibile equilibrio tra esseri umani e natura - che sono le Terre Alte. 

 

 

Foto: Rivi kallerna - Wikimedia Commons

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