Consumo di suolo: in Italia avanza al ritmo di 28 campi da calcio al giorno. La riduzione dell’"effetto spugna" costa oltre 400 milioni di euro all'anno
Ispra ha presentato il rapporto 2024 sul consumo di suolo nel nostro paese, un documento che mostra uno scenario preoccupante: il consumo di suolo rimane elevato e continua ad avanzare al ritmo di circa 20 ettari al giorno
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Il consumo di suolo continua a trasformare il nostro territorio a velocità elevata, con degli impatti non solo a livelllo naturale ed ecosistemico, ma anche economico: gli impatti della perdita del suolo avvenuta tra il 2006 e il 2023, è stimato tra 7 e 9 miliardi di euro all'anno.
Questa è una delle tante informazioni contenute nel rapporto 2024 sul consumo di suolo edito da Ispra (che si può consultare qui), presentato recentemente a Roma. Si tratta di un documento che offre un quadro aggiornato della situazione in Italia e che ci presenta ua fotografia complessiva preoccupante.
A livello nazionale, il consumo di suolo rimane elevato e continua ad avanzare al ritmo di circa 20 ettari al giorno. Si tratta di una crescita superiore al di sopra della media decennale e solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali (dovuti in gran parte al recupero di aree di cantiere).
E’ importante sottolineare che la perdita dei servizi ecosistemici causata dal consumo di suolo non è solo un problema ambientale, ma anche economico: nel 2023 la riduzione della capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico (chiamata, simpaticamente, effetto spugna), secondo gli esperti, costa oltre 400 milioni di euro all'anno. Perdite economiche che vanno sommate a quelle causate dalla perdita di altri servizi ecosistemici come la regolazione del clima, la diminuzione della qualità dell'habitat, alla perdita della produzione agricola o lo stoccaggio di carbonio.
E all’interno di questa fotografia preoccupante, le aree montane, custodi di ecosistemi fragili e fondamentali per l’approvvigionamento idrico, la regolazione climatica e la prevenzione di disastri naturali, non sono esenti da questi processi, ma anzi, risultano sempre più minacciate dall’espansione urbana e infrastrutturale. Tra i fenomeni principali: il degrado del paesaggio e l’alterazione della qualità del suolo dovuti a interventi infrastrutturali, impianti turistici, cave e trasformazioni agricole intensive.
Sebbene sia evidente la tendenza dei nuovi cambiamenti a concentrarsi nelle aree con quota prossima a quella del livello del mare (parliamo dell'80% di quelli avvenuti tra il 2022 e il 2023), aumenti del consumo di suolo sono stati registrati in tutte le aree montane italiane, con il valore maggiore (pari a 70.4 ettari) registrato in Trentino Alto Adige. Per avere un contesto più preciso: il suolo consumato occupa, in media, l’11,41% delle aree di pianura, con un massimo del 22,43% in Trentino-Alto Adige, il 5,41% in collina (ma con un massimo del 26,28% in Valle d’Aosta) e il 2.06% in montagna.
Considerando una regione prevalentemente montuosa come il Piemonte, scopriamo che questa complessivamente (quindi considerando sia pianura, che collina, che montagna) ha perso 553 ettari di suolo solo nel 2023. Sebbene la percentuale di suolo consumato in montagna sia bassa (inferiore al 2%), Arpa Piemone sottolinea come questo dato, tra i peggiori in Italia, si riferisca anche a zone di pregio ambientale, con ripercussioni sulla stabilità dei suoli e sulla capacità degli ecosistemi montani di fornire servizi vitali.
Le percentuali di suolo consumato categorizzato come "montagna" sono molto simili tra le varie regioni, e i valori più elevati si trovano in Emilia Romagna, Molise, Campania e Sicilia, mentre gli incrementi maggiori sono stati registrati in Trentino Alto Adige (con 70 ettari), Abruzzo (con 65) e Campania (con 46).
I suoli montani, infatti, svolgono funzioni cruciali, come la regolazione del ciclo dell’acqua, tramite la capacità del terreno di assorbire e filtrare l’acqua è ridotta, aumentando il rischio di alluvioni e il sequestro del carbonio, perché i suoli montani, ricchi di sostanza organica, sono preziosi serbatoi di carbonio. Altre funzioni essenziali sono la conservazione della biodiversità, perché l’erosione del suolo e l’impermeabilizzazione portano a una perdita irreversibile di habitat, e la regolazione climatica, dato che la cementificazione riduce la capacità del terreno di mitigare temperature estreme.
In Piemonte, come sottolinea l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, la riduzione delle superfici naturali ha effetti negativi anche sull’agricoltura di montagna, storicamente resiliente ma ora in crisi per la perdita di fertilità del suolo e la frammentazione dei terreni.
Secondo il rapporto, le aree montane mostrano una crescente esposizione a eventi estremi, dato che non dovrebbe stupirci dopo le ultime due estati, con un aumento delle zone classificate a rischio idrogeologico. L’impermeabilizzazione del terreno, combinata ai cambiamenti climatici, amplifica la frequenza di frane e alluvioni, compromettendo infrastrutture e insediamenti.
Il rapporto redatto da Ispra sottolinea l’urgenza di un cambio di rotta per salvaguardare i suoli e identifica tra le azioni prioritarie la riqualificazione urbana (investire nella rigenerazione delle aree già edificate per ridurre la pressione sui suoli naturali), la tutela delle aree montane (rafforzare la protezione delle zone più vulnerabili con regolamenti specifici che limitino il consumo di suolo), la promozione di pratiche sostenibili (incentivando modelli agricoli e forestali che preservino la qualità del suolo e la biodiversità), e infine l’educazione e coinvolgimento (sensibilizzare le comunità locali sull’importanza della conservazione del suolo e dei servizi ecosistemici).
Il consumo di suolo è un’emergenza che coinvolge tutti e la perdita di suoli fertili e funzionali non è solo una questione ambientale: si tratta di un problema economico e sociale che richiede interventi rapidi e coordinati. Le aree montane potrebbero diventare protagoniste nella lotta al cambiamento climatico, ma solo se adeguatamente protette. Un suolo sano, infatti, garantisce una maggiore capacità di resilienza contro eventi climatici estremi, offrendo un’alternativa sostenibile allo sfruttamento intensivo delle risorse. Il futuro delle montagne italiane dipende dalla capacità di valorizzarle e proteggerle come patrimonio comune.