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Ambiente

"A bassa quota , oltre alla neve, è mancato il gelo". Le recenti nevicate e il cambiamento climatico commentati dal climatologo Giulio Betti

Sebbene il mese di marzo abbia portato intense nevicate sull'arco alpino, è importante inquadrare queste precipitazioni in un contesto di cambiamento climatico e nelle sue complesse implicazioni a livello ambientale. Una riflessione sulla quota neve e sul concetto di "albedo" proposta dal climatologo Giulio Betti

di
Sofia Farina
16 marzo | 20:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Le copiose nevicate regalateci dal mese di marzo sono arrivate (sulle Alpi) dopo mesi di inverno estremamente caldo e siccitoso. Questo improvviso cambio di condizioni (e di panorama) stimola delle riflessioni non solo sul cambiamento climatico in atto, ma anche e soprattutto sulla neve, sul suo ruolo nell'ecosistema montano e nel sistema termodinamico dell'atmosfera. A questo proposito, riportiamo una riflessione di Giulio Betti, climatologo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

 

Betti sottolinea come la precipitazione nevosa che finalmente ha imbiancato anche il versante sud della catena alpina (a differenza di gennaio e febbraio) continui ad essere caratterizzata da una anomalia, quella della quota neve "spesso troppo alta per la stagione". Il climatologo ha dato una lettura approfondita della conseguente "assenza o la scarsa permanenza della neve alle quote medio-basse e nei fondovalle", che riportiamo di seguito.

 

"La presenza di una copertura nevosa adeguata ai piedi e intorno alle montagne è molto importante nel passaggio tra inverno e primavera, perché garantisce una maggiore albedo. L'albedo è la capacità delle superfici di riflettere la luce solare, i corpi scuri ne assorbono molta e ne riflettono poca rilasciando poi calore, viceversa quelli molto chiari (come la neve) la riflettono per la maggior parte, raffreddando l'ambiente.

 

L'assenza di neve nei bassi strati e nei fondovalle tra tardo inverno e inizio primavera comporta, in regioni come quella alpina, un precoce riscaldamento dal basso dovuto al maggior assorbimento di energia che inevitabilmente influenza le quote alte, favorendo una rapida fusione della seppur abbondante neve presente. Un processo, quello della fusione della neve in primavera, del tutto normale per le medio-alte latitudini, ma che negli ultimi anni risulta più esteso, intenso e precoce.

 

La riduzione della copertura nevosa primaverile a livello regionale ed emisferico, riduce l'albedo totale in una stagione cruciale. Ciò che prima era coperto di neve ad aprile o maggio, trovandosi sempre più libero dal manto bianco non fa altro che assorbire più energia solare e rilasciare più calore favorendo, ad esempio, precoci ondate di caldo, o contribuendo alla fusione dei ghiacciai.
Si tratta di uno degli effetti di retroazione positiva più evidenti causati dall'aumento delle temperature globali.

 

Oltre ad essere mancata la neve a bassa quota, è mancato anche il gelo. I prati in molte valli alpine sono già verdi, mentre in questa stagione dovrebbe esserci ancora l'erba bruciata dal freddo.

 

Il cambiamento climatico è intorno a noi e si manifesta in maniera sempre più palese. Per comprenderne la portata è necessario capirne anche la complessità in termini ambientali".

 

 

 

 

 

 

 

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