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Ambiente

1950-2000: come sono mutate le precipitazioni nevose nell'Appennino centrale. Capozzi: "Abbiamo osservato un trend decrescente nel tempo"

Un team di ricercatori dalla Parthenope di Napoli e dal centro Cetemps de L'Aquila ha ricostruito le precipitazioni nevose in Appennino Centrale tra il 1951 e il 2001, fornendo per la prima volta una climatologia di riferimento della zona e analizzandone le tendenze

di
Sofia Farina
14 febbraio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Quella che abbiamo realizzato è la prima caratterizzazione climatologica consistente delle precipiazioni nevose dell’area” racconta Vincenzo Capozzi, professore all’Università degli studi di Napoli. 

 

Quella realizzata dal gruppo di ricerca dell'Università Parthenope è la prima solida ricostruzione delle precipitazioni nevose nella macro regione dell'Appennino centrale dal 1951 al 2001. 

 

La precipitazione nevosa è un parametro importante per molti studi climatici, poichè determina il bilancio energetico della regione in cui cade aumentandone l’albedo, gergo tecnico per indicare la quantità di radiazione che viene riflessa dalla superficie, e impatta sul bilancio idrico e quindi anche sulla gestione delle risorse idriche del luogo. E sebbene grazie alle osservazioni da satellite siano stati fatti passi da gigante in termini di osservazioni meteorologiche in generale, nel caso della neve le misure storiche in situ costituiscono ancora una pietra miliare per gli studi di climatologia. 

 


Mappa dell'area di analisi della ricerca e delle stazioni meteorologiche utilizzate. Credits: Vincenzo Capozzi.

 

Come fa notare Capozzi, considerando l’area mediterranea, hotspot del cambiamento climatico studiato da ricercatori di tutto il globo, c’è una gran discrepanza tra l’attenzione che è stata posta negli anni sull’area Alpina e quella invece dedicata all’area appenninica. 

 

“La letteratura scientifica relativa all'Appennino conta solo pochi lavori recenti che hanno presentato prove basate su una o poche serie temporali climatologiche. Questi studi hanno evidenziato una generale tendenza negativa delle precipitazioni nevose per diversi indicatori, ad eccezione degli ultimi 20 anni, in cui si è assistito a una ripresa della durata della copertura nevosa, dell'altezza della neve nuova e numero di giorni con neve nell'Appennino meridionale” come emerge da precedenti studi del medesimo team di ricerca guidato da Capozzi. 

 

Il ricercatore spiega anche le motivazioni di questa “attenzione periferica dedicata all'Appennino” che “può essere dovuta alla gestione molto frammentata della rete di monitoraggio meteorologico, che ha portato a una copertura spaziale e temporale non uniforme dei dati sulle nevicate”.

 

Nel corso del tempo il monitoraggio delle precipitazioni nevose è stato discontinuo e disomogeneo. Fino inizio anni 2000 c'era una estesa e precisa rete di monitoraggio attiva su tutti i comparti di nord, centro e sud, gestita dall'ex Servizio Idrografico e Mareografico, e con la sua dismissione, il monitoraggio è passato nelle competenze delle singole regioni che hanno proseguito le attività in maniera discontinua, frammentaria e disomogenea”. Questo ha fatto sì che, paradossalmente, in Appennino si trovino “tante informazioni storiche, ma si sa relativamente poco di quello che è successo negli ultimi 25 anni. Abbiamo serie temporali sufficientemente lunghe per considerazioni climatologiche, ma che non si estendono fino ai giorni nostri”.

 


Un pagina degli Annali Idrografici della sezione di Napoli del 1921. Fonte: Ispra Ambiente.

 

I due team di ricerca hanno lavorato per sfruttare al meglio i dati del passato per ricostruire i trend nevosi nella regione che include gran parte degli Appennini centrali e una parte dell'Appennino meridionale, in particolare il settore Campano Lucano - i settori gestiti dai compartimenti di Napoli, Bari, Pescara e Roma. “Dal servizio idrografico abbiamo recuperato 129 stazioni con una buona disponibilità dati e che coprono il territorio in maniera relativamente omogenea in una fascia altitudinale compresa tra 288 e 1750 metri” racconta Capozzi “Il primo step è stato proprio rendere raccogliere i dati in un formato digitale e facilmente accessibile. Come potrai immaginare, è un lavoro che richiede tanto tempo e poi, una volta digitalizzati i dati, abbiamo iniziato a tirare fuori una climatologia e dei segnali anche di andamento di lungo periodo”. Per i più curiosi, le scansioni degli annali del passato per diverse zone d’italia sono stati raccolti da ISPRA e sono disponibili al pubblico (a questo link: http://www.bio.isprambiente.it/annalipdf/) grazie al “Progetto Annali”.

 

I risultati principali della ricerca sono due: l’aver stabilito una climatologia di riferimento dell’area, in base alla quale valutare le variazioni del presente, e l’aver individuato i trend (le tendenze) nelle variabili osservate nel corso della seconda metà del ‘900.

 

“Abbiamo osservato un trend decrescente nel tempo relativamente sia al numero di giorni con precipitazioni nevose, che alla persistenza della neve al suolo, particolarmente rilevante nei mesi di novembre, dicembre e gennaio (che in gergo vengono definiti early winter)”. Inoltre, è stata osservata una dipendenza dalla quota, infatti “la magnitudine di queste tendenze aumenta con la quota”. Per gli amanti dei numeri, i ricercatori hanno osservato una diminuzione della durata della copertura nevosa pari a 3.4 giorni ogni 10 anni alle quote più alte, tra i 1000 e i 1300 m slm, e pari a 1.1 giorni ogni dieci anni per quote inferiori a 800m slm. 

 


Costa abruzzese vista dalla Majella a gennaio 2021. Foto di Sofia Farina.

 

 

“Data la grande mole di dati da digitalizzare, ci siamo soffermati ad una regione che, seppur estesa, non comprende tutto l'Appennino. Ora l’obiettivo è replicare 4questi studi anche per il restante settore meridionale e poi provare ad estendere nel tempo queste serie temporali, sia all'indietro sia in avanti, soprattutto con riferimento agli ultimi vent'anni” conclude Capozzi, parlando dei prossimi passi.

 

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