Quando l'alpinismo influenzò la politica statunitense: l'amicizia tra il primo americano che scalò l'Everest e Bob Kennedy
L’alpinismo ha sempre assorbito i caratteri della società, confermandoli oppure rinnegandoli con fermezza, e nonostante questo, la narrativa dominante è incline a paragonare la scalata a una forma di fuga dalla quotidianità, ma quella che può apparire una semplice fuga, spesso si rivela una benefica pausa capace di farci osservare la società in cui viviamo dall’alto. Un aspetto che emerge nel libro "Esploreremo le stelle" di Eleonora Recalcati
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
L’alpinismo ha sempre assorbito i caratteri della società, confermandoli oppure rinnegandoli con fermezza.
Ciononostante, questa dinamica così concreta fa fatica a trovare spazio in una narrativa quasi sempre incline a paragonare la scalata a una forma di fuga dalla quotidianità; a un vero e proprio straniamento dal vivere di tutti i giorni. Dalla vita pubblica.
Di conseguenza si è diffusa un'idea qualunquista di chi arrampica.
«Al di là delle vette, nel cuore dell'alpinista regna un pressoché totale disinteresse». Così immaginano in tanti e, mi duole ammetterlo, a volte hanno ragione.
Ma quella che può apparire una semplice fuga, spesso si rivela una benefica pausa capace di farci osservare la società in cui viviamo dall’alto, con occhio meno coinvolto, al fine di tornare a viverla con un’accresciuta consapevolezza e sensibilità.
Finalmente questo aspetto è emerso con chiarezza da un libro: "Esploreremo le stelle" di Eleonora Recalcati (Hoepli editore).
Racconta dell'amicizia, nata quasi per caso, tra il senatore Bob Kennedy e il primo americano ad aver toccato la vetta dell'Everest, Jim Whittaker.
Insieme scalano, esplorano e riflettono. I rami della società si intrecciano con quelli dell'alpinismo, proiettando il lettore in una dimensione meno parziale, meno eroica e decisamente più politica. Sì, perché che piaccia o meno, anche l'alpinismo, come qualsiasi azione o attività, è il risultato di una scelta. Per rendersene conto è sufficiente leggere questo breve passaggio del libro: «Non mi sono mai occupato troppo di queste cose - ammette Jim - di diritti. Però, quando sono stato a Calcutta, prima di andare sull’Everest, ho visto persone senza dignità, calpestate, senza possibilità di farsi curare. Ho visto bambini dell’età dei miei figli morire ai lati della strada, nell’indifferenza di tutti. Allora mi sono chiesto perché io avessi il diritto di vivere, scalare, fare quello che mi pareva, e loro no. Ci sono stato male per giorni. Se ci penso mi sento ancora una cosa qui, all’altezza dello stomaco».
«Ecco - risponde Bob - questa cosa che ti preme lì è l’essenza della politica. Ed è più o meno il motivo per cui vivo… Diciamo che è la mia parete verticale da scalare, se rendo l’idea».