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Alpinismo

Monte Bianco: Walter Bonatti soggetto di un murales sulla stazione della funivia Skyway. Iniziativa in contrasto con lo spirito dell'alpinista?

Walter Bonatti è diventato il soggetto di un murales, intitolato “L’ascesa” e realizzato su una parete della stazione intermedia della celebre Skyway, la funivia che da Courmayeur raggiunge Punta Helbronner (3.462 metri) sul Monte Bianco. Gli avrebbe fatto piacere apparire sulla parete di un’infrastruttura di natura antitetica rispetto agli “assoluti silenzi” e agli “immensi spazi” dove aveva “trovato una ragione d’essere, un modo di vivere a misura d’uomo”?

di
Pietro Lacasella
14 giugno | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

“Negli assoluti silenzi, negli immensi spazi, ho trovato una mia ragione d’essere, un modo di vivere a misura d’uomo”.

 

Così scriveva Walter Bonatti, e si fatica a comprendere come la stessa persona che ha formulato questo pensiero sia diventata il soggetto di un murales, intitolato “L’ascesa” e realizzato su una parete della stazione intermedia della celebre Skyway, la funivia che da Courmayeur raggiunge Punta Helbronner (3.462 metri) sul Monte Bianco.

 

Si fa fatica perché l’opera dello street artist francese Swed Oner, che ricalca con stile iperrealista una fotografia molto conosciuta dell’alpinista bergamasco, applicata all’infrastruttura dà vita a un sostanziale ossimoro estetico.

 

Certo, il nome di Walter Bonatti si è saldato alla memoria collettiva grazie alle sue abilità alpinistiche; ascese pioneristiche, molte delle quali compiute proprio nel massiccio del Monte Bianco: è sufficiente pensare alla prima scalata della parete est del Grand Capucin, alla solitaria sulla sud-ovest del Petit Dru, alla drammatica esperienza sul Pilone Centrale del Freney.

 

Bonatti, proprio come la funivia, sul Monte Bianco mirava verso l’alto, ma era un’inclinazione (anche interiore) diversa evidenziata da un’altra citazione dell’alpinista stesso:

 

“Il bello dell’avventura è sognarla, dare aria all'immaginazione, poi si potrà anche tentare di dare materia ai propri sogni”.

 

Lo schema regolare di una funivia, sebbene permetta di godere emozionanti suggestioni paesaggistiche, inevitabilmente irrigidisce i sogni in uno schema predefinito, sempre uguale nella sua ripetitività, che limita il campo d’azione all’immaginazione.

 

Il fascino di molti paesaggi è infatti amplificato dall’esperienza. Se tuttavia essa viene puntualmente ridotta, il mondo apparirà sempre più scialbo e il nostro vivere più incompleto e inappagato. Conseguenza diretta è l’intramontabile sentimento di delusione che ormai ci contraddistingue.

 

Nessuno mette in dubbio che l’intenzione dei promotori fosse ispirata dal desiderio di tenere viva nella memoria la figura uno scalatore eccezionale, ma sorge naturale una domanda: a Walter Bonatti avrebbe fatto piacere apparire sulla parete di un’infrastruttura di natura antitetica rispetto agli “assoluti silenzi” e agli “immensi spazi” dove aveva “trovato una ragione d’essere, un modo di vivere a misura d’uomo”?

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