Mary Varale, avanguardia dell'arrampicata e del femminismo che dopo un torto scrisse al CAI: "In questa compagnia di ipocriti e buffoni io non posso più stare"
Mary Varale frantumava i paradigmi culturali dell’epoca a suon di scalate strabilianti; metteva in discussione le voci cupe dei conservatori che confinavano le attività fisiche, come l’arrampicata, all’interno dell’universo maschile. Dopo un torto subito dal Club Alpino Italiano decise di congedarsi da quel livido presente per proiettarsi in un futuro ancora utopico per quegli anni
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Maria Gennaro Varale (Mary) nacque a Marsiglia il 24 giugno 1895. Come tutti quelli che intravvedono nel presente i riflessi del futuro, era avanguardia dell’arrampicata e del femminismo.
A darle il battesimo in parete fu il carattere esuberante di Tita Piaz sulla Torre Winkler del Vajolet; a consacrarla come alpinista fu Emilio Comici, con cui realizzò la prima ascesa dello Spigolo Giallo della Cima Piccola di Lavaredo; tuttavia, a renderla una figura esemplare fu il suo stesso talento atletico, ma soprattutto l’eccezionalità del suo carattere: una commistione di elementi che le permisero un vivere libero e leggero, svincolato da un presente dagli ideali retorici e boriosi.
Varale frantumava i paradigmi culturali dell’epoca a suon di scalate strabilianti; metteva in discussione le voci cupe dei conservatori che confinavano le attività fisiche, come l’arrampicata, all’interno dell’universo maschile. D’altronde l’alpinismo ha sempre assorbito i caratteri della società, confermandoli oppure rinnegandoli con decisione.
Mery era inafferrabile e per questo scomoda per le istituzioni dell’epoca, impregnate delle fetide esalazioni del fascismo.
Come racconta Enrico Camanni in Alpi Ribelli, dopo un torto subito dal Club Alpino Italiano (si accorse che il suo compagno di cordata Alvise Andrich non era stato decorato con la medaglia d’oro al valore atletico solo perché all’altro capo della corda era legata lei, donna) decise di congedarsi da quel livido presente per proiettarsi in un futuro ancora utopico per quegli anni. Una scelta coraggiosa perché colma di incertezze, che si può metaforicamente equiparare all’apertura di una nuova via.
Prese carta e penna e scrisse a Francesco Terribile, l'allora presidente della sezione del CAI di Belluno: "(…) in questa compagnia di ipocriti e buffoni io non posso più stare".
Con queste parole Varale uscì di scena, rinunciando alla sua più grande passione per aggiungere un tassello al complicato puzzle della libertà.