Che senso ha salire in montagna? O meglio: che senso ha scalare una montagna? "I conquistatori dell’inutile"
(L'editoriale) Che senso ha salire in montagna? O meglio: che senso ha scalare una montagna? Da molti è considerata un'attività inutile, perché abbiamo imparato a considerare “utili” soltanto quelle azioni che portano a un risultato quantificabile; che generano profitto. E così le azioni incommensurabili sfumano in un universo senza senso
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Che senso ha salire in montagna? O meglio: che senso ha scalare una montagna?
È una domanda che si rinnova di frequente, assumendo forme particolarmente affilate soprattutto sulle lingue di chi, una parete, non l’ha mai affrontata.
In effetti, non hanno tutti i torti: dal punto di vista pratico, arrampicare è un’attività apparentemente inutile. Così com’è inutile - per citare Nives Meroi - cantare o dipingere; inutile come raccogliere i fiori da un prato per comporre un bel mazzolino, rifletteva nei suoi appunti Walter Bonatti; inutile come una serata spesa in chiacchiere. Inutile come il gioco dei bambini.
Inutile come un bacio.
È inutile perché abbiamo imparato a considerare “utili” soltanto quelle attività che portano a un risultato quantificabile; che generano profitto. E così le azioni incommensurabili sfumano in un universo senza senso.
Eppure un senso ce l’hanno, perché hanno la capacità toccare le corde emotive delle persone e, di conseguenza, riescono a colorare una vita altrimenti monocroma.
Da questo eccesso di pragmatismo - endemico della società contemporanea - dilaga la cementificazione e diminuisce la qualità delle acque e dell’aria. Da questo eccesso di pragmatismo le temperature hanno iniziato a crescere con una rapidità anomala. Da questo eccesso di pragmatismo spuntano, come funghi perenni, oscenità architettoniche capaci di rovinare l’armonia paesaggistica.
Forse bisognerebbe ricominciare a indossare i panni di “conquistatori dell’inutile” per emanciparci - come suggerisce Marco Albino Ferrari nella prefazione del noto libro di Lionel Terray (Hoepli editore) - dalla logica del vantaggio personale, dalla meschinità delle “cose terrene”.