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Tra Puglia e Trentino-Alto Adige, i primi passi d’un ras fascista: Achille Starace fra partito e manganello

Salentino di nascita, Achille Starace fu influente membro del Pnf. Ancora prima, durante gli anni dello squadrismo, si distinse come animatore del fascismo in Venezia Tridentina, rifondando il movimento e guidando le azioni contro oppositori e minoranze. In questa puntata di “Cos’era il fascismo” indaghiamo i primi anni di uno dei più importanti rappresentati delle camicie nere

Di Davide Leveghi - 03 luglio 2022 - 11:41

Figura caratteristica del Cittadino-Soldato; forte, audace, generoso, conserva nel sangue, non degenerate, non impallidite per il lungo volger dei secoli, le virtù cavalleresche della nostra stirpe” (da un articolo encomiastico su Achille Starace del periodico trentino Il Gagliardetto fascista, 2 dicembre 1921)

 

TRENTO. L’1 luglio 1922, in una sparatoria coi socialisti ad Andria, nel Barese, perdeva la vita il contadino fascista Nicola Petruzzelli, da qualche tempo passato a militare con le camicie nere. Come da copione, la reazione non tardò: dopo essersi lasciati andare a devastazioni varie nella zona, con la distruzione delle sedi socialiste e dello stesso Comune, a qualche giorno di distanza una spedizione armata si muoveva contro i braccianti in sciopero. A guidarla Achille Starace, pugliese di Gallipoli, in Salento, da tempo ormai trapiantato al nord.

 

Con l’espugnazione di Andria, sparì dalla provincia di Bari ogni residuo di presenza socialista nelle istituzioni. Gli amministratori socialisti venivano infatti cacciati, i sindacati fascisti dei mugnai e dei pastai conducevano armi in mano le trattative di accordo con i proprietari, espellendo ogni altra rappresentanza dei lavoratori. Anche in Puglia, sua terra d’origine, si distingueva così la figura di Starace, fascista della prima ora e papavero del futuro regime.

 

Un’altra terra “d’elezione”, tuttavia, aveva già “adottato” – per volontà di Mussolini, ovviamente – questa figura carismatica: la Venezia Tridentina. Passato al Regno d’Italia, il territorio fra il Brennero e Borghetto d’Avio aveva infatti espresso a fatica una classe politica fascista. Mentre il fascismo trentino si caratterizzava più per le derivazioni nazionaliste che non per le condizioni sociali ideali che l'avevano generato (QUI e QUI degli approfondimenti), sopra Salorno (confine linguistico fra le attuali province di Trento e Bolzano) la presenza italiana era praticamente nulla.

 

Proprio qui, dunque, il fascismo ebbe modo di scatenare la sua lotta nazionale contro una popolazione, di lingua e cultura tedesche, per nulla contenta della separazione da Innsbruck, capitale della regione storica del Tirolo. Il fascismo di confine, in misura e modi differenti rispetto a quanto avvenuto alla frontiera orientale, si manifestò pertanto attraverso puntate e scoppi di violenza che sfoceranno, una volta conquistato il potere, in pesanti politiche snazionalizzatrici (QUI e QUI degli approfondimenti).

 

Nato da una famiglia benestante (il padre era discendente di una famiglia di armatori napoletani, la madre una nobile), Achille Starace partecipò alla Grande Guerra come convinto interventista. Capitano dei bersaglieri, combatté sul fronte isontino guadagnandosi delle decorazioni al valore. A conflitto concluso, la sua affiliazione al fascismo non poté che risultare automatica: esuberante, violento e sempre pronto a menare le mani, già nel marzo del 1919 ancora di servizio nell’esercitosi iscriveva ai Fasci di combattimento.

 

Due anni dopo, nel gennaio ’21, il capo dei Fasci Benito Mussolini gli affidò un arduo compito: rifondare la sezione trentina del movimento, dopo che per screzi fra la massoneria e l’animatore del primo fascismo locale, l’intellettuale futurista Alfredo Degasperi, avevano portato al suo scioglimento. Nominato presidente e segretario regionale, Starace condusse lo squadrismo locale nel principale terreno d’azione che la Venezia Tridentina poteva offrire: l’Alto Adige. Qui il nemico nazionale – non politico e sociale, a differenza che nelle terre mistilingui a Est – era chiaro, l’eredità asburgica andava finalmente cancellata a favore di un preciso assunto: "il territorio a Sud del Brennero è italiano".

 

In questo solco, già nel febbraio del 1921 i fascisti trentini salivano in Bassa Atesina, il territorio compreso fra la Piana Rotaliana e Bolzano, per distruggere le aquile bicipiti, simbolo dell’Impero, ancora presenti. Fu in aprile, però, che avvenne l’episodio più clamoroso: nel corso delle manifestazioni per la riapertura della Fiera campionaria di Bolzano, centinaia di camicie nere provenienti da tutte le regioni del Nord assaltavano un corteo folcloristico con bombe a mano e revolverate. Un maestro di Marlengo, paesino nei pressi di Merano, Franz Innerhofer, rimaneva ucciso da una fucilata alla schiena mentre cercava di mettere in salvo in un palazzo i suoi alunni (QUI e QUI degli approfondimenti).

 

Ancora, il mese seguente, Starace si distingueva per gli attacchi ai politici; il 22 maggio, fuori da Montecitorio, prese a schiaffi e sputi l’onorevole del Deutscher Verband Eduard Reut-Nicolussi. Diffidato dal suo superiore di proseguire nell’attività politica, decise d’abbandonare l’esercito dedicandosi esclusivamente al fascismo – avrà modo, come ufficiale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (di cui fu tra i fondatori), di partecipare alle guerre fasciste, dall’Abissinia alla Spagna, fino alla disastrosa campagna di Grecia.

 

Salito ai massimi gradi del neocostituito Partito nazionale fascista, di cui fu vicesegretario fra il ’21 e il ’23, a fianco del ras pugliese Giuseppe Caradonna guidò l’azione su Andria, devastando la Camera del lavoro locale e costringendo l’amministrazione socialista a farsi da parte. Tornato in Venezia Tridentina, fu alla testa della marcia su Bolzano e Trento, a inizio ottobre del ’22, con cui vennero rispettivamente cacciati il sindaco bolzanino Julius Perathoner, ferreo oppositore del dominio italiano sul territorio abitato dai sudtirolesi, e il commissario civile Luigi Credaro (QUI e QUI degli approfondimenti).

 

Qualche settimana dopo era l’intero Paese a cadere nel baratro. Mentre con un’azione combinata di pressione militare e politica le camicie nere mettevano alle corde il re affinché affidasse a Mussolini il compito di formare un governo (QUI e QUI gli articoli), a Starace veniva dato l’incarico di gestire i reparti fascisti nel Trentino e parte del Veneto. Da Verona, nelle ore concitate degli ultimi giorni d’ottobre, raggiungeva in treno Milano, dove assieme al ras della Lomellina Cesare Forni assaltava e dava alle fiamme la sede dell’Avanti!.

 

Cominciava così la lunga carriera di Starace nel regime. Lo storico Mimmo Franzinelli (Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922), delineandone il carattere individua proprio nell’esperienza trentina alcuni aspetti che lo resero inviso a parti della gerarchia. “Durante la sua permanenza in Trentino (Starace, ndr) evidenzia tendenze narcisistiche al comando e al culto della propria personalità: incurante del ridicolo, si presenta alle adunate col petto coperto di medaglie e assume pose da condottiero”. Influentissimo membro del regime, svolse il ruolo di segretario del Pnf dal 1931 al 1939, partecipando attivamente alla costruzione della società totalitaria. Caduto in disgrazia, verrà fucilato e appeso in piazza Loreto il 29 aprile 1945 (QUI un approfondimento).

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