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Tra l’impero e la costruzione del totalitarismo: il cammino dell’Italia fascista fino al Patto d’acciaio

Il 22 maggio 1939, a Berlino, i ministri degli Esteri Ciano e Ribbentrop firmavano il cosiddetto “Patto d’acciaio” con cui si approfondiva l’alleanza nazifascista. Fu l’esito di un percorso molto più lungo che vide il Regno d’Italia avvicinarsi, fra la costruzione della società totalitaria e la nascita dell’impero, sempre più alla Germania nazista. Ecco le tappe nella nuova puntata della rubrica “Cos’era il fascismo”

Di Davide Leveghi - 22 maggio 2022 - 16:02

Il patto di alleanza e di amicizia concluso oggi fissa e consacra in precisi impegni politici e militari quella profonda comunione di spiriti e di opere che esiste tra Germania nazista e Italia fascista. Le due grandi nazioni che, rinnovate e potenziate dal genio e dalla volontà del Führer e del Duce, si sono messe alla testa della storia d’Europa per preservare le basi della sua millenaria civiltà e per rivendicare i principi dell’ordine e della giustizia in mezzo a un mondo in dissoluzione, si stringono oggi in un blocco inscindibile di forze, di volontà e di interessi. Le stipulazioni del patto di alleanza non hanno bisogno di alcun commento, tanto esse sono categoriche nella loro brevità e chiarezza. Il loro stile è quello dell’aperta lealtà che caratterizza le relazioni italo-tedesche” (Galeazzo Ciano, 22 maggio ’39)

 

Sua Maestà il Re d’Italia e di Albania, Imperatore d’Etiopia, e il Cancelliere del Reich tedesco, ritengono giunto il momento di confermare con un Patto solenne gli stretti legami di amicizia e di solidarietà che esistono fra l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista. Il popolo italiano ed il popolo tedesco, strettamente legati tra loro dalla profonda affinità delle loro concezioni di vita e dalla completa solidarietà dei loro interessi, sono decisi a procedere, anche in avvenire, l’uno di fianco dell’altro e con le forza unite per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace. Su questa via indicata dalla storia, l’Italia e la Germania intendono, in mezzo ad un mondo inquieto ed in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea” (dal preambolo del Patto d’acciaio, 22 maggio ’39)

 

TRENTO. Il 22 maggio 1939, pochi mesi prima dello scoppio della guerra che avrebbe sconvolto il mondo, l’Italia fascista stringeva con la Germania di Hitler il cosiddetto “Patto d’acciaio”. Il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, raggiunta Berlino, firmava con il suo omologo Joachim von Ribbentrop e alla presenza del Führer un ulteriore approfondimento di un’alleanza formalmente già in funzione dal 1936, con la firma dei cosiddetti “protocolli d’ottobre”.

 

L’ “Asse Roma-Berlino”, come l’aveva battezzato Mussolini, s’era saldato già da tempo con la partecipazione delle due principali dittature fasciste europee alla guerra di Spagna (QUI un approfondimento) e con il riconoscimento tedesco della conquista fascista dell’Etiopia. Con il 1939, quindi, tale alleanza raggiunse il suo culmine: i due Paesi, da quel momento, avrebbero proceduto a braccetto economicamente come militarmente, stringendosi in un abbraccio poi risultato fatale.

 

Ma come si arrivò a questa situazione? Perché fu un ineluttabile esito, frutto di precise scelte nonostante l’iniziale diffidenza mussoliniana verso Hitler ed il nazionalsocialismo? Per capirlo è necessario compiere qualche passo a ritroso: l’Italia, nella seconda metà degli anni Venti, ha cominciato il suo percorso di demolizione dello Stato liberale. Lo squadrismo prima – con cui le opposizioni sono state terrorizzate – e le cosiddette “leggi fascistissime” – con l’eliminazione dei diritti democratici e delle opposizioni – hanno preparato il terreno a ciò che avverrà nel decennio a venire: la costruzione del totalitarismo.

 

Al centro di questo innovativo sistema politico ci sono il capo (il duce), il partito unico e “una complessa rete organizzativa per l’inquadramento e la mobilitazione delle masse” (E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazioni). Il regime cerca infatti di penetrare in ogni aspetto della vita pubblica e privata, nella quotidianità degli italiani. La fondazione dell’impero, con l’aggressione all’Etiopia dell’ottobre 1935 (QUI e QUI degli approfondimenti), se da una parte rafforza il consenso attorno al regime, dall’altra isola internazionalmente il Paese. Per annettersi l’Etiopia, infatti, l’Italia fascista doveva aggredire – e aggredì, con motivazioni del tutto pretestuose - un Paese membro delle Nazioni Unite.

 

Il rapporto con l’alleato tedesco aveva nondimeno già preso forma. Con lo scoppio della guerra civile spagnola, avviata dal sollevamento delle truppe coloniale in Marocco guidate dal generale Francisco Franco (luglio 1936), l’asse nazifascista muoveva i suoi primi passi, prefigurando un nuovo ordine europeo. Ovunque in Europa movimenti che traevano ispirazione dal regime mussoliniano assumevano sempre maggior peso, dall’Est Europa a quella occidentale, isolando sempre più le democrazie e l'Unione sovietica, osteggiata da più parti – Stalin fu di fatti l’unico leader europeo a dare appoggio pieno alla Repubblica spagnola.

 

È in questo quadro che si inserisce la svolta antisemita del fascismo. Diamo la parola al principale studioso del Ventennio, Emilio Gentile: “Nella fase dell’accelerazione totalitaria, fra il febbraio e il novembre 1938, furono adottati anche i provvedimenti antisemiti, culminati nella promulgazione delle leggi antiebraiche (17 novembre 1938), come parte integrante della legislazione razzista elaborata dopo la conquista dell’Etiopia. Il razzismo non era estraneo alla cultura politica fascista, che aveva manifestato fin dalle origini una speciale attenzione per la ‘difesa della sanità della stirpe’ nell’ambito di un generale progetto di rivoluzione antropologica per rigenerare il carattere degli italiani, per creare una nuova razza di dominatori e di conquistatori. Invece l’antisemitismo non era stato fino al 1938 una componente dell’ideologia fascista, anche se vi erano fascisti antisemiti, come vi erano ebrei fra i primi fascisti, fra i militanti del Pnf e fra la classe politica e intellettuale del regime”.

 

“All’inizio degli anni Trenta, Mussolini aveva pubblicamente disprezzato le teorie razziste e l’antisemitismo. Tuttavia, con l’intensificazione della politica razzista, anche l’atteggiamento verso l’antisemitismo cominciò a mutare. Certamente ebbe un’influenza, su questo mutamento, l’alleanza con la Germania nazista ma i fattori decisivi furono la convinzione di Mussolini che l’ebraismo internazionale fosse parte attiva dell’antifascismo, soprattutto la sua volontà di accelerare i tempi di attuazione dell’esperimento totalitario per creare una razza italiana etnicamente omogenea. La legislazione antiebraica veniva così a inserirsi nel razzismo fascista come una scelta del tutto coerente, per motivi ideologici e politici, con la logica totalitaria del regime”.

 

Autonoma e inevitabile, la scelta antisemita rispondeva così alle logiche totalitarie adottate dal regime fascista. Anche l’alleanza con la Germania, d’altronde, seguì dinamiche simili. Nei primi tempi Mussolini disprezzava Hitler ed il nazionalsocialismo, giudicandoli come fanatici. Allarmato dal revanscismo tedesco, che avrebbe tra l’altro potuto riaprire la questione del Brennero (QUI un approfondimento), il duce rispondeva con durezza al tentato colpo di Stato effettuato dai nazisti austriaci nel 1934 – in cui, per le ferite riportate, morì il protetto di Mussolini Engelbert Dollfuss, padre dell’austrofascismo.

 

A seguito del mutare delle condizioni internazionali, con la guerra di Spagna, “l’impresa d’Etiopia” ed il successivo abbandono della Società delle Nazioni (QUI un approfondimento), tale atteggiamento subiva una svolta: informato sull’imminente intervento tedesco in Austria, Mussolini diede il proprio assenso all’Anschluss (marzo ’38, QUI un approfondimento). In quei mesi, in cui l’Europa ed il mondo scivolavano sempre più in basso in una china da cui si sarebbero ripresi solo dopo sei anni di guerra e milioni e milioni di morti, l’abbraccio mortale si strinse sempre più.

 

Presentatosi in patria come “salvatore della pace” per il ruolo di mediatore svolto alla Conferenza di pace di Monaco (settembre ’38), Mussolini assecondava le mire espansionistiche tedesche – che si assicurarono i Sudeti, regione popolata da tedeschi all’interno della Cecoslovacchia – senza dimenticarsi di quelle italiane. Nell’aprile del ’39, a poco più di un mese dal Patto d’acciaio, l’Italia invadeva l’Albania, annettendosela con l’unione personale dei due regni.

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