Il “tempio barcollante dove non si lavora per la pace ma per la guerra”: 84 anni fa l’Italia abbandonava la Società delle Nazioni
L’11 dicembre 1937, dal balcone di Palazzo Venezia Benito Mussolini proclamava l’uscita dell’Italia dalla Società delle Nazioni (vedi il VIDEO). Era la conclusione di un percorso cominciato con le sanzioni decise per l’aggressione all’Etiopia e l’avvicinamento alla Germania nazista
TRENTO. È la sera dell’11 dicembre 1937. Una selva di braccia alzate nel saluto fascista, di moschetti e di bandiere omaggia la decisione del Gran Consiglio del Fascismo appena comunicata da parte di un Mussolini tronfio dal balcone di Piazza Venezia: l’Italia è fuori dalla Società delle Nazioni. “Non era più tollerabile – aveva esordito nel silenzio teso della piazza – la nostra presenza sulla porta di Ginevra. Feriva la nostra dottrina, il nostro stile, il nostro temperamento di soldati. Si avvicinava l’ora in cui bisognava scegliere in questa dilemma: o dentro o fuori”.
La folla, riunita sotto il balcone del Palazzo Venezia, a un passo dall’Altare della Patria, entra in simbiosi con il suo “duce”. È un dialogo quello che si può vedere nel filmato dell’Istituto Luce, un botta e risposta che riunisce in una sola voce quella del popolo italiano e del suo capo supremo. Almeno così è la rappresentazione che ne dà il regime tramite questo cinegiornale, introdotto dal tono marziale e secco del giornalista.
Introdotto il dilemma da sciogliere, il copione della ritualità di regime vuole a questo punto l’entrata in scena della folla, in una risposta automatica ad una domanda retorica. “Dentro?”, si rivolge Mussolini all’oceanica massa di persone riunita in piazza. “No!”, risponde questa in coro. “Fuori?”, prosegue dal balcone il capo del regime. “Sì!”, replica trionfante la folla. “Ecco che noi gridiamo il nostro basta e ci allontaniamo senza alcun rimpianto – riprende e conclude Mussolini – dal barcollante tempio dove non si lavora per la pace ma si prepara la guerra”.
Fondata durante le trattative di Versailles del 1919, la Società delle Nazioni rappresentò il primo ente internazionale creato con la finalità di garantire la pace, promuovere la cooperazione in campo economico e sociale e conservare l’assetto territoriale stabilito nel primo dopoguerra. Fra i suoi principi v’era quello di impegnarsi, come Stati membri, a rispettare e mantenere l’integrità territoriale e l’indipendenza dei Paesi facenti parte della Società, nonché a non ricorrere alle armi per risolvere le controversie senza prima aver cercato di trovare una soluzione pacifica. In caso di mancato rispetto di questi principi, l’articolo 16 stabiliva la possibilità per il Consiglio della Società delle Nazioni di applicare delle sanzioni economiche.
Fu in questa cornice, dunque, che l’Italia fascista non solo subì le sanzioni internazionali ma si decise, così come aveva fatto la Germania nazista nel 1933, di uscire dal consesso internazionale della Società delle Nazioni. La ragione? Il 3 ottobre 1935 le truppe al comando di Emilio De Bono, quadrumviro della Marcia su Roma e commissario dell’Africa Orientale Italiana, passavano il confine fra Eritrea italiana ed Etiopia, dando avvio all’aggressione militare ad uno Stato membro della Società delle Nazioni (QUI un approfondimento).
Pochi giorni dopo, a Ginevra si dà avvio immediato allo studio di misure da adottare contro le violazioni italiane. È il 18 novembre, quando in seguito all’approvazione da parte di oltre 50 Paesi membri, il Regno d’Italia viene finalmente colpito dalle sanzioni, riguardanti per lo più il commercio internazionale. Nessun prodotto italiano può esser acquistato da Stati membri, nessun materiale utile per scopi bellici può essere venduto all’Italia.
L’efficacia delle sanzioni, nondimeno, si dimostra sin da subito piuttosto blanda. Diversi Paesi che le hanno votate continuano a mantenere buoni rapporti diplomatici con Roma, che da parte sua può contare su partner commerciali come la Germania nazista e gli Stati Uniti, promotori della Società con il presidente Woodrow Wilson ma rimasti incredibilmente fuori per le preferenze isolazioniste del Congresso.
All’interno del Paese, d’altra parte, le sanzioni finiscono per rafforzare il regime. Il fascismo ha già da tempo avviato una grande orchestrazione propagandistica: gli italiani sono convinti di volere l’Impero, la Società delle nazioni altro non è – in virtù delle sanzioni – che un ostacolo ai sogni espansionistici di Roma. "Perché Londra e Parigi possono avere il loro impero, mentre l’Italia no?", si chiedono gli italiani.
Il 9 maggio 1936, nonostante buona parte dell’Etiopia non sia stata veramente occupata, Mussolini si affaccia nuovamente dal balcone di Palazzo Venezia. Milioni di italiani in tutte le piazze del Paese sentono la sua voce risuonare dagli altoparlanti, mentre proclama la riapparizione dell’impero “sui colli fatali di Roma”. È l’apice di un percorso a tappe: mentre nella penisola si lanciano campagne di mobilitazione della popolazione per la consegna delle fedi nuziali (“l’oro alla patria”) e per l’avvio di una strategia economica di autosufficienza dal commercio estero (autarchia), le truppe del Regio esercito avanzano sugli altopiani etiopici seminando morte. Ogni resistenza viene schiacciata grazie ad una netta superiorità tecnologica e militare e nemmeno i gas, proibiti dalla Convenzione internazionale di Ginevra, vengono risparmiati. Del loro uso, però, è proibito fare menzione: Mussolini teme infatti nuove sanzioni.
La scarsa efficacia delle sanzioni, pertanto, convinse la Società della loro inutilità. Nel luglio del 1936, a poco più di sette mesi dalla loro applicazione, le sanzioni vengono revocate. Gli scenari internazionali sono intanto profondamente cambiati. Roma, che nonostante le sanzioni e i toni rivendicativi non aveva smesso di avere rapporti diplomatici con Parigi e Londra, si avvicinò sempre di più a Berlino, partecipando non solo alla “crociata contro il comunismo” in Spagna (QUI un approfondimento) ma finendo – dopo le resistenze passate – per assecondarne anche le mire revisionistiche. L’Europa si trovava ormai sulla via del collasso: l’Italia fascista, come proclamato da Mussolini l’11 dicembre del ’37, abbandonò così “senza alcun rimpianto il barcollante tempio” della Società delle nazioni.