L’Italia fascista alla ricerca del “posto al sole”: 86 anni fa Mussolini annunciava l’aggressione all’Etiopia
Il 2 ottobre 1935, le piazze italiane ascoltavano il proclama di Mussolini: l’Italia, dopo mesi di preparazione, avrebbe invaso l’Impero etiope. Il discorso del capo del fascismo calcava la mano sui torti subiti dal Paese, “Nazione proletaria” a cui Francia e Gran Bretagna negavano il diritto di un “posto al sole”. L’attacco, invece, non era che un’aggressione lanciata contro un membro della Società delle Nazioni, condotta con grande superiorità di mezzi e armi proibite dalle convenzioni internazionali
“Italia proletaria e fascista, Italia di Vittorio Veneto e della rivoluzione! In piedi! Fa’ che il grido della tua decisione riempia il cielo e sia di conforto ai nemici in ogni parte del mondo: grido di giustizia, grido di vittoria!” (Mussolini annuncia l’invasione dell’Etiopia, 2 ottobre 1935)
TRENTO. Il 2 ottobre 1935, dopo mesi di crescente tensione internazionale, il dittatore Benito Mussolini annuncia alle piazze italiane ed al mondo l’invasione dell’Etiopia. La decisione, nell’aria da tempo, avrebbe allontanato l’Italia da Francia e Gran Bretagna, spinto il Paese verso l’isolamento – l’Etiopia era membro della Società delle Nazioni, la dichiarazione di guerra mai consegnata – ed avvicinato il regime alla Germania di Hitler, fino a quel momento vista con diffidenza da Roma.
“Camice nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta Italia! Italiani sparsi nel mondo, oltre i monti e oltre i mari! Ascoltate! Un’ora solenne sta per scoccare nella storia della patria. Venti milioni di uomini occupano in questo momento le piazze di tutta Italia. Mai si vide nella storia del genere umano, spettacolo più gigantesco. Venti milioni di uomini: un cuore solo, una volontà sola, una decisione sola. La loro manifestazione deve dimostrare e dimostra al mondo che Italia e fascismo costituiscono una identità perfetta, assoluta, inalterabile”.
A caratterizzare quel discorso, altisonante, del “duce” del fascismo, v’erano le tradizionali argomentazioni: il Regno d’Italia, sconfitto nel 1896 dalle truppe del negus, avrebbe dovuto lavare l’onta di Adua, ottenendo così il suo “posto al sole”. “Nazione proletaria”, l’Italia fascista avrebbe al tempo stesso raggiunto Francia e Gran Bretagna nel consesso degli Imperi, sanando la “mutilazione della vittoria” imposta dagli alleati a Versailles, nel 1919 – “attorno al tavolo della esosa pace non toccarono all’Italia che scarse briciole del ricco bottino coloniale altrui”, incalzava nel discorso Mussolini.
La guerra d’Etiopia, dunque, nell’intento del fascismo avrebbe dovuto garantire all’Italia il suo spazio nel mondo, rompendo il “più stretto cerchio degli egoismi che soffocano la nostra vitalità” (le parole sono sempre di Mussolini). Impresa coloniale fuori tempo massimo (QUI un approfondimento), l’aggressione all’Impero abissino finirà invece per fornire basi tutt’altro che solide all’effimero Impero italiano.
“Da molti mesi la ruota del destino, sotto l’impulso della nostra calma determinazione, si muove verso la meta: in queste ore il suo ritmo è più veloce e inarrestabile ormai! Non è soltanto un esercito che tende verso i suoi obiettivi, ma è un popolo intero di quarantaquattro milioni di anime, contro il quale si tenta di consumare la più nera delle ingiustizie: quella di toglierci un po’ di posto al sole”.
La mobilitazione per la guerra è grandiosa. Mezzi e uomini in abbondanza devono sostenere l’impresa del regime, con un unico risultato possibile: la vittoria. Per questo si mettono in campo quasi un milione di soldati, a cui s’aggiungono le truppe coloniale di Eritrea, Libia e in misura minore Somalia. Armi formidabili devono infine puntellare l’offensiva; è sull’aeronautica che il fascismo punta, come evidenziato da una lettera del generale Badoglio inviata a Mussolini nel marzo del ’35:
“Noi abbiamo ora un’arma che non avevamo nel 1896, ossia l’aviazione. Per più di 200 chilometri a sud del nostro confine noi potremo rendere quasi impossibile la vita a masse [abissine] che nel complesso ammonteranno a più di trecento mila uomini. È questo che rappresenta l’assoluta superiorità nostra: l’offendere senza poter essere offesi… l’avanzata su Adua deve essere preceduta da una violenta azione di tutta la nostra aviazione da bombardamento su tutti i principali centri abissini, a partire dal confine sino ad Addis Abeba inclusa. Tutto deve essere distrutto con bombe esplodenti ed incendiarie. Deve essere seminato il terrore in tutto l’impero… ripeto: è con l’aviazione che dovremo stroncare la resistenza abissina”.
Quanto deciso per l’autunno 1935, in realtà, già era chiaro negli intenti del regime. È dal 1932, infatti, che cominciano a circolare i primi piani di conquista dell’Etiopia, finalizzati a lavare l’onta di Adua – una delle peggiori sconfitte coloniali mai subite da un esercito europeo – e ad offrire al fascismo un successo di prestigio, la conquista dell’Impero. I mutamenti nel contesto internazionale permisero tuttavia di dar vita all’aggressione solamente nell’ottobre del ’35, dopo che il regime aveva da tempo cominciato la massiccia mobilitazione di uomini e mezzi verso il Corno d’Africa.
Il 30 dicembre 1934, a qualche settimana dall’incidente di Ual-Ual, al confine somalo-etiope, in un promemoria segretissimo Mussolini scriveva: “Il problema dei rapporti italo-abissini è diventato un problema di forza, un problema storico che bisogna risolvere con l’unico mezzo col quale tali problemi furono sempre risolti: coll’impiego delle armi”. I tafferugli alle frontiere, dunque, diedero al fascismo il pretesto per l’avvio di una guerra coloniale già da tempo preparata.
Come premesso, bisognerà attendere l’inizio d’ottobre del 1935 per assistere all’invasione dell’Etiopia, ultimo grande Paese africano a non essere stato colonizzato. Le prime operazioni, dopo l’annuncio fatto da Mussolini al mondo dell’attacco italiano, avvengono sotto il comando di Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma e ministro delle Colonie. Si attaccano le città al confine con l’Eritrea, Adigrat, Adua, Axum. Le titubanze e la prudenza di De Bono, però, portarono già in novembre ad una sua sostituzione con Pietro Badoglio.
Anche l’esordio del noto generale del Regio esercito è caratterizzato dalla prudenza. Badoglio vuole sfruttare al meglio la superiorità di uomini e mezzi e in un contesto difficile ed ostile preferisce attendere l’offensiva abissina, così da contenerla e riattaccare. Lo scopo, spiega lo storico militare Giorgio Rochat, è sì di annientare il nemico ma al tempo stesso di occupare gradualmente il territorio. Come vedremo, l’ansia di ricoprire d’allori la propria figura e il regime porterà alla conquista della capitale, Addis Abeba, ma non dell’intero territorio etiope, dove proseguirà per anni, fino alla liberazione inglese, la guerriglia contro l’invasore italiano.
Nel febbraio 1936 Badoglio ebbe modo di affrontare tre decisive battaglie sulla strada di Addis Abeba. Il nord cadeva sotto il controllo italiano dopo le vittoria sull’Amba Aradam, a Tembien ed infine sullo Scirè, con l’annientamento delle truppe nemiche grazie anche al massiccio utilizzo dell’aviazione e degli aggressivi chimici, importanti ma non determinanti nelle sorti del conflitto, considerando l’evidente superiorità tecnica e numerica del Regio esercito. Con la battaglia di Mai Ceu del 31 marzo ’36, infine, anche le forze guidate dallo stesso negus Hailè Salassiè sono spazzate via. Ciononostante, l’imperatore non diede segni di resa.
Mentre Badoglio procede verso la capitale, il generale Graziani guida le truppe in un fronte secondario ma altrettanto sanguinoso. Dalla Somalia le truppe al suo comando soffrono la mancanza di collegamenti stradali, che ne rallentano l’avanzata. Quando la resistenza abissina viene definitivamente piegata, spianando la strada agli italiani verso Harar e Dire Daua, Badoglio ha già fatto il suo trionfale ingresso ad Addis Abeba. Con la “marcia della ferrea volontà” – ribattezzata così dallo stesso generale – la capitale è finita sotto il controllo italiano. Ottenuto il risultato propagandistico necessario per permettere a Mussolini di proclamare l’impero, Badoglio non garantì d’altra parte la conclusione del conflitto. Gran parte del territorio etiope rimaneva infatti in preda alla guerriglia anti-italiana.