"Un colonialismo fuori dal tempo": le stragi italiane in Etiopia. Baldo: "Lì il fascismo dimostrò il suo vero volto: quello del terrore totalitario"
Il 19 febbraio (Yekatit 12) è ricordato in Etiopia per le stragi commesse dagli italiani a seguito di un fallito attentato contro il governatore Rodolfo Graziani. La rappresaglia seminò morte per giorni nella capitale, e per mesi nel resto del Paese. Lo storico Tommaso Baldo: "Questo è il vero volto del fascismo, altro che totalitarismo debole"
TRENTO. Shoah e antitotalitarismo si sono trasformati negli ultimi decenni nei due pilastri della memoria europea (in costruzione) e di quella italiana (QUI articolo). Ma se le ricorrenze fissate nel calendario civile sono eccessivamente schiacciate sulle vittime, assolutizzate e slegate dal proprio contesto storico, ogni spazio di confronto critico con il passato nazionale è escluso. L'emozione trionfa così sulla riflessione, lo sguardo vittimario regna sovrano soffocando ogni voce che cerchi di richiamare alla ragione – così è avvenuto con la campagna diffamatoria lanciata contro lo storico Eric Gobetti, colpevole di fare divulgazione sul tema del “confine orientale” (QUI e QUI degli articoli)
La proposta lanciata dal collettivo di scrittori Wu Ming di creare una “giornata dal basso” sui crimini del colonialismo italiano, svincolata dalle celebrazioni ufficiali – che, se non rinnovate, finiscono per diventare un rito stanco e, al fine, controproducente – si pone proprio nella logica di riflettere criticamente sull'impronta che l'imperialismo ha lasciato sulle strade e le piazze del Paese. E mentre gli stessi compongono una mappa delle “reliquie coloniali” diffuse sul territorio, il 19 di febbraio, giorno come gli altri in Italia ma ben saldo nella memoria degli etiopi, diventa l'opportunità per de-colonizzare menti e città italiane.
Era il 19 febbraio del 1937, infatti, quando nelle strade di Addis Abeba un attentato compiuto da due attivisti eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, contro il viceré d'Etiopia Rodolfo Graziani diede avvio a terribili massacri durati mesi. Dalle strade della capitale dell'Africa orientale italiana fino al complesso conventuale di Debre Libanos, per settimane la popolazione locale fu oggetto delle rappresaglie dei colonizzatori, che sul terreno lasciarono migliaia di vittime (sui numeri non v'è certezza: rispetto alla sola strage di Addis Abeba lo storico Ian Campbell parla di 19mila vittime, le autorità etiopi di 30mila, mentre nel villaggio di religiosi le stime più attendibili raccontano di oltre 2500 uccisi).
“L'invasione dell'Etiopia determina la politica fascista successiva e mostra quale fosse il vero volto, il terrore di massa, del totalitarismo italiano – spiega lo storico del Museo storico di Trento Tommaso Baldo, voce narrante e autore della rubrica "Accadde quel giorno" (la puntata 9 è dedicata proprio alla strage di Addis Abeba) – l'Italia fascista si gioca infatti la credibilità in quella guerra. Mussolini vuole costruire l'italiano nuovo e ciò avrà delle ricadute su tutta la storia successiva”.
Il contesto in cui avviene la strage è quello dell'Etiopia in parte conquistata. Nell'ottobre 1935 dai possedimenti eritrei viene lanciata la campagna per conquistare l'Etiopia, l'unico Stato africano non ancora conquistato dagli europei e con un seggio alla Società delle Nazioni. Il 5 maggio 1936 le truppe italiane, dopo aver preso il controllo delle principali città, entrano ad Addis Abeba. Quattro giorni dopo, Mussolini proclama “la riapparizione dell'Impero sui colli fatali di Roma”.
“L'invasione dell'Etiopia dell'ottobre '35 ha effetti sull'Italia stessa – continua Baldo – Mussolini per finanziarla è infatti costretto a imporre delle accise sulla benzina. La spesa è enorme perché in Etiopia vengono inviati 600mila tra soldati e lavoratori militarizzati. Ciò avrà delle ricadute sull'arretratezza dell'esercito italiano nella Seconda guerra mondiale. La prima regola della guerra coloniale era di spendere poco e ricavare i massimi benefici. Ma nel 1935, quelle dinamiche sono superate dalla storia. E mentre le grandi potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna, si interrogano sul futuro dei propri Imperi, l'Italia si imbarca in un'impresa fuori dal tempo”.
“L'invasione dell'Etiopia arriva quando i popoli asiatici già si sono attivati contro i propri colonizzatori, mentre in Africa si stanno formando tutti i leader che poi guideranno i movimenti anticoloniali. Questi iniziano a muoversi negli anni '30 e spesso si conoscono proprio nelle manifestazioni contro la guerra coloniale italiana in Etiopia. Mandela racconta ad esempio nelle sue memorie che le sue idee anticoloniali e panafricane nascono proprio nelle manifestazioni anti-italiane. La guerra d'Etiopia accelera i processi di formazione di un'identità africana”.
L'obiettivo delle mire italiane non è d'altronde facile da raggiungere. “Non parliamo di un territorio debole ma di uno Stato che ha già sconfitto l'Italia nel 1896 e che ha cominciato a modernizzarsi sotto la spinta dell'imperatore Hailé Selassié – spiega – le ricadute sulla storia italiana sono decisive, perché la guerra allontana l'Italia dalla Francia e dalla Gran Bretagna, avvicinandola alla Germania. Vengono decise delle sanzioni che però durano solo 7 mesi. Il commercio mondiale della metà degli anni '30 è ai minimi storici, ancora soffre le conseguenze della crisi del 1929, ma se l'effetto economico non è grande lo è il cambio di prospettiva. Il Paese, da vincitore della Grande Guerra, diventa un alleato di chi vuole cambiare l'ordine post-bellico”.
“Sotto il profilo legislativo, la conquista dell'Etiopia porta alla legislazione fondata sul razzismo biologico, con la proibizione dei rapporti tra i bianchi e i sudditi neri dell'Impero. Poi si arriverà alle leggi razziali del 1938, perché, come detto nel discorso di Trieste del settembre di quell'anno, 'gli imperi si conquistano con le armi ma si mantengono con il prestigio, e per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale' (QUI un approfondimento)”.
“L'impresa d'Etiopia” segna l'apice del consenso al regime, grazie anche all'investimento fortissimo nell'edificazione dell'Impero. “Parlare di consenso è sempre problematico, considerando il fascismo era un regime totalitario. Quanto fosse convinto, bisognerebbe vederlo – continua Baldo – ad ogni modo l'investimento propagandistico fatto dal regime è fortissimo. Sul giornale della Legione trentina si nota ad esempio quanto la guerra d'Etiopia catalizzi l'opinione pubblica. L'impressione è l'Italia abbia vissuto in guerra dal 1935 al 1945. La mobilitazione materiale e spirituale è enorme. Mussolini la guerra la vuole vincere a tutti i costi e l'utilizzo dei gas lo dimostra (QUI un approfondimento)”.
In questo contesto, dunque, a poco meno di un anno dalla proclamazione dell'Impero, avvengono i fatti in questione. “Nonostante il proclama di Mussolini, solo le principali città e strade sono state occupate. Nell'entroterra, invece, le varie comunità che compongono l'Etiopia resistono e non vogliono vedersi strappare l'indipendenza dagli italiani. Come scrive lo storico Matteo Dominioni, questi mirano a imporre un 'super direct rule', dominio basato sulla superiorità del colonizzatore e l'inferiorità del colonizzato. Graziani, nominato viceré, risponde questa logica. In Libia ha già represso la Resistenza tra massacri e campi di concentramento. La forma di governo è la politica del terrore e Graziani è la figura perfetta, che rifiuta ogni trattativa con i corpi intermedi della società etiope, come la chiesa copta e i nobili”.
“C'è chiusura a ogni spazio di dialogo e in questo contesto avviene l'attentato, compiuti tra l'altro da 2 eritrei, a testimonianza del fatto che esiste un'avanguardia anche in quel Paese che solidarizza con il popolo etiope. Nove bombe a mano vengono tirate contro la folla, il giorno che Graziani vuole celebrare la nascita del figlio dell'erede al trono Umberto II. Il viceré rimane ferito dalle schegge, e la rappresaglia che segue non è eseguita su suo ordine bensì sotto la direzione dei funzionari fascisti. Carabinieri, soldati, truppe coloniali e soprattutto civili conducono per 2 giorni la rappresaglia per le vie della città. Gli etiopi uccisi in quei due giorni sono minimo 3000”.
Dopo la rabbia popolare, è lo stesso Graziani a prendere il controllo delle violenze contro la popolazione etiope. “Fermata la violenza, per mesi poi Graziani cerca di sterminare ogni forma di opposizione. Intellettuali, cantastorie, religiosi della chiesa copta vengono uccisi o deportati. Al villaggio di Debra Libanos si registra la più grande strage di cristiani commessa in una sola volta in Africa”.
Di fronte alle violenze tremende commesse dagli italiani (a fine guerra si conteranno oltre 350mila morti tra combattenti e civili), la Resistenza etiope prende forza. Nel 1941, quando la guerra in Europa è già scoppiata, le forze britanniche sconfiggono il Regio esercito, ponendo fine di fatto all'Africa orientale italiana. “Di per sé la Resistenza etiope non verrà mai schiacciata, nemmeno con il successore di Graziani il duce d'Aosta. È una guerra di popolo, che contribuisce al crollo del dominio italiano. Heilé Selassié torna a quel punto al suo posto, appellandosi alla popolazione affinché non si comporti come, fino all'ultimo, avevano fatto gli italiani”.