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Lo squadrismo “al servizio della Patria”: la nascita della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale

A inizio 1923 comincia a prendere forma la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Presentata come soluzione per la “normalizzazione” dello squadrismo, in realtà agì per molto tempo in parallelo alle squadre, aduse alla violenza e restie a sciogliersi. Nondimeno, legatasi strettamente allo Stato, finì per divenire un corpo a servizio delle autorità. Prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”

Foto tratta dal web
Di Davide Leveghi - 13 marzo 2022 - 12:13

Qualcuno potrebbe domandare: perché tanto clamore? Perché tanti armati? Io dichiaro che voglio governare, se possibile, col consenso maggiore dei cittadini; ma nell’attesa che questo consenso si formi, si alimenti e si fortifichi io accantono il massimo delle forze disponibili. Perché può darsi per avventura, che la forza faccia ritrovare il consenso e in ogni caso quando mancasse il consenso c’è la forza” (discorso di Benito Mussolini al Ministero delle Finanze, 7 marzo 1923)

 

La creazione della Milizia è il fatto fondamentale, inesorabile, che poneva il Governo sopra un piano assolutamente diverso da tutti i precedenti e ne faceva un Regime. Il partito armato conduce al Regime totalitario” (Benito Mussolini, 1927)

 

TRENTO. “All’indomani della marcia – scrive lo storico Matteo Millan in Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista – l’unica forza su cui Mussolini e il fascismo possono contare è rappresentata dalle squadre. Non è certo un caso allora che alcuni tra i primi provvedimenti del nuovo governo riguardino proprio lo squadrismo. Accanto a misure contingenti – come l’ordine di smobilitazione delle squadre e di restituzione delle armi, il ritorno dei poteri alle autorità civili e il ripristino delle amministrazioni costrette alle dimissioni durante la marca – il governo elabora due decreti che incidono in profondità sulle istituzioni liberali: il Regio decreto n.31 del 14 gennaio 1923 istituisce la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e il Regio decreto n.1641 del 22 dicembre 1922 – meglio conosciuto come «amnistia Oviglio», dal nome del ministro guardasigilli – che cancella i reati commessi per «fine nazionale»”.

 

Dopo diversi passaggi, dal Gran Consiglio (gennaio) come nell’elaborazione delle gerarchie e dei regolamenti interni (marzo), la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale si impose pertanto non solo come erede delle squadre, ma anche e soprattutto come forza “al servizio di Dio e della Patria”, posta agli ordini del capo del governo. Da milizia di partito, lo squadrismo si trasformava nelle sue nuove vesti in milizia dello Stato; il fascismo, in sostanza, si faceva sempre di più Stato e alle nuove vesti di cui si coprivano gli squadristi di certo non corrisposero nuovi metodi.

 

Ciononostante, in un primo momento la monarchia, le forze moderate e perfino alcuni oppositori lessero questa nuova creatura come un tentativo di normalizzazione della violenza squadristica. Riporta ancora lo storico Millan, ad esempio, un articolo del settimanale socialista La Giustizia, in cui a due anni dalla sua costituzione si tira un’amara e disillusa somma della natura della Milizia. “Quando si creò la Milizia si disse: adesso lo squadrismo è finito. Nossignori: ad ogni occasione la ragazzaglia dal ciuffo alla Griso e dai gambali alla coloniale sbuca fuori e scorrazza come prima, peggio di prima. Ce n’è tanta in permanenza che viene alla bocca una domanda: ma insomma tutti questi giovanotti dai 16 ai 25 anni, si può sapere che mestiere fanno? È una curiosità legittima, dal momento che – per l’Italia – bisognerebbe lavorare 16 ore, come dice Mussolini”.

 

Riottose e restie a sciogliersi, molte squadre proseguirono nelle loro consuete attività, operando parallelamente alla Milizia. Non mancarono quindi, nei primi anni successivi alla Marcia, delle azioni spettacolari e sanguinose, su tutte a Torino (QUI l’articolo) e a Firenze (QUI l’articolo), a testimonianza di una “normalizzazione” fatta più a parole che a fatti. La guerra contro i sovversivi, per i fascisti, proseguiva così fino al loro totale annichilimento.

 

Scrive Millan: “La creazione della Milizia volontaria risponde al desiderio di irreggimentare lo squadrismo, limitarne le spinte centrifughe, consolidarne la disciplina e legarlo strettamente al nuovo governo fascista. Tuttavia, questi obiettivi non fanno venir meno la consapevolezza del valore centrale della violenza di matrice squadrista per imporre il consenso e radicare la conquista del potere. L’istituzione della Milizia sembra essere un ‘investimento sicuro’ per Mussolini e il fascismo. In caso di imbarazzo, il governo può scindere con facilità le proprie responsabilità da quelle dello squadrismo riottoso”.

 

Strumento della fascistizzazione dello Stato, la Milizia si pose come detto come forza al servizio dello Stato. Già nel ’24, i militi sono costretti a giurare fedeltà alla monarchia, intrecciando ancor più il legame stretto fra la Corona e il fascismo. A risolvere la contraddizione di una violenza extralegale messa a disposizione dell’ordine costituito, inoltre, intervenne poi un’amnistia. A darle il nome fu il guardasigilli Aldo Oviglio.

 

La misura, innovativa, cancellava tutti quei reati commessi con “fine nazionale”, introducendo così una distinzione volta a coprire le violenze fasciste e a lasciare ampio spazio per le interpretazioni arbitrarie della magistratura. Per le azioni criminose compiute dagli antifascisti, invece, la mancanza di “fine nazionale” determinava nelle sentenze degli esiti di ben altro tipo.

 

Se da una parte, la libertà lasciata alla magistratura finiva per sfumare il labile confine fra le azioni criminose compiute dai fascisti per fini “nazionali” o meramente personali, dall’altra fu proprio il carattere dell’amnistia a sanzionare l’equazione fra milizia fascista e forza paramilitare a servizio dello Stato. L’amnistia Oviglio, in sostanza, diede valore giuridico a questa equazione, creando la cornice legale entro cui diveniva possibile discriminare i cittadini a seconda del loro pensiero politico (Millan).

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