Anni di terrore: dal delitto Matteotti ai “fatti fiorentini”, storia di un territorio in balia delle camicie nere”
In questo nuovo episodio della rubrica “Cos’era il fascismo”, raccontiamo le vicende di una città, Firenze, interessata da scoppi di violenza efferata a cavallo dell’omicidio Matteotti e della “proclamazione” della dittatura. Qui, il regime mostrerà ancora una volta il suo atteggiamento ambivalente verso lo squadrismo, traendone il massimo risultato
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“Il ‘disperato’, lo squadrista, quello vero, quello dell’azione, quello delle spedizioni punitive numerose non è lo ‘scamiciato’, non è stato quello che alcuni ‘storici’ hanno creduto o potranno ritenere, e cioè quello che ha servito sì, quasi sicario nelle battaglie e poi si è disperso quando è giunta la disciplina, il Partito con le sue regole, i suoi fogli d’ordini e le sue disposizioni. Esso ha continuato a servire anche dopo con egual fede, coraggio e tenacia, senza cercare onori e ricompense, ragion per cui è stato travolto dai politicanti ambiziosi ed arrivisti ed è stata meno appariscente la sua azione […] la disciplina è stata l’abito del ‘disperato’ a cui non era concesso, neppure nella mischia, agire senza ordine del comandante” (Onorio Onori, capo della squadra La Disperata di Firenze)
TRENTO. Abilmente preparata da una martellante campagna stampa, la cieca violenza squadrista si abbatté sulla città di Firenze. Era l’ottobre del 1925 e come spesso accadde, a produrre la scintilla della brutalità, fu l’uccisione di un fascista, nello specifico il vicesegretario del fascio Giovanni Luporini. Impegnato in una delle tante azioni anti-massoniche, questi si era recato a capo di un gruppo di squadristi in casa del massone Bandinelli, con lo scopo di perquisirla ed intimidirlo. Gli schiamazzi, però avevano finito per attirare il vicino di casa, il ferroviere Becciolini, che impugnato il fucile si diresse contro le camicie nere. Nello scontro, dunque, perì Luporini, mentre un altro fascista rimarrà ferito.
Fu l’inizio del pandemonio, passato alla storia come una versione toscana della “notte di San Bartolomeo”, la grande strage condotta dai cattolici contro gli ugonotti parigini nel 1572. Una strage, per la verità, preparata ben prima nel capoluogo toscano dal grande attivismo delle fazioni più intransigenti del fascismo.
Ancora presente in forma endemica in diverse parti d’Italia, la violenza squadrista non cessò certo di manifestarsi una volta conquistato il potere. Anzi, come avvenuto a Torino nel dicembre ’22 (QUI l’articolo), più volte esplose in forma parossistica, producendo anche qualche grana al governo. Nondimeno, fu il delitto Matteotti – avvenuto nel giugno ’24 (QUI e QUI gli articoli) - a far vacillare seriamente l’esecutivo guidato da Benito Mussolini, spingendo gli ambienti più oltranzisti a chiedere un’ulteriore giro di vite contro gli oppositori – infine accontentati.
Scrive lo storico Matteo Millan in Squadrismo e squadristi nella dittatura fascista: “La crisi aperta dall’omicidio di Giacomo Matteotti dimostra a tutti che lo squadrismo non è morto. Il redivivo protagonismo delle opposizioni e le incertezze del governo e di Mussolini favoriscono l’emersione di un contesto che, dal punto di vista dello squadrismo, rende nuovamente legittimo il ricorso alla violenza e ne fa uno strumento decisivo per la risoluzione delle crisi”.
Il 31 dicembre 1924, i fascisti toscani si riuniscono numerosissimi – si contano circa 10mila camicie nere – a Firenze. La manifestazione è organizzata dal vicesegretario del Partito nazionale fascista Renato Ricci, ras di Carrara già protagonista dei celebri fatti di Sarzana (QUI l’articolo), e dal capo dello squadrismo fiorentino Tullio Tamburini. Tenente nella Grande Guerra, quest’ultimo era stato fra i promotori della squadra La Disperata, fra le formazioni più brutali del fascismo. Più volte al centro di fatti di sangue, Tamburini poté godere della benevolenza delle istituzioni, venendo ripetutamente assolto dalle accuse di violenza privata, tentato omicidio e porto abusivo d’armi. Console della milizia, uscirà di scena temporaneamente proprio a seguito dei processi sui “fatti di Firenze”, godendo sempre di un grande seguito da parte delle camicie nere della città.
L’adunata fiorentina, come prevedibile, degenerò in un’ondata di violenza, con oggetto le tipografie di giornali d’opposizione, i locali della loggia massonica e gli studi di avvocati invisi ai fascisti. Il tutto, ancora una volta, con il beneplacito delle forze dell’ordine. Al limite fra l’azione ribelle contro la dirigenza del partito ed i dettami dello stesso direttorio nazionale, l’adunata riprodusse la doppiezza fascista fra gli inviti all’ordine ed il ricorso al diffuso illegalismo, ottenendo i risultati sperati: seminare il terrore fra le opposizioni.
Il discorso di Mussolini di qualche giorno dopo, il 3 gennaio 1925 (QUI l’articolo), sanzionò definitivamente la violenza a venire. Era ora, per il fascismo fiorentino, di sbarazzarsi dell’opposizione antifascista borghese ed in particolare della massoneria, che proprio nel capoluogo toscano aveva uno dei suoi epicentri.
Le prime violenze scoppiarono in luglio, in occasione della lettura della sentenza di rinvio a processo di Gaetano Salvemini, protagonista della pubblicazione clandestina dell’opuscolo Non mollare. Dalle pagine del settimanale della federazione locale, Battaglie fasciste, gli intransigenti già ventilano dure misure contro gli oppositori. A guidare gli scontri, subito dopo la sentenza, è il capo de La Disperata Onorio Onori.
È l’inizio d’ottobre, però, quando si raggiunse l’apice della brutalità. Diverse azioni contro i massoni sono state organizzate e condotte, ma in una di queste, il 3 ottobre, perde la vita il vicesegretario del fascio Giovanni Luporini, ucciso da una fucilata di un ferroviere. La reazione è tremenda: la casa di Bandinelli, dove avviene l’uccisione, è devastata, mentre il ferroviere Becciolini viene rapito, portato alla sede del fascio, seviziato e infine ucciso con numerosi colpi di rivoltella.
L’esplosione di violenza travolge la città e non solo. Il deputato socialista Gaetano Pilati viene sorpreso a casa sua e ferito a morte da diversi colpi di pistola. Invitato a recarsi alla sede del circolo rionale, l’avvocato Gustavo Consolo si rifiuta, trovandosi la casa assaltata. I fascisti la crivellano e poi vi entrano. Trovano l’uomo che si nasconde e lo freddano con vari colpi di pistola. Case di massoni e antifascisti sono devastate, le strade svuotate a colpi di manganello, i caffè chiusi e i teatri invasi. Gli studi di 13 avvocati e di un ragioniere, una sartoria e 7 botteghe sono saccheggiati, i mobili dati alle fiamme (Millan).
La violenza, come detto, non riguardò solo Firenze ma si diffuse ben presto anche alla provincia, specialmente nelle città dove forte era il radicamento del movimento operario. Empoli e Prato furono messe a ferro e fuoco, la casa del Gran Maestro della massoneria data alle fiamme. Da parte sua, il prefetto ordina la mobilitazione di una squadra della Milizia, la legione guidata proprio da Tullio Tamburini.
Mussolini e i dirigenti dell’ala politica temono ricadute, all’estero come nel seguito dell’opinione pubblica moderata, degli industriali, dell’esercito e della monarchia. Vengono ordinate tre inchieste, concluse con l’espulsione dal partito di 51 fascisti ed il commissariamento della federazione, affidata al moderato Giovanni Marchi. Anche la Milizia, seppur con qualche ostacolo, viene raggiunta da misure epurative. Tamburini, in particolare, venne rimosso e inviato in un “esilio dorato” in Libia. Da lì tornerà negli anni ’30, ricoprendo più volte la mansione di prefetto. Anche per Onori la sorte è simile, con il reintegro nella Milizia già nel 1928. A cadere, però, è la segreteria di Roberto Farinacci, capo dell’ala intransigente allontanato dal suo ruolo nel marzo 1926.
Del bilancio di quei fatti, scrive ancora Millan: “Vero vincitore sembra piuttosto essere Mussolini che, pur non avendo fatto nulla per disciplinare le riottose camicie nere fiorentine tra il dicembre 1924 e l’ottobre 1925, riesce comunque a emergere come l’unico e vero normalizzatore. Anche in questo caso, l’azione del governo fa coscientemente leva sull’indiscutibile esasperazione degli squadristi, salvo poi rinnegare ogni responsabilità, mostrare fredda determinazione a eliminare l’illegalismo, e infine perdonare tutti una volta che la situazione si è calmata”.
“Se i fatti di Firenze provocano molti imbarazzi e serie preoccupazione a Mussolini – conclude – tuttavia non si dimostrano per questo assolutamente controproducenti. Il terrorismo che sconvolge Firenze è un efficace strumento di ‘fascistizzazione’, che dimostra con tragica chiarezza che nessuna forma di opposizione sarebbe stata tollerata: antifascisti non era più solo i sovversivi ma anche i moderati e i fiancheggiatori. La «Notte di San Bartolomeo» pone la borghesia davanti a una scelta senza alternative: aderire integralmente al fascismo oppure opporsi ad esso. E la fine toccata a Consolo e Pilati stava bene a dimostrare cosa avrebbe significato la seconda opzione”.