“Andare verso il popolo”: dalla scuola al culto del leader, ecco come funzionava l'apparato propagandistico fascista
Forza politica moderna e attenta ai nuovi potenti mezzi tecnologici, il fascismo utilizzò la propaganda sin dai suoi esordi. Nei giorni immediatamente successivi alla marcia su Roma fu ad esempio in grado di rilasciare un film che ne esaltava le gesta. Ma l’apice fu certamente raggiunto con il Minculpop negli anni ’30. Prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”
TRENTO. Organizzare, mobilitare e plasmare furono tre direttive che il fascismo adottò per “rifare gli italiani”. Sbarazzatasi del regime liberale e delle opposizioni, imposto il controllo su ogni genere di dissenso, la dittatura fascista procedeva spedita verso la creazione di un’architettura istituzionale e sociale totalitaria. A svolgere un ruolo decisivo, sotto questo aspetto, fu l’incredibile apparato propagandistico, incontrastato e capillare.
D’altronde, il fascismo già dai primordi aveva dimostrato grande interesse nei confronti della propaganda. Formato nei suoi vertici da abili e carismatici giornalisti – su tutti lo stesso Benito Mussolini, agitatore formidabile sin dai suoi esordi socialisti – il movimento fu in grado di sfruttare a pieno una temperie politica e sociale poco favorevole al protagonismo proletario, soffiando abilmente sulle paure dei ceti borghesi. In occasione dello sciopero legalitario dell’estate 1922, proclamato dalle sinistre contro il diffuso illegalismo fascista (QUI l’articolo), il Partito nazionale fascista riuscì a presentarsi come l’unica forza nel Paese in grado di tenere sotto controllo la “bestia bolscevica”, garantendo ordine e difesa dello status quo.
A pochi giorni dalla marcia su Roma, i fascisti realizzarono inoltre un filmato propagandistico presentato subito nelle sale. A noi! del regista Umberto Paradisi raccontava la preparazione e la messa in pratica della marcia, offrendo una narrazione che desse legittimità alla conquista fascista dello Stato. “In termini generali – scrive la storica Giulia Albanese nel suo La marcia su Roma – le immagini esprimono e lanciano un messaggio dal significato chiaro e inequivocabile: quello della forza del fascismo e il riconoscimento che questa forza dava alle istituzioni militari attraverso il saluto al milite ignoto, al re e all’esercito. Messaggio quasi rassicurante, tutto sommato, in cui la violenza rimaneva un’appendice secondaria, ancora una volta nascosta, anche se così presente nell’esibizione di un esercito e delle armi con cui i fascisti potevano colpire”.
Attenti sin dagli esordi ai nuovi mezzi tecnologici messi a disposizione dalla modernità, i fascisti si mostrarono così all’avanguardia. Colpita prima ed eliminata poi ogni forma di informazione libera e plurale, fu la dittatura a creare una macchina propagandistica efficace, in grado di sfruttare stampa, radio e cinema “per la valorizzazione spettacolare dei propri successi, come la ‘battaglia del grano’ e la bonifica dell’Agro pontino, mantenendo le masse in uno stato di mobilitazione emotiva permanente attraverso riti e cerimonie collettive” (E. Gentile, Fascismo. Storia e interpretazioni).
Posta dapprima sotto il controllo del sottosegretario della Stampa e della Propaganda, questa formidabile macchina divenne un vero e proprio ministero a partire dalla metà degli anni ’30 (Ministero della Cultura popolare dal 1937, noto ai più come Minculpop). Scrive ancora Gentile: “Una funzione molto importante, per la propaganda totalitaria, fu svolta dai periodici delle numerose organizzazioni del partito o dipendenti dal partito. Con la sua politica culturale, il fascismo mirò a diffondere la propria ideologia attraverso un’oculata orchestrazione di temi e di interpretazioni del passato e del presente, con forme diversificate di rappresentazione”.
Fra gli ambiti interessati da questa enorme operazione culturale, vale la pena citarne alcuni. Principale fattore di consenso fu innanzitutto il culto della personalità del dittatore; il mito di Mussolini venne edificato su già solide fondamenta, su un carisma che già si era cementato nell’esperienza socialista prima e in quella interventista poi. Un’attenta regia puntò a presentare il capo come unica cosa con il popolo, intento a raccogliere il grano o a nuotare, così come ad aizzare le folle in oceaniche adunate.
“L’italiano nuovo”, guerriero obbediente a servizio della patria, veniva “costruito” sin dall’infanzia. Non è un caso che la scuola abbia rappresentato uno dei primi ambiti interessati dalle politiche fasciste, ancora nel primo anno dalla presa del potere (riforma Gentile). Introdotto il libro unico, impedito qualsiasi insegnamento contrario alla nazionalizzazione delle masse (si pensi all’insegnamento delle madrelingue straniere nei territori abitati da non italofoni), anche la vita scolastica fu militarizzata.
La fascistizzazione dei più piccoli passò dall’Opera nazionale Balilla prima e dalla Gioventù italiana del Littorio poi, organizzazioni giovanili sottoposte al controllo del partito e volte alla mobilitazione ideologica. A questo scopo veniva istituita inoltre un’iniziativa a favore dei bambini più indigenti: il 6 gennaio 1928, per la prima volta, si tenne la celebrazione della “Befana fascista”, con la distribuzione di doni.
Il controllo sulla vita quotidiana - si pensi all’istituzione dell’Opera nazionale dopolavoro (1925), con cui si organizzava anche il tempo libero dei lavoratori – interessò nondimeno l’universo femminile, subordinandolo a un modello di sposa e madre votata a produrre e educare i figli per la patria. Non senza contraddizioni, il fascismo creava al tempo stesso organizzazioni che spingevano le donne a emarginarsi dal ruolo tradizionale, partecipando attivamente, “pur entro i confini della funzione assistenziale e pedagogica, alla vita del partito” (Gentile).
Creatore formidabile di narrazioni, poi dimostratesi dure a morire anche in epoca repubblicana (dalle bonifiche al sistema pensionistico, fenomeni tutt’altro che ascrivibili alla sola epoca fascista), il fascismo si trovò spesso a dover misurare la distanza fra le altisonanti promesse e la dura realtà. Ciò avvenne in maniera esplosiva con la guerra, ma anche con il modello economico e sociale sbandierato. L’ordinamento corporativista, con cui il regime si propose di superare il conflitto di classe, non durò che qualche anno.