“Proletari, lo spettacolo è per voi”: quando i fascisti invocarono lo “spettro rosso” e stroncarono lo sciopero delle sinistre
Nell’agosto del 1922 si consumò una pagina decisiva nella strada verso la conquista fascista del potere. Lo sciopero proclamato dalle sinistre venne infatti travolto dalle camicie nere, che presentatesi all’opinione pubblica come i difensori della nazione ebbero mano libera nel fronteggiare gli scioperanti. Nell’anno del centenario della marcia su Roma prosegue la rubrica “Cos’era il fascismo”
TRENTO. A fronte di un illegalismo fascista dilagante, tutt’altro che frenato – se non addirittura sostenuto – dalle autorità, il 31 luglio 1922 l’Alleanza del Lavoro, coalizione di sindacati delle sinistre, proclamava lo sciopero indeterminato. I lavoratori avrebbero incrociato le braccia fino a quando lo Stato si fosse deciso a opporsi fermamente alle capillari e impunite violenze delle camicie nere.
L’atmosfera politica nel Paese era intanto giunta a un punto d’ebollizione. Il presidente del Consiglio Luigi Facta, incapace di porre argine alla violenza, era stato costretto qualche settimana prima a rassegnare le dimissioni; le esplorazioni effettuate, nondimeno, avevano convinto il re a affidare nuovamente il compito di formare un governo allo stesso liberale piemontese. L’1 agosto, a un giorno dalla proclamazione dello sciopero legalitario, il nuovo esecutivo veniva costituito riunendo liberali, popolari, democratico-sociali, socialisti riformisti e radicali.
La reazione fascista alla proclamazione dello sciopero fu duplice: mentre sui giornali il Pnf presentava le squadre d’azione come i difensori della nazione, alimentando nell’opinione pubblica borghese lo spettro della rivoluzione, sul terreno gli stessi squadristi scatenavano la repressione. Dopo Cremona, Viterbo, Novara, Rimini, Ravenna, Andria, cadute in luglio sotto i colpi dello squadrismo (QUI l’articolo), la stroncatura della serrata diede il pretesto ai fascisti per altre conquiste dei centri urbani.
Già dal primo giorno di sciopero, d’altronde, l’azione di contrasto orchestrata dal Pnf cominciò a ottenere i primi frutti; in diversi settori, su tutti il pubblico, i fascisti riuscivano a ovviare alle assenze grazie all’afflusso di lavoratori sostituti volontari. Le mobilitazioni operaie venivano sfruttate dalle squadre per dare avvio agli assalti delle sedi politiche e sindacali, dal Pavese alla Toscana. A Livorno si devastarono le sedi comuniste e socialiste, a Siena e Firenze la Camera del Lavoro.
Il giorno 2, in tutto il Paese, l’offensiva squadristica saliva di livello. Oltre a colpire gli scioperanti, le camicie nere assaltarono militarmente i municipi amministrati da giunte di sinistra e i luoghi di ritrovi di partiti e organizzazioni avversari, uccidendo rispettivamente 8 e 4 persone a Ancona e Livorno, tra cui alcuni consiglieri comunali. Da Vicenza a Savona, da Trieste a Imola, le squadre d’azione incendiavano sedi di partito e di giornale, ingaggiando continui scontri – spesso con vittime – con gli scioperanti. Ai fascisti rimasti sul terreno seguiva il solito canovaccio della spedizione ritorsiva.
Scrive lo storico Mimmo Franzinelli in Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922: “A fronte del massiccio inquadramento di camicie nere in ranghi di centinaia e di migliaia di uomini organizzati militarmente e sottoposti a una rigida gerarchia, gli antifascisti apparivano sbandati e del tutto inadeguati alle difficili esigenze del momento”. Nondimeno, spiega ancora Franzinelli, la resistenza non mancò, anche se non sempre efficace: “Nei centri in cui era ancora presente un forte nucleo di militanti alcuni dirigenti tentarono di contrapporre agli aggressori un sistema difensivo ben congegnato, ma ne furono impediti dalla mentalità individualista serpeggiante nelle loro file”.
Questo accadde, ad esempio, a Folì, ma non a Parma, dove una resistenza popolare guidata dagli Arditi del popolo di Guido Picelli riuscì addirittura a costringere i fascisti alla ritirata (QUI l’articolo). Nel centro emiliano tutto cominciò il giorno 4, quando 10mila camicie nere agli ordini di Italo Balbo, dopo l’occupazione di una parte di città, lasciata in preda a scorribande contro giornali e circoli di sinistra, davano avvio all’assedio del quartiere popolare dell’Oltretorrente. Tale assedio durò più di 48 ore, concludendosi però con un nulla di fatto: il giorno 6, infatti, Balbo di concerto con il generale dell’esercito Enrico Lodomez decideva la smobilitazione fascista, sancendo di fatto la sconfitta dello squadrismo.
Lo sciopero legalitario, di contrasto, non si risolse altrettanto positivamente per il movimento dei lavoratori. Il giorno 3, infatti, l’Alleanza del lavoro revocava già l’agitazione, scatenando feroci polemiche fra le forze politiche di sinistra. Le camicie nere, da parte loro, non smisero affatto di proseguire nelle loro azioni eversive, espugnando numerosi altri municipi ed estromettendone le giunta a loro avverse. Ciò avvenne, ad esempio, a Milano, con l’occupazione di palazzo Marino e la proclamazione della vittoria fascista dal balcone di Gabriele D’Annunzio. Tutta la città, intanto, era attraversata da violenze nei confronti degli scioperanti e delle organizzazioni di sinistra.
A Livorno, lo stesso 3 agosto, dopo sanguinosi scontri, 8 plotoni di squadristi agli ordini del ras Dino Perrone Compagni, schierati di fronte al municipio, intimavano armi in spalla alla giunta comunale di dimettersi. Anche a Pistoia, Varese e Pesaro i fascisti ottenevano la caduta delle amministrazioni al governo grazie all’occupazione degli edifici municipali. Da Alessandria a Bari, invece, le camicie nere assaltavano brutalmente le Camere del lavoro, dandole alle fiamme.
La sonante stroncatura dello sciopero provocava intanto il giubilo di Mussolini, che già il 2 agosto, sulle pagine de Il Popolo d’Italia, irrideva gli avversari con la sua solita prosa altisonante: “Proletari, lo ‘spettacolo’ è per voi ed è tutto ‘vostro’. Tutto! Godetevelo”. Il giorno 4, alle giunte dimissionarie si aggiungevano quelle socialiste di Alessandria, Firenze, Gallarate, Savona, Voghera, raggiunte nelle giornate a venire da Bologna, Verona, Vigevano, Genova.
A celebrare la presa di Milano, lo stesso 4 agosto 3 colonne di fascisti, appoggiate da autoblindo e armate di bombe, assaltavano nuovamente – per la terza volta in quattro anni – la sede dell’Avanti!. A Palazzo Marino, sede del Comune, si insediava intanto un commissario prefettizio. Tutta la penisola, intanto, veniva scossa da scontri e spedizioni che lasciavano sul terreno decine e decine di uomini, “sovversivi” e squadristi, immediatamente vendicati dalle feroci rappresaglie.
Il giorno 7, piegati gli scioperi in molte città, le federazioni provinciali del Pnf ordinavano la smobilitazione. Le squadre d’azione, richiamate nei ranghi, "concludevano" però "il lavoro" laddove ancora v’erano agitazioni o avversari da abbattere. A Bari, il ras Caradonna intimava addirittura all’esercito, minacciando azioni militari delle camicie nere locali, di intervenire nella città vecchia, dove s’erano arroccati i socialisti. Un battaglione con autoblindo e mitragliatrici faceva così ingresso nel centro del capoluogo pugliese, mentre la torpediniera Orione lo puntava coi cannoni. I soldati, a quel punto, arrestarono tutti i dirigenti baresi dell’Alleanza del lavoro.