“Viva il fascismo, viva l’Italia!”: controllo, repressione e propaganda, quando il regime plasmò gli italiani
Fra gli anni ’20 e ’30, il fascismo, smantellato il regime liberale, si avviò verso la costruzione del totalitarismo. La società veniva organizzata, mobilitata e plasmata attraverso il controllo e la propaganda. Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”
TRENTO. Aperta ufficialmente “l’Era fascista” (QUI l’articolo), tra anni ’20 e ’30 l’Italia di Benito Mussolini andava formandosi. Eliminate le libertà democratiche, stabilito il controllo sulle istituzioni, il regime fascista s’avviava verso la costruzione di uno Stato totalitario cercando di controllare e mobilitare tutta la società. Raggiunta la tanto attesa stabilità dopo anni turbolenti, la dittatura fascista poté contare su un sempre maggiore consenso, in Italia come all’estero.
Corollario necessario alla costruzione di “un’Italia nuova” – e di conseguenza di un “italiano nuovo” – fu senza dubbio la repressione delle opposizioni. Creato un apparato poliziesco efficace e tentacolare, capace di raggiungere anche i più accaniti antifascisti fuoriusciti all’estero, il fascismo si dotò inoltre di istituzioni e misure di controllo e disciplinamento sociale tali da paralizzare ogni tipo di dissenso.
Istituito ufficialmente nel novembre 1926 il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (QUI un approfondimento) cominciò a funzionare alacremente a partire dal 1928, giudicando tutti quei reati considerati pericolosi per la sicurezza dello Stato. Tra il ’28 e il ’31, questo organo giudiziario condannò a morte per reati politici ben 9 persone. Ad “aprire le – macabre – danze” fu l’esecuzione del comunista Michele Della Maggiore, avvenuta il 18 ottobre 1928 in provincia di Pistoia. Della Maggiore era stato condannato per l’omicidio di due fascisti.
Da quell’anno, dunque, il Tribunale speciale lavorò incessantemente arrivando a inviare al confino circa 15mila italiani e italiane (fra il 1926 e il 1943) e a condannare oltre 5000 persone a un totale di 27.735 anni di prigione. L’apparato poliziesco, da parte sua, funzionò a un ritmo frenetico, schedando dal ’22 al ’43 oltre 114mila sudditi del Regno, di cui 40mila già noti alle autorità liberali (i dati sono presi da Fascismo. Storia e interpretazioni dello storico Emilio Gentile).
Simbolo del nuovo regime, una volta accantonato e reso innocuo il Parlamento, fu il Gran Consiglio del Fascismo. La sua costituzionalizzazione mise infatti una pietra tombale sulla principale istituzionale liberale, intervenendo inoltre sulla successione al trono. A dominare l’organo supremo dello Stato - e del partito – era il “duce del fascismo” Benito Mussolini, protagonista di un accentramento del potere nelle sue mani che trovò non pochi ostacoli fra l’anima più oltranzista del Pnf.
Mussolini, da parte sua, si mostrò estremamente abile a sfruttare l’ala intransigente. Blandita inizialmente con l’affidamento della segreteria del partito al suo principale rappresentante, Roberto Farinacci, la corrente legata allo squadrismo venne progressivamente emarginata. Sostituita la violenza delle squadre con il controllo totale dell’apparato repressivo, il fascismo delle origini subì una mitizzazione, cementata dal culto dei martiri. Un ponte veniva infine gettato fra gli “eroi” dello squadrismo e il “popolo di guerrieri” che il regime si propose di creare – con le note conseguenze che tutti conosciamo.
Gli anni a cavallo tra il terzo e quarto decennio del ‘900 si caratterizzarono pertanto per un consenso sempre più diffuso verso il regime. A coronare il consolidamento del fascismo concorsero certamente i Patti Lateranensi, con cui lo Stato italiano chiudeva il decennale dissidio con la Chiesa cattolica (1929). In questa fase, scrive lo storico Gentile, “Mussolini affermò definitivamente il suo potere come l’unica guida effettiva dello Stato, esercitando un ruolo indiscusso di arbitro e di mediatore fra le forze vecchie e nuove che convissero nel regime, non senza tensioni e contrasti”.
“Tuttavia, nell’opera di demolizione dello Stato liberale e di costruzione dello Stato totalitario, il fascismo non incontrò alcuna seria opposizione da parte delle istituzioni tradizionali. La monarchia, le forze economiche, la maggioranza degli intellettuali e dell’opinione pubblica borghese accettarono la demolizione del regime liberale senza proteste né rimpianti, e, considerando i cospicui vantaggi assicurati loro dal potere fascista, si adattarono a vivere nel nuovo regime che imponeva ordine e disciplina nella società e nel mondo del lavoro”.