Oltre 180 ammoniti, 11 confinati e 24 denunciati a settimana: ecco i numeri del Tribunale istituito dal fascismo per punire gli oppositori
La violenza fascista non venne attuata solamente con l’azione capillare e brutale dello squadrismo. Alla fine del 1926, infatti, nell’ambito delle leggi autoritarie varate dal Parlamento venne istituito il Tribunale speciale, attraverso cui si giudicavano i reati contro la sicurezza dello Stato. Pene detentive, condanne a morte o al confino colpirono migliaia di oppositori veri o presunti. Continua la rubrica “Cos’era il fascismo”
TRENTO. Il 25 novembre 1926, a circa un mese dal fallito attentato di Bologna contro il presidente del Consiglio Benito Mussolini (QUI l’articolo), veniva istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato. Strumento principe della repressione fascista, rappresentò l’ennesimo tassello nella costruzione di un regime autoritario, affidato ad uomini della Milizia e delle Forze armate. Il primo a guidare il nuovo organo fu infatti il generale Carlo Sanna, distintosi nella Grande Guerra e nella repressione delle agitazioni operaie durante il cosiddetto “Biennio rosso”.
Oggetto di una delle leggi fascistissime, con cui l’ordinamento liberale venne definitivamente liquidato a favore del nuovo regime fascista, il Tribunale entrò in funzione dal febbraio 1927. Soppresso il 29 luglio 1943, riprese forma sotto la Repubblica sociale, rimanendo attivo fino alla Liberazione.
Negli anni di operatività, dal ’26 al ’43, qui vi furono deferiti 15.806 antifascisti, di cui 891 donne. Furono 12.330 quelli che vennero inviati al confino, mentre 160mila furono gli ammoniti o i sottoposti a vigilanza speciale. Secondo un calcolo di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, antifascisti arrestati e confinati – tra i padri del federalismo europeo – ogni settimana il regime infliggeva a 181 sudditi del re l’ammonizione o la vigilanza, inviandone 11 al confino. Erano 24, invece, quelli che venivano denunciati al Tribunale speciale, con condanne che in un quarto dei casi andavano da 1 a 30 anni (Giovanni De Luna, Fascismo/Antifascismo. Le idee, le identità).
Per comprendere l’enormità di questi numeri, a fronte di una netta virata autoritaria, basti effettuare un paragone: tra il 1926 ed il 1943 i fascicoli a danno di uomini e donne considerati “sovversivi”, aperti dalla Divisione affari generali e riservati della polizia e depositati nel Casellario politico centrale, furono 110mila. Nell’era liberale, fra il 1896 ed il 1926, furono avviate al contrario “solamente” 40mila pratiche (De Luna).
Il più importante storico vivente del fascismo, Emilio Gentile, riporta inoltre questi numeri (Fascismo. Storia e interpretazione): fra il 1928 e il 1932 il Tribunale inflisse 9 condanne a morte per reati politici, di cui 5 a carico di nazionalisti slavi accusati di terrorismo. Le restanti (in totale furono 42 pene di morte, di cui 31 eseguite) furono effettuate dopo il 1941. Da parte sua, il Tribunale giudicò 5319 imputati fra il ’28 ed il ’43, condannandone 5155 a un totale di 27.735 anni di carcere – 7 di questi all’ergastolo.
Ma come funzionava il Tribunale speciale? Istituito con lo scopo di diffidare, ammonire o punire i responsabili di reati politici, contro lo Stato o contro il regime– anche con la condanna capitale, reintrodotta dopo la sua abolizione nel 1889 - il Tribunale speciale era formato da alti ufficiali delle forze armate e della milizia volontaria per la sicurezza nazionale, chiamati a decidere con giudizio inappellabile e sommario in base alle denunce delle polizie, tra cui quelle dell’Ovra (la polizia segreta), fiore all’occhiello del nuovo apparato coercitivo fascista.
A una Commissione istruttoria veniva affidato poi il compito di operare una scrematura fra le denunce; i reati più lievi erano così esaminati da un unico giudice, quelli più gravi da una commissione di 4 membri. Una volta conclusa, l’istruttoria – condotta con gli imputati in custodia preventiva in carcere – poteva portare all’assoluzione, al rinvio al Tribunale speciale o alla magistratura ordinaria o militare. La durata delle indagini, condotte tra abusi e torture, variava a seconda dei casi, arrivando anche ad abbracciare interi anni.
I processi, nondimeno, risultavano invece piuttosto sbrigativi. Fra la solennità e la pomposità rituale del regime, i giudici in toga o in divisa della Milizia pronunciavano nell’aula IV del Palazzo di giustizia di Roma l’inappellabile sentenza. In un clima intimidatorio, si susseguivano così l’accusa, le timide arringhe difensive ed il pronunciamento dell’eventuale (quasi sicura) condanna.
Incasellata nella trasformazione del sistema liberale in dittatura del partito unico, l’istituzione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato determinò un altro decisivo “mattone” nella costruzione del regime. Ogni ambito venne toccato e rivoluzionato dal fascismo in senso autoritario: con le leggi del 24 dicembre ’25 e del 31 gennaio ’26 “ fu affermata la supremazia del potere esecutivo e la subordinazione dei ministri e del Parlamento all’autorità del capo del governo, nominato dal re e responsabile solo verso di lui per l’indirizzo politico del governo” (Gentile).
Con la legge del 4 febbraio 1926, poi, fu riformato secondo il principio autoritario anche l’ordinamento amministrativo: a capo del Comune venne posto un podestà nominato con decreto reale e subordinato all’autorità del prefetto, i cui poteri furono ulteriormente allargati. Le libertà politiche, associative e di stampa caddero intanto sotto la mannaia del costituendo regime: il 26 novembre ’25 fu il turno della libertà di associazioni, mentre l’entrata in vigore del Testo unico di pubblica sicurezza coincise con la messa al bando di tutte le forze d’opposizione. L’unico partito ammesso era il Partito nazionale fascista (QUI un approfondimento).
L’istituzione del Tribunale non fu tuttavia l’ultimo tassello nella demolizione del sistema liberale e nella costruzione del totalitarismo italiano. Gradualmente infatti, a “colpi di legge” si assiste all’edificazione dell’architettura politico-istituzionale fascista, in cui il partito si affianca – senza particolari resistenze dei poteri tradizionali, su tutti della monarchia – alle istituzioni precedenti. Svuotato di ogni prerogativa, il Parlamento venne di fatto soppiantato dal Gran Consiglio del fascismo.
Prima vittima del Tribunale speciale fu il comunista lucchese Michele Della Maggiora, condannato a morte nell’ottobre del ’28 con l’accusa di strage. Nel caso di Tito Zaniboni, deputato socialista arrestato assieme al generale Luigi Cappello con l’accusa d’aver organizzato il fallito attentato a Mussolini del 4 novembre 1925, il Tribunale arrivò perfino ad agire retroattivamente. Ai due furono inflitti trent’anni di carcere.