Alice, dal racconto sui social a volto della campagna per la pillola Ru486: ''L'aborto non sempre è un dramma, è un diritto garantito dallo Stato''
Alice Merlo è la ragazza che ha prestato il volto alla campagna lanciata da Uaar per difendere il diritto delle donne a esercitare l'aborto farmacologico. “Non è vero che è sempre un dramma. Le ragioni possono essere tante e la scelta fatta in serenità. Gli insulti e le minacce? Chi vuole impedire l'autodeterminazione femminile lo fa sempre in forma infantile”
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TRENTO. “E' una campagna molto importante perché in Italia il numero di obiettori di coscienza è ancora troppo alto. Non è possibile che per esercitare un proprio diritto una persona debba emigrare in un'altra Regione. Non è possibile che in un Paese in cui questo diritto è garantito per legge ti vengano messi i bastoni tra le ruote”. A parlare così è Alice Merlo, la 27enne genovese che ha prestato il suo volto alla campagna “Aborto farmacologico: una conquista da difendere” di Uaar (QUI l'articolo).
Promossa dall'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti come risposta ai manifesti di ProVita, in cui la pillola RU486 viene definita veleno (QUI l'articolo), questa campagna vuole “dire basta ai paternalismi e alle stigmatizzazioni”, in un contesto nazionale dove buona parte del personale ginecologico è obiettore e quindi si rifiuta di garantire il diritto ad interrompere la gravidanza. In Italia, infatti, più del 70% dei medici è obiettore di coscienza, con un record negativo detenuto dall'Alto Adige.
Per questo Uaar ha deciso di rivolgersi a Merlo, che coraggiosamente, di fronte ai manifesti che tappezzavano la sua e tante altre città – girando per le vie sui camion vela – ha deciso di raccontare la sua esperienza sui social. “Non sono iscritta all'Uaar e il fatto che mi abbiano voluto coinvolgere lo stesso mi fa molto piacere – racconta al nostro giornale – si sono messi in contatto con me a dicembre, dopo che avevo deciso di raccontare la mia storia di aborto farmacologico. Da dicembre a gennaio è stato creato tutto, in pochissimo tempo”.
“La mia reazione di fronte a quei manifesti era stata infatti di grande rabbia – continua – non solo perché si sostenevano delle falsità, come che la RU486 è veleno e l'aborto è omicidio. Ma anche perché si era concesso uno spazio pubblico a una campagna che attacca un diritto riconosciuto dallo Stato italiano. L'amministrazione di centrodestra della mia città li ha sostenuti, in nome di una fantomatica libertà di espressione che fa falsa informazione su un farmaco legale. Da quella rabbia è nata la voglia di raccontare la mia esperienza. Perché è importante raccontare l'efficacia di questo farmaco”.
Ben diversa, invece, è stata la sua reazione alla campagna in cui ha prestato il volto. “La prima volta che ho visto i manifesti è stato a Roma, a febbraio – spiega Merlo – mi sono emozionata molto. Ho saputo poi che in alcuni luoghi, come in Abruzzo o a Milano, sono stati vandalizzati e mi hanno disegnato delle corna sulla testa, indicandomi come il diavolo. Le persone quando attaccano i diritti lo fanno in forma infantile, perché quello che vogliono fare è controllare il diritto all'autodeterminazione delle donne. E questo diritto va difeso”.
La campagna, nondimeno, è stata recepita in maniera diversa. Oltre agli insulti e alle minacce alla persona, passo ulteriore rispetto ai vandalismi sui cartelloni, Alice Merlo ha ricevuto anche molti attestati di stima, permettendo di aprire uno spazio di confronto e di condivisione. Ma al di là degli isterismi, i destinatari che più le interessano sono altri.
“Sono 3 i gruppi a cui mi sono trovata di fronte – spiega – ci sono gli odiatori. Sono meno di quelli che mi hanno dimostrato sostegno e vicinanza. Di fronte al mio voler mettere la faccia, alle mie parole e al mio impegno hanno risposto con insulti, minacce e stalkerandomi, venendo segnalati alle autorità competenti. Sono persone che sentono minacciato il proprio status quo, in cui sguazzano, e per questo diventano aggressivi. Il secondo gruppo, invece, è quello più numeroso e questo mi fa molto piacere. Sono quelli che mi hanno sostenuta, che mi danno fiducia e che hanno voluto condividere in alcuni casi la propria esperienza”.
“Creare uno spazio in cui le persone non si sentissero giudicate era il mio obiettivo – continua – vi sono infine tutte le persone a favore della legge 194 ma che vogliono spiegare che l'aborto è sempre e comunque un dramma. È la narrazione dominante, ma non è sempre vera. Ci sono ragioni diverse che portano a questa scelta, da quelle economiche a un compagno violento, e l'aborto può anche essere una scelta fatta in serenità. Una scelta che ti fa esclamare: 'Che bello vivere in uno Stato che ti garantisce questo diritto'. Questo quindi è quello che voglio dire: abortire non è necessariamente un dramma”.
Per una donna che vuole abortire, in Italia non mancano certo gli ostacoli. Sono complicazioni logistiche, stigmi sociali, tabù culturali, che rendono più difficile compiere e mettere in atto questa scelta. “In Italia è ancora molto difficile abortire, perché è altissimo il numero di medici obiettori di coscienza. Ci sono regioni in cui è quasi impossibile e diventa necessario emigrare in un'altra per poter esercitare un proprio diritto. Soprattutto l'Ivg (interruzione volontaria di gravidanza, ndr) farmacologico non è garantito ovunque. Ci sono 4 regioni, il Piemonte, l'Umbria, l'Abruzzo e le Marche, che sul tema vanno contro alle linee guida dello Stato”.
“Le difficoltà per chi vuole abortire in Italia sono quindi tante – conclude – l'Ivg è reso ad esempio possibile solo in determinati orari, di mattina. Chi lavora o studia come fa? Non vengono dati inoltre degli appuntamenti precisi e quindi una rischia di dover attendere ore per poterlo fare. Nell'ospedale San Martino di Genova, il più grande della mia città, non c'è nessuna indicazione sull'Ivg nel reparto di ginecologia. Perché è una cosa di cui non bisogna parlare, di cui nessuno ti invoglia a parlare. Il primo approccio, anche dei medici non obiettori, è di trattarti con sufficienza, perfino di insultarti”.