Dal truffatore che incassò un milione spacciandosi per un giocatore della Juve al tecnico che ringrazia la macumba e lo stregone: 365 storie nell'Antialmanacco
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Chiacchiere da bar elevate senza alcun senso del limite al rango di “lectio magistralis” pallonara. Accade nel caravanserraglio del durante e dell’infinito dopo partita. Prevalentemente televisivo, ma non solo. Vecchi e nuovi paladini del vuoto pneumatico dispensano consigli – a volte sono perfino ridicoli ordini – a chi non può sentirli mentre annaspa sulla fascia (e se potesse sentirli, sclererebbe). Loro, i calciatori, sputacchiano saliva che nemmeno un lama. Quegli altri, i commentatori, si prodigano nello sproloquio dal comodo spalto privilegiato che si frequenta muniti di cuffia e microfono: “Doveva fare questo, poteva fare quello”.
Tocca non infierire - ma sì, un po’ di bontà - sul cronista che non ha mai calzato uno scarpino. Se palleggiasse per più di un minuto abbisognerebbe dell’ossigeno. Ma che dire degli ex calciatori che arrotondano la loro seconda carriera mentre lievitano nel doppiopetto, guerreggiando troppo spesso con il vocabolario? Potrebbero almeno astenersi dal predicare quel che sul campo non sono mai riusciti a praticare.
Il calcio, oggi, va così. Un calcio, anzi tanti calcioni, alla virtù perduta del silenzio. Di quel silenzio, non solo per quel che riguarda il calcio, c’è un’urgenza vitale.
Invece no. Invece imperversa il “parolificio” delle pagelle, delle statistiche tra gambe chilometriche, seni prorompenti o zigomi mal rifatti. Un universo in crescita esponenziale di maestri di tattica che non hanno tatto. Una bolgia di tifosi peggio degli hooligans che in tv portano la cravatta.
Ci si può liberare? E se sì, come? Qualcuno potrebbe farla facile e buttarsi sulla pelota basca o sul broomball. Ma se fosse invece di prendere a pedate chi degenerando la semplicità genuina del calcio ha generato insopportabile vacuità? Se fosse di aggrapparsi a quella “storia” fatta di minuscole che messe l’una accanto all’altra fanno del calcio un fenomeno di maiuscole sociali, politiche, culturali e di costume?
Carlo Martinelli, “scripto-giornalista”, ci ha provato. Per la verità ci prova da mò con meritato successo. Martinelli si è messo alla moviola: la sua moviola è un marchIngegno artigiano che onora la parola perché non ne abusa. Che gli piaccia Mengoni de "L'essenziale"?
Martinelli se n'è così infischiato dei gol veri o fasulli, dei fuori gioco, dei falli reali e di quelli simulati. La sua personale moviola si chiama “Antialmanacco del calcio”. È fresca di stampa ed è di una rapida lettura. Una lettura che scorre veloce come il “Contropiede” con cui è battezzata la casa editrice che lo ha editato.
Ma attenzione. La moviola, il Var, rallenta un’azione per decriptarne i particolari e far scannare i pro e i contro. La macchinetta letteraria che fa godere Martinelli e chi lo legge non decripta. E’ solo un certosino, puro e appassionato esercizio di testimonianza. Di più, è il tiki-taka di un catalogatore seriale che nella cronaca sportiva – o meglio nell’anti cronaca - scova spunti sociali, sprazzi di varia umanità, segnali di un passato che può venire utile al presente.
Finalmente non c’è un calcio “da interpretare”. Ci sono – per 365 volte, giorno dopo giorno e mese dopo mese per un anno che condensa un secolo e più – soltanto fatti. Quella martinelliana è cronaca al singolare - il suo gusto per il “fuori campo” - che si fa plurale, collettiva. L’Antialmanacco parte dal calcio per ricordare “altro”. Che altro? Partite, delitti, amori e pettegolezzi: molto più di un sottotitolo.
Esempi? A iosa. I brocchi brasiliani del Genoa del 1963 che fanno ridere più di Renato Rascel (comicità involontaria in braghette corte). Gli olandesi che nel 2006 regalano ai tifosi elmetti nazisti (la scemenza è tale anche se la si colora di arancione). Schiaffino che nel 1956 regala la bicicletta al garzone derubato (uno Schiaffino all’egoismo, generosità non pelosa). Ancora. Lo studente che nel 1946 ammazza la morosa perché le trova nel portafoglio una foto con dedica di Bacigalupo, il portierone. Oppure Gene Gnocchi che nel 2007 lancia il suo vano appello: vuole giocare almeno cinque minuti in serie A, ma continuerà a nobilitare solo la serie maggiore dei comici minori.
E poi il tecnico abruzzese che allena a Quito nel 1987 e se vince ringrazia la macumba e lo stregone. Non si dimentichi poi l’ignoto Pernambuchinho, talento brasiliano, che nel 1987 ci rimise la pelle per aver difeso i travestiti in un bar. Si parteggi, volendo, anche per quel truffatore che nel 1971 incassò un milione in assegni falsi spacciandosi per un giocatore della Juve, di cui pare fosse sosia. Fa perfino commozione leggere che nel 2001 l’inno dell’Union Berlino, finalista a sorpresa della Coppa di Germania, fu gorgheggiato da Nina Hagen (la vecchia Ddr se la cantava mica male). Che ne avrà fatto il ladro degli indumenti intimi di Rosato, gran campione del Torino nel 1965, “svaligiati” dalla sua auto in sosta? C’è un che di mitico anche nella proposta che il sindaco di Cosenza fece nel 1990: date un rigore alla squadra di casa e io intitolo una strada all’arbitro.
Ecco. Sono alcune, poche, menzioni di uno sfoglio maniacale di giornali, riviste, periodici più o meno specialistici che sono stati oggetto di attenzione speciale. Carlo Martinelli vi si è dedicato da sempre in un gioco di ricerca tanto bello e inconsueto quanto rischioso (per le diottrie).
Avrà uno scopo, una missione, l’amico scrittore? Certo che ce l’ha. Vuole dimostrare che il calcio aveva un’anima e che forse potrebbe averla ancora se solo la si cercasse con umiltà e divertimento.
Naturalmente l'onesto, perfino accorato, messaggio di Martinelli si perderà come le famose domande di Bob Dylan. La normalità non va più a rete. Eppure la gioiosa fatica di Martinelli non sembra inutile. Le sue 365 "storie vere" di narrazione spuria di aggettivi, non edulcorata al mercato dei valori, valgono certo di più della valutazione anacronistica dei Ronaldo e dei Messi.
Guardando la sua Juve, quella amata Signora che Martinelli vorrebbe ancora proletaria come ai tempi di Anastasi o Furino, oggi non c’è da stare Allegri. Leggendo l’Antialmamacco sì: non è poco. Al diavolo (che non è il Milan) la classifica.