"Recitare nella serie Black Out grande emozione", l'attrice trentina Camilla Martini si racconta dal debutto con Valerio Mastandrea all'amore per Alba Rohrwacher
Dopo il successo della prima stagione, la giovane attrice trentina Camilla Martini continua la sua avventura professionale nel cast della serie di Rai 1 "Black Out 2" nei panni di Marta. "Lavorare a questa serie è stata un’esperienza professionale importante, sia per la complessità del set sia per l’emozione data dalla possibilità di recitare nella mia regione”
TRENTO. "Lavorare a questa serie è stata un’esperienza professionale importante, sia per la complessità del set sia per l’emozione data dalla possibilità di recitare nella mia regione” .
Nata nel 2002 a Trento, la giovane attrice Camilla Martini, fresca di ritorno su Rai Uno per la seconda stagione di "Black Out – mistery drama ambientato nei meravigliosi scenari trentini del Primiero e del Vanoi – nel ruolo di Marta, ha le idee chiarissime sul valore che ha avuto per lei quest'esperienza.
E partendo proprio da "Black Out", nell'intervista concessa a il Dolomiti, l'attrice si racconta a 360 gradi: dalla prima esperienza professionale "inaspettata", quando aveva appena 12 anni sul set di "La felicità è un sistema complesso", fino al percorso che la sta portando, passo dopo passo, a costruire la sua carriera artistica.
E poi tanto altro, dalla scelta di trasferirsi a Roma, fino alle sensazioni provate nell'esser stata protagonista di un cortometraggio dedicato alla tempesta Vaia "che ho vissuto in prima persona" e infine i suoi sogni futuri, con la voglia di "scoprire" il mondo del teatro, mettendomi sempre alla prova e alzando sempre più l'asticella per continuare a migliorarmi".
Camilla Martini, dopo il successo della prima stagione di "Black Out" ha fatto il bis. Ci racconta le sue sensazioni?
Inizio subito dicendo che lavorare su questo set, nella mia regione, mi ha subito entusiasmato. È stata un'esperienza positiva anche alla luce dei rapporti umani che si sono creati: nonostante il cambio di regia il lavoro è stato ottimale e abbiamo sempre avuto dei punti saldi che ci hanno garantito grande stabilità. Parlando di questa seconda stagione, che sono molto curiosa di vedere in tv, posso dire che rispetto alla prima è caratterizzata da alcune "evoluzioni": molti personaggi, tra cui il mio, Marta, registrano infatti un cambio di prospettiva e si arricchiscono di sfumature nuove rispetto alla prima stagione.
Raccogliamo subito l'assist, come è stato confrontarsi con il personaggio di Marta e come ha lavorato per riuscire ad accompagnare la sua evoluzione?
È un personaggio che inizialmente sembrava andare in una direzione ben precisa, collocato "nel mezzo" della relazione tra Lorenzo e Anita. Poi però, come detto e come accade nella realtà, avviene sempre un'evoluzione. Oltre a lavorare in modo preciso per dare significato al rapporto col personaggio di Lorenzo, un primo amore che rappresenta il simbolo di molte esperienze adolescenziali, la sfida è stata quella di dar voce a una giovane ragazza pragmatica che sceglie, come molti miei coetanei, di andare a lavorare in una struttura di montagna, entrando a far parte di una vera e propria "famiglia" della quale Lorenzo è il principale rappresentante assieme alla sorella, Petra. In questo secondo capitolo la sfida è stata ancora più stimolante dal momento che tutte le "motivazioni" che avevo individuato come sorgente delle azioni compiute dal personaggio hanno trovato una loro conferma, un senso di compiutezza, tenendo conto anche del fatto che Marta non è molto più giovane di me, e quindi la sento particolarmente vicina.
Passando dal Trentino alle Dolomiti Bellunesi, la vedremo anche in una puntata della serie "Un passo dal cielo".
Parliamo di un'esperienza nuova e diversa, perché sono protagonista solamente di una puntata. Si è trattato quindi di un set molto interessante, breve ma intenso in quanto concentrato in pochi giorni di lavoro e che ha richiesto massima preparazione. Era la prima volta che mi capitava di lavorare "in dinamica", cimentandomi anche in diverse prove fisiche, e ha rappresentato per me una nuova sfida da accogliere. Anche perché, anche se non posso svelare molto, il personaggio che interpreto è molto diverso me, ed è stato interessante e stimolante lavorare per "costruirlo".
Venendo a lei, ha debuttato da giovanissima nel film "La felicità è un sistema complesso". Ci racconta come si è avvicinata al mondo del cinema?
Questa una storia, se me lo permette, divertente. Ero una ragazzina di dodici anni con una propensione verso il mondo dell'arte, dal momento che dipingevo e danzavo, ma non avrei mai pensato di diventare un'attrice. Tutto è nato per caso, dall’incontro con Chiara Coller, casting director trentina, che stava cercando la protagonista del film di Gianni Zanasi tramite Street Casting. Le selezioni iniziali avvennero nella scuola di danza che frequentavo e poi seguirono i provini su parte. Ricordo di averli vissuti senza ansia o particolari tensioni, improvvisando come spesso capita da bambini, e da lì è iniziato tutto.
Che ricordi ha di quel primo set?
Ricordo una grandissima famiglia che mi accolse subito come una figlia, dal regista alla produttrice agli attori, e sin da subito mi sono sentita parte di un ambiente protetto. Quello che mi ha colpito è stata la grande volontà di agevolare il lavoro degli attori, basandosi sulle loro caratteristiche e sull'improvvisazione, che compenetrava la sceneggiatura, mettendo in risalto le particolarità dei singoli . Nel complesso mi sono trovata a fare la mia prima esperienza cinematografica in un set con un’atmosfera quasi "giocosa" e che riusciva a bilanciare la naturale tensione che è sempre presente quando si lavora ad un film.
E poi da quell'esperienza ha voluto continuare, puntando molto sulla formazione.
Negli anni, dopo quella prima esperienza, ho coltivato il desiderio di provare a trasformare quell'ambito in un lavoro. Finché ho studiato a Trento, mentre ero al liceo, ho frequentato un'accademia di recitazione cinematografica a Verona e qualche workshop estivo alla Scuola Paolo Grassi a Milano. Poi ho scelto, in un secondo momento, di trasferirmi a Roma dove ha sede la mia agenzia. Attualmente vivo lì dove ho recentemente concluso la scuola di recitazione cinematografica “Jenny Tamburi": un percorso di formazione importate sia per quanto riguarda l'aspetto scenico e le tecniche di recitazione, che per la possibilità che mi ha dato di interfacciarmi con il mondo del lavoro.
Nonostante il suo percorso sia stato fin da subito molto "chiaro", non ha però voluto abbandonare la sua grande passione per il disegno e la pittura.
Esattamente (sorride, ndr). Parallelamente agli studi d'ambito cinematografico ho continuato a coltivarla e mi sono iscritta all'Accademia di Belle Arti di Roma dove concluderò il percorso di studi in scenografia, un ambito che mi interessa molto.
Fino ad ora ha avuto modo di lavorare con più volti noti del panorama cinematografico e televisivo. C'è qualcuno che l'ha segnata particolarmente?
Sicuramente Hadas Yaron è stata una figura molto importante e che ho incontrato al mio debutto: parliamo di un'attrice che "si dona" completamente e che in scena ha una capacità di ascolto enorme. Mi ha insegnato l'importanza di lavorare con le emozioni e di creare degli "archi emotivi" coerenti con i personaggi che si interpretano. Poi vorrei citare Valerio Mastandrea, che è stato un vero "padre" in quel primo set: ricordo che tra una pausa e l'altra chiedeva sempre a mia mamma cosa potesse fare per rendere la mia esperienza ancora migliore. Insomma, oltre all'indiscusso valore artistico, parliamo di una persona con una grande umanità e che mi ha trasmesso l'importanza di recitare e divertirsi al tempo stesso, un aspetto fondamentale per chi fa questo lavoro.
Una curiosità, chi sono le sue figure di riferimento nel mondo del cinema?
Una su tutte: Alba Rohrwacher. Ha il "superpotere" di trasferire sempre una parte di sé, pur senza farla diventare ingombrante, in tutti i suoi personaggi e questo crea un filo conduttore che riesce sempre a renderla distinguibile, anche nei panni di personaggi diversi. Ci sono poi due attori, Elio Germano e Luca Marinelli: il primo per la sua capacità di essere un trasformista immenso che riesce sempre a inserire nei personaggi che interpreta quell’incrinatura che li avvicina al pubblico. Di Marinelli, invece, ho amato praticamente tutto ciò che ha fatto e mi colpisce la sua grande eleganza e l’armonia che trasmette anche nell’interpretare personaggi controversi, valore aggiunto di ogni sua interpretazione.
Tornando ai suoi lavori, nel 2020 è stata protagonista di un cortometraggio sulla tempesta Vaia. Cos'ha significato per lei "raccontare" un capitolo così duro della storia della sua terra?
È stato bello e impegnativo, dal momento che ho vissuto direttamente i fatti reali. La sfida più grande? Trasmettere le sensazioni che ho provato io stessa nel vedere il territorio mutato, con la volontà di comunicare quel senso di straniamento che abbiamo avvertito tutti nel vedere molti luoghi trasformati e resi irriconoscibili dalla tempesta. Abbiamo quindi raccontato un'esperienza collettiva, cercando di connettere le nostre sensazioni viscerali con quelle del pubblico. Il tutto, lo sottolineo, ha suscitato in me un grande senso di responsabilità, condiviso da tutta la troupe.
Prima di salutarla, la domanda è di rito: che direzione vorrebbe che prendesse in futuro la sua carriera?
Sono molto ambiziosa e quello che voglio è mettermi alla prova sempre, alzando l'asticella e rifuggendo qualsiasi comfort zone, sia per i personaggi che interpreterò sia per quanto riguarda i registi con cui lavorerò. Desidero migliorarmi e, glielo confido, mi piacerebbe avvicinarmi al mondo del teatro: una grandissima sfida, perché parliamo di un'arte che permette di crescere molto sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista artistico. Sarebbe, insomma, un percorso inverso rispetto a quello fatto da molti attori (sorride, ndr): tanti iniziano con il teatro e arrivano successivamente al piccolo e al grande schermo, io farei il contrario. Ma il desiderio di provare la magia del contatto diretto, e la dimensione del "qui e ora" sospesa tra il palco e la platea, è grande.