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''C'era una volta Futura'', 5 anni fa nasceva il progetto ''alternativo'' al Pd che oggi potrebbe finire annacquato proprio dentro il Pd

DAL BLOG
Di Carmine Ragozzino - 24 agosto 2023

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

Tra pochi giorni, il 29 di agosto, saranno cinque anni tondi dalla grande illusione. Nulla da celebrare. Piuttosto c’è da chiedersi perché mai ci si casca sempre. Cinque anni fa era un agosto dall’incandescenza miracolosamente politica. Oggi è solo una spossante incandescenza meteo. Allora il Muse si affollò di ottimismo (e di non poca speranza). Debuttò Futura. Si affacciava un’idea nuova di progressismo: acerba, naive ma viva di inedita e sorprendente energia.

 

Futura attizzò tanti giovani. Futura risvegliò tanti “anta” che erano diventati narcolettici non per patologia ma per scelta. O per disarmo. O per resa. Sì, nel Trentino di una sinistra sempre tragicamente uguale a sé stessa, gravemente malata di autoreferenza e di presunzione, allergica ad ogni accenno di ricambio, a troppi erano parsi una salvezza il sonno ed un distacco più stanco che critico. A nanna quell’entusiasmo che è il primo e più importante presupposto di un eventuale ritorno all’impegno. Futura? Un’occasione. La cosa inventata dal compianto Piergiorgio Cattani e interpretata in pubblico da un Paolo Ghezzi maestro nell’alternare guasconeria e irritualità politica, fu un “quasi movimento”. Fu un variegato, come l’omonimo gelato. Ma se non ci si sta attenti il gelato si scioglie prima di poterlo gustare.

 

Dentro Futura trovarono un certo equilibrio (ma precario fin dall’inizio) sentimenti, storie e pure obiettivi diversi. C’era chi credeva davvero che il progressismo ha l’obbligo di misurarsi con la parte scomoda e perfino imbarazzante di una società dove convivono forzatamente gli onesti e gli egoisti, i generosi ed i menefreghisti. Tra i tanti (davvero tanti) che s’avvicinarono a Futura per rinverdire passioni sepolte da anni c’era voglia di nuovi linguaggi, di nuovo metodo, di nuova condivisione, di nuovo protagonismo e forse anche di una dimenticata umiltà.

 

Ma dentro Futura non mancarono i furbacchioni. Ad esempio i sempreverdi (non solo Verdi). Intuirono che il movimento poteva essere l’insperato veicolo per raggiugere traguardi istituzionali altrimenti negati. Si organizzarono dentro una goliardica ma finalmente attraente disorganizzazione. In Futura, tanto per trasparenza, c’ero anche io. Una specie di socio fondatore (così almeno mi era sembrato). Ci credetti giusto il tempo di cedere al disagio di un ennesimo abbaglio. Alle elezioni provinciali del 2018 Futura andò alla grande. Due anni dopo, alle comunali di Trento e Rovereto, andò anche meglio. Probabilmente Futura non fu premiata per i programmi, né per i candidati. Vinse la sua partita elettorale perché erano più diffusi di quanto ci si potesse immaginare il bisogno di rimotivAzione nel campo democratico.

 

Poteva, doveva, essere un inizio. Incominciò la fine. Ad un movimento serve un leader: Ghezzi lo fu in modo atipico e rischiosamente umorale. Fu abile e pure divertente nello stilare pagelle in consiglio provinciale. Fu inabile al sacrificio richiesto a chi deve rafforzare un progetto collettivo appena abbozzato e pieno di insidie. Ma ad un leader serve un movimento che pratichi indipendenza dai suoi umori. Serve un qualcosa capace di radicarsi e di strutturarsi moltiplicando i luoghi aperti di confronto (e anche di scontro di idee). Così non è stato e tutto quel che porta oggi quel che rimane di Futura ad elemosinare un paio di posti nella lista Pd per le elezioni provinciali di ottobre non può certo stupire.

 

Non stupirsi, però, non significa evitare di interrogarsi. Ma come? Futura nacque anche come conseguenza (e alternativa possibile) ad un Pd avvitato su sé stesso, felicemente chiuso ad ogni azzardo, sempre in rincorsa affannata ai temi, incapace di imporre un’agenda sociale misurandone la valenza dentro un bar di paese piuttosto che in una rituale riunione di partito. È forse cambiato il Pd che Futura voleva provare a cambiare? A sentire Paolo Zanella, il consigliere provinciale il cui subentro a Ghezzi è la più triste e contradditoria delle barzellette, basta la garanzia di Schlein. Basta un “ritorno a sinistra” che fino ad oggi campa di enfasi, come se una dichiarazione di intenti fosse di per sé un fatto. Prima di cercare una giustificazione ad una opzione che è nulla più che un tentativo di sopravvivenza nominale (altro che sostanza) Futura dovrebbe ragionare a voce alta sulla sua stramba storia.

 

Ghezzi che se ne va perché la causa viene dopo la sua noia per un ruolo istituzionale vissuto da alieno. Zanella che deve lasciare il Comune (da assessore quale era avrebbe dovuto occuparsi della groviera ferroviaria, il bypass, e forse lo avrebbe fatto con meno inchini e certezze del sindaco e del successore Facchin) e trasferirsi in Provincia. Era davvero una scelta obbligata? Sì, ma in una logica piuttosto perversa: se non ci fosse andato lui sarebbe toccato a Remo Andreolli, carriera nel Pci fino alla segreteria e ad un assessorato in Provincia ma convinto dall’idea di Futura a rimettersi in gioco dopo anni come un Cincinnato della valle del Chiese. Ma i voti (tanti) raccolti da Andreolli (e dietro di lui da Chiara Serbini) non erano “adatti” alla Provincia? E allora perché candidarli? Rispetto a questa questione nessuno ha mai spiegato. E non è bello.

 

Grazie ad un sindaco che spesso si fa guidare dal cinismo appena un po’ vendicativo, Futura perse per “punizione” l’assessorato in Comune. Perse un ruolo di sostanza ma anche di prospettiva e crescita se svolto bene. Lo perse quando in città Futura contava (non solo elettoralmente) tanto. Politicamente la scelta del sindaco fu uno scempio. Paradossalmente, Futura quel ruolo potrebbe ritrovarlo (rimpasto annunciato da Ianeselli) dopo le elezioni provinciali di ottobre. Elezioni che al netto dei miracoli ne testimonieranno un’inconsistenza numerica sia che arrabatti una lista (improbabile) sia che trovi ospitalità nel Pd. Se poi nel Pd vincesse la linea Ferrari/Tonini, favorevoli all’ingresso in lista di Zanella (e Merighi?) contro una maggioranza che non ne vuol sapere, la campagna elettorale a sinistra sarebbe kafikiana. Nel Pd ci sarà chi investirà più energie per non vedere rieletto Zanella ( “a scapito dei nostri”) che per combattere la destra.

 

Comunque vada, lo si dice davvero senza ipocrisia, per Zanella dispiace. Da consigliere provinciale ha lavorato come pochi, puntualmente presente (sul pezzo) nonostante la frustrazione dell’opposizione, infaticabile nel denunciare le disgrazie di una destra probabilmente destinata a replicare il governo dell’incapacità. Ma quanto è stato presente Zanella tanto è stata introvabile Futura, smarrita anche nell’intellettualismo di qualche suo rappresentante. Se ritroveremo Futura in una lista altrui non sarà per sintonia e lavoro comune ma per disperazione. Non è detto che il capitolo vada per forza chiuso ma una supplica sia concessa. Futura almeno non parli più di “percorso” e di ritrovate sintonie a sinistra. Una scorciatoia resta una scorciatoia, comunque la si chiami. In politica una scorciatoia non è detto che faccia arrivare prima.

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