''Arte in bottega'', un'idea bellissima ma si può fare di più? Dai negozi non tutti aperti agli orari che andrebbero allungati piccole proposte per migliorare tutti insieme
Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino
Dubbio amletico (con tante scuse a Shakespeare). Come si fa a scindere la bontà di una proposta più che condivisibile dalla sua più che migliorabile realizzazione? Come si fa a spiegare a qualche amministratore che perplessità non significa demolizione? Boh. Proviamo a lasciare in pace Amleto, evitiamo qualsiasi drammatizzazione e corriamo il rischio dell’iscrizione d’ufficio (pubblico) all’elenco dei “mai contenti”. Si sa che per evitare di interrogarsi basta affibbiare un’etichetta. Diciamola tutta e diciamolo subito: dell’idea di trasformare Trento in palcoscenico c’è da essere soddisfatti. Di più, bisogna far di tutto per contribuire al successo dell’iniziativa. A volte lo si può fare anche con qualche critica.
Per avere il successo che lo sforzo organizzativo, ideale e soprattutto finanziario merita, non è il caso di accontentarsi di un’intuizione indubbiamente valida. Si parla di Trento Aperta, nella sua variante più originale che il Comune ha battezzato con il nome - programma di “Arte in bottega”. Venerdì e sabato scorsi “Arte in bottega” ha debuttato per i primi due dei quattro giorni calendarizzati. Venerdì e sabato prossimi si replicherà. “Arte in bottega” vorrebbe sintetizzare l’incontro tra cultura e commercio, entrambi comparti che hanno sofferto, (e non poco), la maledetta annata pandemica. L’amministrazione Ianeselli ha deciso che la “ripartenza” può e deve far rima con socialità. L’arte è uno strumento di socialità – (il più immediato e coinvolgente) - ma può e deve diventare anche un mezzo concreto di “sostegno”. Un sostegno anche finanziario ad artisti che hanno sofferto uno stop eterno, bisognosi di compenso ma ancor più di spazi ritrovati. Ma anche il sostegno alla piccola economia di una città grazie all’indotto della manifestazione. Di qui l’abbinamento che nelle intenzioni dà un senso innovativo ad “Arte in bottega”. E cioè un doppio bando, il primo per artisti e il secondo per negozi, bar, ristoranti eccetera.
Abbinando gli uni – (ottanta, dicasi ottanta, realtà tra le 130 desiderose di dare spettacolo) e gli altri, (un po' meno ma comunque tanti), il gioco poteva sembrare fatto. Un gran bel gioco di animazione per una volta atipica di una città. Venti protagonisti per ogni giornata di “Arte in bottega”, chiamati a proporre ciascuno tre esibizioni nei luoghi assegnati dal Centro Musica di Trento che deve aver sudato più delle sette camicie classiche per costruire la mappa –palcoscenico. Sulla carta tutto bene e anche di più. Nel pacchetto c’è tutto quel che ci si aspetta debba esserci: la varietà e l’equilibrio tra musiche, danza, teatro e qualche utile tentativo di contaminazione tra diverse forme di espressività. Ma se è vero che non sempre “carta canta” è altrettanto utile sottolineare le discrepanze tra carta e realtà.
La prima contraddizione condanna il nome della manifestazione ad uno stridore tanto fastidioso quanto incomprensibile. Se chiami un evento “Arte in bottega” ti aspetti come minimo che le botteghe siano aperte. Invece no. Molto prima del calar della sera che in estate è ritardato le botteghe hanno abbassato saracinesche e in qualche caso anche le luci. L’arte sarà pure attrattiva ma non sia mai che metta in discussione gli orari canonici. Prima occasione persa, dunque. Citando Zucchero si potrebbe chiedersi “per colpa di chi?”. Essendo casualmente zuccherosi proviamo ad immaginare colpe condivise tra chi non ha capito la portata potenziale della manifestazione e chi non si deve essere dannato più di tanto per farla capire, a partire forse dalle associazioni di categoria.
Seconda contraddizione: gli orari. L’estate del ritorno dai laghi e dalla montagna, l’estate della città, non può essere che “fuori orario”. Chi affolla – ed erano davvero affollati sia venerdì che sabato – ristoranti e bar difficilmente lascia il desco e lo spritz prima di “una certa”. Le esibizioni di “Arte in bottega” erano programmate dal pomeriggio fino alle 22. Più o meno, dunque, all’ora dell’amaro per chi se ne stava sereno e socializzante al tavolo di un ristorante. Qualcosa da rivedere ci sarà? Se si investe – giustamente e coraggiosamente – in un’idea di “movida” artistica sarebbe intelligente crederci fino in fondo. Anche perché una movida dettata dalle arti di strada o di plateatico può finalmente offrire un’alternativa di vero dialogo tra soggetti inconciliabili. Pare ovvio, insomma, non spaventarsi del prolungamento di orario forti del fatto che l’aggregazione non ha l’alcol ma la cultura come collante, non il vociare ma l’ascoltare, non il rito ma la scoperta di un diverso stare assieme.
Terza contraddizione: la mappa. L’impatto positivo di un happening multiculturale dipende dalla sua facilità di fruizione. Decentrare troppo le esibizioni in un centro città che è piccolo sì ma non mignon non è parsa un’opzione felice. La forza di manifestazioni che mettono in gioco tanta arte – e tante belle differenze - sta nella geografia dell’itinerario suggerito al pubblico. Che deve per forza essere una geografia fatta di vicinanza, sequenzialità oltre che del massimo di contemporaneità possibile tra un esibizione e l’altra. Se un gruppo si esibisce – per altro alla grande – in piazza Battisti, un altro sta in San Martino, un altro ancora in cima a via Marchetti o in Santa Maria il singolo evento può anche funzionare ma l’impatto, l’insieme, latita.
Un progetto che poteva fare bingo si ferma a qualche numero di casuale visione. Un peccato ed un depotenziamento dell’evento. Nel cuore del centro – il giro al Sass ad esempio – è prevalso il vuoto artistico nonostante il pieno, pienissimo, di commensali ignari di un possibile dopocena spettacolare. Mettici – di nuovo – le botteghe chiuse. Mettici, ancora, una promozione di “Arte in bottega” volonterosa ma piuttosto carente ed il gioco – purtroppo – non è fatto. I permalosi si tranquillizzino. Nessuno vuole mettere in croce il sindaco, l’assessora Bozzarelli, i suoi uffici che si sono caricati di un’impresa improba o il Centro Musica. Ma se la pubblicità è generalmente l’anima del commercio lo è ancora di più quando si commercia la cultura anche al fine di aiutare il commercio.
“Ma come – ci diranno – se ci hanno appena magnificati articoli su Repubblica on line e sul Sole 24 ore?”. Vero, hanno magnificato un’intenzione, (cosa che facciamo anche noi), ma certo non hanno fatto cronaca di quel che si è visto venerdì e sabato. Anzi, che in molti purtroppo non hanno visto pur affollando la città. Ma per “altri scopi” aggregativi. Venerdì e sabato prossimi ci sarà il bis. Con tanti altri protagonisti, in altri luoghi rispetto alla prima puntata di “Arte in bottega”. L’impianto non potrà cambiare ma si spera – lo speriamo davvero – che un pubblico numeroso e itinerante premi la creatività degli artisti coinvolti e l’occasione che il Comune ha garantito anche economicamente ai protagonisti. Si sarà intuito che l’idea piace. Si sarà intuito che piace al punto da immaginarla come “prima puntata”, primo esperimento, di un percorso e non come una “una tantum”.
Proprio per questo “Arte in bottega” andrà – semmai – riassettata. Quei 130 aspiranti ad “Arte in bottega” sono una risorsa. Per altro destinata a crescere. Il Comune potrebbe - ad esempio – farsi promotore di una lista dinamica e in continuo aggiornamento di competenze artistiche professionali e non. Un catalogo di curriculum, file, video, costi, eccetera. Potrebbe metterla a disposizione di bar, ristoranti, negozi. Il Comune potrebbe diventare un trasparente facilitatore – (sburocratizzando, tanti per incominciare) - del rapporto tra chi fa arte e chi vuole offrirla al suo pubblico per attrarlo alla sua attività. L’animAzione verrà probabilmente da sé, forse adeguandosi meglio ai luoghi, ai contesti, alle regole anti eccesso ma anche a quelle di una città che vuole essere universitaria e turistica ma non può esserlo solo quando ci sono affitti da tirare e conti d’albergo da pagare.