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Storia

Dopo una valanga era rimasto sepolto nella neve per oltre 23 ore. Estratto vivo, il modo in cui è stato salvato fa scuola: "Un caso spettacolare"

Un 53enne era rimasto sepolto nella neve per oltre 23 ore, ma era stato trovato incredibilmente vivo in condizioni gravissime con una temperatura corporea di 23 gradi e un congelamento alla mano. Il modo in cui è stato curato fa scuola, il caso gestito dall'Azienda sanitaria dell'Alto Adige e da Eurac Research è stato pubblicato su una rivista scientifica 

di
Luca Andreazza
21 marzo | 13:30
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

TRENTO. Era rimasto sepolto sotto la neve per oltre 23 ore dopo essere stato travolto da una valanga nella zona dell’Alpe di Fanes in val Badia ma era stato trovato dai soccorritori, incredibilmente, ancora vivo. Si era salvato fino a quel momento per il cosiddetto "effetto igloo". In condizioni gravissime con una temperatura interna di 23 gradi e un congelamento a una mano. Era stato trasferito d'urgenza all'ospedale di Bolzano per il ricovero in terapia intensiva.

 

Le azioni, coraggiose, dell'equipe medica gli hanno salvato poi la vita, ma anche la mano. Un intervento che ha stabilito nuovi standard per il trattamento delle vittime di valanga con congelamento. E' stata tra le più lunghe sepolture con sopravvissuti in buone condizioni mai documentata. Un caso estremo che fa scuola. Il caso è stato analizzato dall’équipe medica curante del servizio di ambulanza altoatesino assieme all’Istituto per la medicina d’emergenza in montagna di Eurac Research per quanto riguarda la parte scientifica. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scandinavian Journal of Trauma, Resuscitation and Emergency Medicine (Qui pubblicazione scientifica).

 

Il fatto è avvenuto nel gennaio 2023 sulle Alpi altoatesine nella zona dell'Alpe di Fanes in val Badia. In serata la famiglia aveva denunciato la scomparsa del 53enne che non era tornato da un’uscita di scialpinismo sulle Dolomiti. Il soccorso alpino ha iniziato le ricerche durante la notte, ma aveva solo degli indizi sul possibile tragitto che l’uomo scomparso poteva aver percorso. Nemmeno i voli di ricerca notturni hanno avuto successo e solo il mattino seguente quando una squadra di soccorso ha avvistato dall’elicottero un cumulo di neve con una mano che spuntava. Una volta localizzato l’escursionista è stato tratto in salvo in breve tempo.

 

La temperatura nel luogo di sepoltura, a 2.300 metri di altitudine, era di meno 8 gradi al momento del ritrovamento mentre mediamente durante la notte è stata di -15 gradi. Dopo 23 ore sepolto nella neve a circa un metro di profondità, aveva una temperatura corporea estremamente pericolosa, a 23,1 gradi. L’infortunato non era cosciente, ma il sangue circolava e respirava spontaneamente.

 

Il 53enne, una volta estratto dalla neve, è stato portato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Bolzano. Sotto la direzione del primario Marc Kaufmann, esperto nel trattamento di pazienti in ipotermia critica, sono iniziati immediatamente i lavori di riscaldamento del corpo.

 

Sono stati utilizzati due soffiatori per distribuire aria calda (fino a 40 gradi) sulla superficie corporea utilizzando il principio della convezione. Questa tecnica non invasiva è stata in grado di riscaldare il paziente di 3,5 gradi all’ora.

 

Medico d’emergenza e fondatore dell’Istituto di medicina di emergenza in montagna di Eurac ResearchHermann Brugger, ricorda un caso quasi identico: “C’era stato un incidente da valanga in Svizzera in cui un giovane era stato sepolto con una mano fuori dalla neve. Purtroppo è stato necessario rimuovere la mano a causa del congelamento che aveva subito. Anche nel caso altoatesino, la mano destra aveva subito un grave congelamento e conseguentemente era in pericolo".

 

La mano, che era stata il fattore decisivo per il ritrovamento da parte della squadra di ricerca, era a rischio. Dopo aver raggiunto una temperatura corporea interna "sicura" (oltre 30 gradi), l'équipe medica dell'unità di terapia intensiva ha iniziato a trattare il congelamento con farmaci già poche ore dopo il ricovero. “Probabilmente solo grazie al trattamento precoce dell’assideramento è stato possibile salvare la mano senza che il paziente perdesse un solo polpastrello - riassume Brugger - un grande successo".

 

Questo perché la combinazione di seppellimento da valanga e grave congelamento è rara e non si trova nella letteratura scientifica. Non ci sono quindi prove affidabili per stabilire se e come i farmaci utilizzati per il congelamento funzionino in un corpo ipotermico.

 

Finora, la priorità nel trattamento è sempre stata quella di riscaldare completamente il corpo, come spiega Brugger, esperto di interventi medici in caso di valanghe. Nel caso svizzero, dopo il riscaldamento è stato necessario un po’ di tempo per trasferire il paziente in un ospedale di riferimento, dove la terapia antigelo è stata avviata in una seconda fase. Alla fine non è stato più possibile salvare la mano del paziente, “e questo è stato un monito per l’équipe medica”, dice il medico d’emergenza e fondatore dell’Istituto di medicina di emergenza in montagna di Eurac Research che ha partecipato alle indagini sull’incidente svizzero.

 

"Finora non esistono raccomandazioni precise per il trattamento dell’assideramento in pazienti gravemente ipotermici. Tuttavia, riteniamo che la terapia farmacologica per il congelamento debba essere iniziata il prima possibile e in parallelo al processo di riscaldamento vitale, perché in questi casi il rischio maggiore di danni permanenti non deriva dall'ipotermia ma dal congelamento”, afferma Kaufmann. Il fatto che la vittima della valanga altoatesina sia sopravvissuta nonostante le circostanze estreme, e abbia lamentato solo dolori alla mano che hanno richiesto un trattamento, dà ragione al team medico di Bolzano. “Potrebbe essere possibile iniziare a trattare i congelamenti nelle vittime di valanga anche prima", continua Brugger. "Non sappiamo ancora quale sia il margine di manovra". 

 

Nel caso in questione, è stata seguita una combinazione di varie raccomandazioni della letteratura e protocolli di cura, compreso un programma per i congelamenti sviluppato all’ospedale di Brunico. I punti chiave sono l’uso più precoce possibile e simultaneo di farmaci per dilatare i vasi sanguigni e per inibire la coagulazione del sangue associati a una terapia del dolore multimodale.

 

“I farmaci utilizzati per trattare i congelamenti sono sempre associati a un certo rischio di emorragia. L’ipotermia stessa influenza la coagulazione del sangue e la inibisce. Entrambi lavorano quindi nella stessa direzione e aumentano il rischio di emorragie cerebrali o d’organo”, spiega Elisabeth Gruber, specialista in terapia intensiva e anche esperta in trattamento del dolore. "In questo caso, la terapia trombolitica è stata somministrata direttamente nell’arteria brachiale. Ciò significa che non ha un effetto sistemico, ma agisce direttamente sul congelamento". Dopo dieci giorni, il paziente venne dimesso. Ci sono voluti altri dieci mesi prima che la mano destra e tutte le singole dita tornassero a funzionare pienamente.

 

Ricerca e clinica, fianco a fianco. "Il fatto che abbia avuto esito positivo, nonostante il lungo tempo di sepoltura, la temperatura corporea molto bassa e l’estremo congelamento, rende questo caso spettacolare”, afferma Brugger, sottolineando l’ottima collaborazione tra Eurac Research e Azienda sanitaria dell’Alto Adige.

 

L’Istituto per la medicina d’emergenza in montagna di Eurac Research ha istituito diversi registri – il registro dei traumi, il registro dell’ipotermia e il registro dei congelamenti – in cui vengono sistematicamente raccolti i casi di tutta la regione alpina e oltre, con i dettagli dell’incidente, del trattamento e dell’esito. Questi registri sono utilizzati a scopo di ricerca, ma sono anche accessibili a tutti coloro che si occupano di soccorso alpino.

 

“A breve parlerò di questo caso in occasione di una conferenza internazionale all’Università di Aberdeen, in Scozia, portandolo a conoscenza di esperti internazionali nel campo della medicina in questo settore”, conclude Brugger.

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