Com'è arrivato lo sci sulle Alpi italiane? Storia di Adolfo Kind e di due assi di frassino levigati, con la punta rivolta all'insù
A importare la pratica dello sci sulle Alpi italiane fu l'ingegnere Adolfo Kind: nel 1896, si fece spedire a Torino un paio di sci Jakober dalla ditta svizzera di Glarona. Tale acquisto segnerà, con l’energia e la risolutezza delle grandi invenzioni, il futuro approccio ai declivi ricoperti di neve, nonché l’avvenire socio-economico e paesaggistico delle Alpi
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
A importare la pratica dello sci sulle Alpi italiane non poteva che essere un ingegnere. In effetti, la disciplina induce a un’attrazione viscerale nei confronti di qualsivoglia meccanismo. Quello di cui si innamorò Adolfo Kind (1848-1907) era composto da due assi di frassino levigati, con applicato un attacco che, all’epoca, lasciava libero il tallone.
Kind, di origini svizzere, presto si trasferì in Italia per ragioni lavorative. In quegli anni venne a conoscenza degli “ski norvegesi”, uno strumento che nel Nord e nel centro Europa si stava diffondendo rapidamente, seguito da un alone rivoluzionario: la loro struttura longilinea sembrava superare, in quanto a praticità, le “racchette”, accelerando in modo considerevole la progressione sulla neve. Kind non seppe resistere alla curiosità e così, nel 1896, si fece spedire a Torino un paio di sci Jakober dalla ditta svizzera di Glarona. Tale acquisto segnerà, con l’energia e la risolutezza delle grandi invenzioni, il futuro approccio ai declivi ricoperti di neve, nonché l’avvenire socio-economico e paesaggistico delle Alpi.
Le prime uscite avvennero sulle colline del capoluogo piemontese. Poi, una volta assimilato il metodo, si incominciarono a testare gli sci anche in montagna.
In realtà la tecnica con cui venivano adoperati si allontanava molto da quella odierna. Soprattutto perché, anche in discesa, il tallone non veniva mai fissato sull’attacco. Per certi aspetti poteva ricordare la pratica del “fondo” se non fosse per il fatto che, al principio, l’atleta non possedeva i canonici bastoncini, ma poteva fare affidamento solo su un unico e lungo bastone: una sorta di remo grazie a cui poteva aiutarsi nell’impostazione delle “volate” (il modo con cui, in quegli anni, venivano chiamate le curve). Più che sfrecciare sulla neve, come avviene oggi su piste adeguatamente preparate, si scivolava, o meglio: si pattinava. Questo tuttavia servì a ridurre le tempistiche dilatate degli spostamenti alpinistici ottocenteschi. Per tale ragione gli sci vennero presto adocchiati dall’esercito: potevano infatti facilitare le azioni dei reparti alpini.
Fu sempre dall’entusiasmo di Adolfo Kind che nel dicembre del 1901 nacque lo “Ski Club di Torino”. Da quell'iniziativa la pratica dello sci incominciò a diffondersi a macchia d’olio.
Per uno scherzo del destino Kind morì prematuramente durante un’escursione estiva, lontano dalla neve e dagli sci. Tuttavia la miccia era accesa e l’entusiasmo per l’emergente disciplina, di lì a breve, sarebbe deflagrato, andando a interessare buona parte delle Alpi.
La passione del padre fu raccolta, tramandata e perfezionata dal figlio Paolo che, il 7 novembre 1908, fondò l' “Unione Ski Club Italiani” di cui fu il primo presidente. Paolo Kind, inoltre, si fece pioniere del salto con gli sci progettando nel 1908 e realizzando nel 1909, a Bardonecchia, il primo trampolino.
Lo sci non impiegherà molto a trasformarsi da sport elitario, praticato da pochi curiosi, a disciplina di massa per eccellenza tra quelle esercitate in montagna. Con la sua diffusione ed evoluzione le Alpi muteranno sia nell'aspetto, che da un punto di vista economico-sociale. Lo sci, infatti, rappresenterà uno dei principali elementi di attrazione turistica: sono molte le località alpine che sono nate, oppure si sono ricalibrate, attorno a questo sport.
Una conseguenza diretta è stata, ad esempio, l’abbandono di alcuni mestieri per abbracciarne di nuovi, spesso legati al mondo della ricettività. Anche la parlata non poteva rimanere uguale: “C’era la necessità di esprimersi in italiano per farsi capire anche dagli altri, dai turisti, perché parlando un dialetto tuo non tutti ti capiscono”, mi ha spiegato una signora di Asiago in una vecchia intervista. Il volto delle Alpi incominciò a cambiare anche da un punto di vista paesaggistico con la nascita delle prime slittovie - parenti lontane nella tecnologia, anche se relativamente vicine nel tempo, degli attuali skilift e seggiovie - e con l'accelerazione edilizia che ha interessato le località che hanno abbracciato tale modello turistico.
Una vera e propria rivoluzione, innescata da due assi di frassino levigati, con la punta rivolta all'insù. A volte basta così poco, e questo dà speranza in un presente che ha un estremo bisogno di fare la muta per vestire un abito più consono alle odierne caratteristiche climatiche e sociali.