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Storia

Alpinista e antifascista, Ettore Castiglioni sulle vette imparò a distinguersi come scalatore ma soprattutto come uomo

In occasione del Giorno della Memoria proponiamo un breve ricordo del grande alpinista Ettore Castiglioni (Ruffré, 28 agosto 1908 – Valmalenco, 12 marzo 1944). La sua storia, pubblicata da Hoepli con il titolo Il giorno delle Mésules, diario di un alpinista antifascista, aiuta a orientarsi tra i meandri culturali del presente

di
Pietro Lacasella
27 gennaio | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Ettore Castiglioni, abile alpinista italiano, iniziò a manifestare la sua insofferenza per il regime fascista fin da ragazzo. Celebre la riflessione suggellata tra le pagine del suo diario (pubblicato da Hoepli con il titolo Il giorno delle Mésules, diario di un alpinista antifascista) nel dicembre 1935:

 

"(…) il vero alpinista non può essere fascista, perché le due manifestazioni sono antitetiche nella loro più profonda essenza. L’alpinismo è libertà, è orgoglio ed esaltazione del proprio essere, del proprio io come individuo sovrano (…) il fascismo è ubbidienza, è disciplina, è annullamento della propria individualità nella pluralità e nella promiscuità amorfa della massa, è abdicazione della propria volontà e sottomissione alla volontà altrui".


Questa sensibilità lo spinse, nel 1943, a mettere a disposizione la sua dimestichezza con l’ambiente alpino per aiutare i perseguitati a fuggire in Svizzera. Erano viaggi difficili, che richiedevano ore e ore di cammino e di sfibranti tensioni. Tuttavia, lo sforzo e la paura venivano largamente ripagati dalla certezza di aver salvato delle vite, dalla convinzione di stare dalla parte giusta.

 

Nel 1944, venne arrestato dagli Svizzeri. Valicò il confine da solo ed è tutt’oggi sconosciuto lo scopo di quel viaggio. Per scongiurare la fuga, prima di metterlo in carcere, i gendarmi gli sequestrarono l’attrezzatura da montagna e lo rinchiusero nella stanza di un albergo. Era marzo e le montagne che lo separavano dall’Italia erano ancora sferzate dal freddo alito dell’inverno. Ciononostante Castiglioni decise di scappare, servendosi delle lenzuola per calarsi dalla finestra: ramponate le pantofole e intabarratosi con una coperta, sgattaiolò rapido verso l’alto fino a quando le temperature lo costrinsero ad accettare un inesorabile destino. Morì assiderato oltre Passo del Forno. 

 

Mi piace immaginare che, prima di chiudere gli occhi per sempre, sia riuscito a godere un ultimo tramonto tra le sue amate Alpi, sulle cui vette imparò a distinguersi come alpinista ma, soprattutto, come uomo.

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