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Storia della foresta di Arenberg: da bosco pesantemente sfruttato a icona della Parigi-Roubaix. Una lezione di resistenza e resilienza nell’Inferno del Nord

Oggi, domenica 7 Aprile, si corre la Parigi-Roubaix, l'imperdibile classica ciclistica di pietre e fango. Durante le telecronache, ogni anno, si parla della Foresta di Arenberg mentre le immagini ne esaltano la bellezza da ogni possibile angolazione. Tuttavia, nessuno racconta mai la sua antica e travagliata storia selvicolturale: una lezione di resistenza e resilienza che unisce sport ed ecologia

di
Luigi Torreggiani
07 aprile | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Oggi, domenica 7 Aprile, si corre la Parigi-Roubaix, l'imperdibile classica monumento fatta di pietre e fango, definita non a caso L'inferno del Nord.

 

Uno dei luoghi più simbolici e iconici di questa corsa è una foresta, o meglio, la Foresta del ciclismo mondiale: la più temuta, la più attesa, la più spettacolare. Tutti parlano della Foresta nel giorno della Roubaix: giornalisti e meccanici, corridori e direttori sportivi. Noi tifosi la aspettiamo ansiosi, incollati agli schermi delle TV. I ciclisti professionisti ne hanno paura, un timore reverenziale che è al tempo stesso il richiamo di un’antica sirena che non canta dagli scogli, ma da pietre e alberi. 

 

Si trova nel comune di Wallers, nel nord della Francia. Il suo nome è “Foresta di Arenberg” e il lungo rettilineo in pavé che la attraversa è tra i più duri e scenografici della stagione ciclistica. In quella lunga fila di pietre, fatta posare da Napoleone I nel diciottesimo secolo - ben 2,4 chilometri, così disumani da percorrere perché irregolari e sconnessi - spesso si decide la corsa. Per alcuni è lo slancio verso una vittoria che può valere un’intera carriera, per altri è invece un baratro, da cui è impossibile risalire.  

 

Durante le telecronache, ogni anno, si parla della Foresta di Arenberg mentre le immagini ne esaltano la bellezza da ogni possibile angolazione. Tuttavia, nessuno racconta mai la sua antica e travagliata storia selvicolturale.

 

 

Quello di Arenberg è stato in passato un bosco pesantemente sfruttato. Prima fu in buona parte disboscato per le esigenze di coltivazione della terra da parte dei monaci delle abbazie di Vicoigne e Saint-Amand, nel XII secolo; poi venne coinvolto nell'epopea mineraria della zona e intensamente ridotto per lasciare spazio alle miniere di carbone. E ancora, subì tagli indiscriminati durante entrambe le due Guerre mondiali, in particolare la Prima, quando l'esercito tedesco ne tagliò a raso ben tre quarti.

 

Eppure, oggi Arenberg è una cornice verde che si mostra maestosa e lussureggiante in mondovisione. Il bosco è un ecosistema affascinante e complesso, al tempo stesso resistente e resiliente: reagisce ai disturbi, si adatta, cambia, ed è in grado di ripartire anche dopo grandi ferite. Una silenziosa lezione, validissima per chi corre in bicicletta ma in realtà anche per tutti noi.

 

Resistenza, resilienza… ma cosa significano davvero questi termini, talvolta abusati o utilizzati a sproposito? Lo abbiamo chiesto a Giorgio Vacchiano, ricercatore forestale dell’Università degli Studi di Milano.

 

“Con resistenza, in campo forestale, si intende la quantità di disturbo che un ecosistema è in grado di assorbire prima di cambiare stato; con resilienza, invece, si intende la velocità con cui un ecosistema è in grado di tornare allo stato precedente al disturbo”, spiega Vacchiano. “Si tratta di concetti che vengono spesso considerati come sinonimi, ma che sono in realtà molto diversi. Una foresta, ad esempio, può essere un ecosistema molto elastico, quindi resiliente, nei confronti di piccoli stress continui; ma la stessa foresta può non essere affatto resistente nei confronti di un singolo disturbo, anche di poco più intenso. Per questo, per capire come sta davvero un ecosistema forestale, occorre studiare e comprendere entrambe queste caratteristiche”.

 

I corridori, per sopravvivere sulle pietre di Arenberg, dovranno assimilare questa silenziosa ma fondamentale lezione della foresta: essere resistenti - assorbire gli scossoni del pavé senza cadere a terra - ma al tempo stesso resilienti, cioè capaci, usciti dalla Foresta, di spingere come prima sui pedali.

 

 

Oggi Arenberg è una foresta demaniale gestita dell’Ufficio Nazionale delle Foreste francesi (ONF). Le specie meglio rappresentate sono il faggio, la rovere e il frassino, ma si trovano anche carpino nero, acero montano, ciliegio selvatico, ontano nero e pino silvestre, introdotti artificialmente quando il bosco appariva quasi completamente distrutto. Si tratta oggi di una foresta multifunzionale, rilevante per la conservazione della biodiversità ma al tempo stesso per la fruizione turistico-ricreativa (non solo in bicicletta! Vi si trovano anche decine di chilometri di sentieri escursionistici) e per la produzione di importanti assortimenti legnosi di grande valore.

 

Un bosco distrutto dall'Uomo - che in passato ne ha minato la resistenza - ma la cui resilienza è stata aiutata dall'Uomo stesso, che ha ricreato la foresta e che oggi la protegge, gestendola e godendo di tutti quei servizi ecosistemici che un bosco sano è in grado di erogare.

 

Una storia di ritrovata sostenibilità, che unisce sport ed ecologia. Ricordatevela, mentre osserverete i corridori sfrecciare traballanti sulle pietre più temibili dell'Inferno del Nord, tra gli alberi di Arenberg: la più iconica foresta del ciclismo mondiale.

 

 

Un'ulteriore curiosità dal canale Instagram ufficiale della Parigi-Roubaix: per preparare il tracciato in vista della gara e tagliare l'erba presente tra una pietra e l'altra viene utilizzato un sistema davvero efficiente e naturale. Eccolo svelato in un video...

 

 

 

 

 

 

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