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Cultura

"Ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame". Nelle storie dei contrabbandieri il riflesso di un'eredità montana complessa

Tra il XVIII e il XX secolo le montagne, con le vette imponenti e i sentieri celati, hanno rappresentato un rifugio per chi doveva evadere dalla sorveglianza delle autorità. In un’epoca in cui i dazi doganali gravavano pesantemente sull’economia, le comunità isolate furono spesso portate a praticare il contrabbando

di
Chiara Guglielmina
11 febbraio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

/con·trab·bàn·do/

Der. di bando ‘azione compiuta contro i bandi, cioè le leggi’

Violazione delle leggi doganali; entrata, uscita, circolazione clandestina di merci

 

Le montagne hanno sempre evocato sentimenti profondi e significati diversi: nella cultura antica, erano considerate luoghi sacri o scomodi ostacoli; con la nascita dell'alpinismo, si sono trasformate in palcoscenici di sfida e avventura. Durante il Romanticismo, la loro bellezza ha ispirato artisti e poeti, mentre oggi rappresentano un patrimonio da proteggere.

 

Tra il XVIII e il XX secolo le montagne, con le vette imponenti e i sentieri celati, hanno rappresentato un rifugio per chi doveva evadere dalla sorveglianza delle autorità. Il contrabbando alpino è un grande esempio. Uomini piegati dalla povertà, capaci di sfruttare e interpretare il proprio ambiente naturale per sopravvivere. In un’epoca in cui i dazi doganali gravavano pesantemente sull’economia, le comunità isolate, soprattutto montane, spesso furono portate a praticare il contrabbando.

A quel tempo i contrabbandieri, come i cacciatori e i cercatori di cristalli, contribuirono, grazie alla loro conoscenza, alla "conquista" delle Alpi. Inoltre, durante la Seconda Guerra Mondiale, aiutarono i partigiani nella lotta per la libertà e la giustizia. Non pochi, tra ebrei e rifugiati politici, trovarono rifugio in Svizzera affidandosi all’esperienza dei contrabbandieri.

 

 

Dal punto di vista filosofico, il contrabbando poteva essere visto anche come un simbolo di resistenza alle imposizioni esterne. Tuttavia, dalle testimonianze di chi l'aveva praticato, emergeva un tentativo disperato di sopravvivenza piuttosto che un'affermazione ideologica di individualismo. Era un infrangere le regole motivato dalla necessità, invece che dalla ricerca di autonomia. In questo contesto, alcuni avevano coniato il “contrabbando romantico,” in cui il contrabbandiere, enfatizzato dalle narrazioni locali, veniva visto come un eroe popolare, un “Robin Hood” moderno pronto a battersi per la propria gente. In montagna, il contrabbando rappresentava spesso l'unica alternativa all'emigrazione o alla fame.

 

"Ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame"
Fabrizio De André

 

Dal punto di vista antropologico, il contrabbando era una strategia delle comunità per adattarsi a gravi crisi. Questa pratica evidenziava anche le forme di repressione a cui erano soggette. Le narrazioni che circondavano i contrabbandieri spesso esaltavano gesta eroiche, rivelando coraggio, astuzia e un profondo senso di comunità. Tali racconti contribuivano a rinforzare l'identità collettiva, creando una rete sociale solida, fondamentale in un contesto di isolamento e difficoltà. La fiducia reciproca e la cooperazione erano essenziali per rafforzare i legami comunitari. Il contrabbando si opponeva alle norme legali e morali, mettendo in discussione valori etici e morali e creando un acceso dibattito sul significato di cosa fosse “giusto” e cosa “sbagliato” in situazioni tanto critiche.

 

“Quando a un uomo è negato il diritto di vivere la vita in cui crede, questi non ha altra scelta che diventare un fuorilegge”

Nelson Mandela

 

 

Mario Galletti, “l’ultimo degli Spalloni”

 

In alcuni luoghi come in Val d’Ossola, sulle Alpi Pennine, il contrabbando assumeva una dimensione più complessa. Un gruppo di giovani ragazzi, fondatori dell'iniziativa NaturaBenessereCultura si è dedicata a intervistarlo, lasciandoci in eredità un breve documentario intitolato “L'ultimo degli spalloni” di cui Mario Galletti è il protagonista. Oggi, Mario ha ottantaquattro anni e racconta di quei tempi con massima lucidità, ha occhi vivaci e baffi bianchi, ben curati. Indossa un cappello in feltro e cammina con un bastone nel bosco innevato di Bognanco, nella valle di Domodossola. I contrabbandieri, figure come lui, sono stati e continuano a essere custodi di storie e tradizioni che simboleggiano un’intima connessione con la terra. La loro conoscenza di crinali e sentieri rappresentava un emblema di autonomia e indipendenza.

 

Durante la traversata, le difficoltà della salita rappresentavano un tormento per gli spalloni, complicate dalla neve abbondante che ostacolava il cammino. Quattro lunghe ore su sentieri impervi conducevano al confine svizzero. La fatica non costituiva il problema più grave, tantomeno il pericolo maggiore. La via del ritorno, avvolta nel buio della notte, celava con maggiore facilità i finanzieri italiani pronti all’agguato. Ad ogni passo, il corpo affondava fino alle ginocchia, e le racchette da neve, all’epoca, non erano altro che semplici tavole di legno dotate di cordami rudimentali. Il fardello gravava sulle spalle esauste, sempre più affaticate. E se, superato il pericolo lungo il fianco della montagna, un sussurro inesorabile avesse portato via il tuo amico e compagno di viaggio?

 

 

L’8 maggio 1964 segnò profondamente la vita di Mario. Lui e il suo compagno, di ritorno da un “viaggio di sigarette” in Svizzera, trovarono, anziché la compensazione pattuita, una pattuglia di finanzieri italiani pronta a far fuoco. Le autorità infransero il tacito accordo che prevedeva la non violenza. Sebbene non fosse formalmente scritto, esisteva un codice morale: la Finanza non avrebbe fucilato o ferito coloro che, quando scoperti, avessero abbandonato il carico a terra. I giovani lasciarono le bricolle, ma non bastò. Mario perse il suo amico. Lassù, dove avvenne la sparatoria, decise di costruire una cappella in pietra, un luogo di memoria e riflessione per onorare il compagno e mantenere viva la storia di quel tragico giorno.

 

Mario Galletti è una voce preziosa, da fermarsi ad ascoltare. La sua testimonianza ha un valore inestimabile per l’intera cultura alpina. Donne e uomini, appartenuti a un passato tanto duro eppure, in qualche modo, tanto dolce. Sempre più rari da incontrare, le loro storie non vanno dimenticate. A 17 anni, il suo lavoro gli permetteva appena di concedersi qualche piccolo capriccio. Passava le giornate nei boschi con i forestali, aiutava nella costruzione di strade carrozzabili e sentieri di montagna, tuttavia la paga era misera. Fu lì che un giorno un compagno gli propose di effettuare un viaggio di prova nel contrabbando di sigarette. La paga per un carico era equivalente a quella di un mese di lavoro. Iniziò così la sua esperienza come “spallone”, trasportando sigarette in una bricolla, ma affrontando il pericolo di orientarsi nel buio della notte per ritrovare, ogni volta, la strada di casa.


 

Oggi, la montagna è principalmente vista come una meta di svago, frequentata da turisti attratti, perlopiù, dalla bellezza dei panorami. I sentieri un tempo percorsi da Mario e dagli altri contrabbandieri hanno subito una trasformazione di significato e di fruizione, diventando principalmente luoghi di mero diletto

 

Non bisogna tuttavia scordarsi che i rilievi italiani rimangono custodi di un’eredità complessa, con narrazioni che ci insegnano che l'interazione tra uomo e natura è dinamica. 

 

Pertanto, la montagna non dovrebbe e non deve essere solo un luogo di fuga, ma uno spazio di riflessione collettiva, simbolo della capacità, che da sempre ci appartiene, di affrontare le avversità costruendo identità. È fondamentale che il turismo si sviluppi in modo consapevole e rispettoso, preservando la storia e i valori di questi luoghi ricchi di significato.

 

“Ci chiamano paesani, ma siamo gli spaesati. I chiodi della storia, ormai arrugginiti. Abbiamo lunghe ombre, parliamo la memoria. E stare al nostro posto ormai, è l’ultima vittoria”
Davide Van De Sfross

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