Intelligenza artificiale e narrativa di viaggio: un rapporto sempre più stretto che rischia di svilire esperienze e racconti
L'editoriale / Questo potentissimo strumento può risultare uno svilente escamotage quando si tratta di sviluppare articoli di opinione oppure approfondimenti. Come nel caso dell'organizzazione dei viaggi, l’AI andrebbe a eliminare il percorso che precede la stesura di un articolo. Un percorso di raccolta (dati, riflessioni, idee, argomentazioni) e di slancio creativo. Un percorso che porta a superare la suggestione del foglio bianco. Un percorso a volte tormentato, che può causare malumori, nervosismi, incertezze, fatica, ma anche grandi soddisfazioni


di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Pochi giorni fa mi sono imbattuto in un articolo di National Geographic Italia dedicato al rapporto tra intelligenza artificiale e viaggi. Una dinamica a quanto pare in crescita. A catturare la mia attenzione è stato soprattutto il seguente passaggio:
"L’introduzione di nuovi sistemi di intelligenza artificiale (AI) accessibili, come ChatGPT, rivoluzionerà anche il mondo dei viaggi. (...) Invece di dedicare ore alla ricerca, gli utenti possono ottenere risultati simili con una breve conversazione con l’applicazione".
Con il pensiero sono tornato a più riprese su quel passaggio perché, in qualche modo, causava in me un duplice motivo di turbamento.
Il primo era legato al concetto di viaggio. Il professore che all’università mi ha accompagnato tra i sentieri della geografia – persona che alla cultura univa una sensibilità rara al giorno d’oggi – ripeteva spesso che “il viaggio inizia da casa, con una mappa stesa sul tavolo, oppure sul divano, con lo smartphone in mano e con il dito che scorre sulle mappe digitali”.
L’individuazione del percorso è una componente intrinseca del viaggio – sosteneva – e a mio parere aveva ragione: eliminando questo passaggio, delegandolo a un’entità governata dagli automatismi, si rischia di annullare quella componente creativa che rende le esperienze uniche e irripetibili. Ipotizzare il percorso, immaginare i paesaggi che si andranno ad attraversare, suggestionarsi preventivamente per le difficoltà legate a territori difficili come quelli montani e pregustare le sfumature inedite offerte dalle novità: via tutto, atrofizzando la flessibilità in un percorso robotico.
A impensierirmi ulteriormente è stato un parallelismo, nato in modo inevitabile, con il mio lavoro. Tante volte mi sono interrogato sulla crescente pervasività dell’intelligenza artificiale nel mondo della divulgazione. In questo caso, però, mi sono spesso sorpreso a non avere un’opinione definita. Penso sia infatti necessario fare delle distinzioni.
In alcune circostanze, l’AI può velocizzare noiose operazioni tecniche (non è un caso che lo strumento dilaghi negli uffici stampa), consentendo così di dedicare più tempo a lavori di approfondimento.
Sempre dal mio punto di vista, non è un problema nemmeno quando viene utilizzata a supporto di accademici o esperti magari preparatissimi nel loro ambito di competenza, ma frenati da un’insufficiente agilità divulgativa. L’intelligenza artificiale può soccorrerli in una trasposizione socialmente digeribile degli approdi scientifici.
Questo potentissimo strumento risulta – anche in questo caso secondo la mia opinione – uno svilente escamotage quando si tratta di sviluppare articoli di opinione oppure approfondimenti. Come nel caso dell'organizzazione dei viaggi, l’AI andrebbe a eliminare il percorso che precede la stesura di un articolo. Un percorso di raccolta (dati, riflessioni, idee, argomentazioni) e di slancio creativo. Un percorso che porta a superare la suggestione del foglio bianco. Un percorso a volte tormentato, che può causare malumori, nervosismi, incertezze, fatica, ma anche regalare grandi soddisfazioni.
Questa tecnologia, è inoltre necessario sottolineare, non può considerarsi una realtà super partes: si struttura infatti sulle logiche ideate dagli sviluppatori.
Se una molteplicità di opinioni originali, quando ben argomentate, irrobustisce il corpo della democrazia e la arricchisce nel linguaggio, nella struttura sintattica e nelle sfumature che caratterizzano il pensiero di ciascuno di noi, l’affidamento totale all’intelligenza artificiale rischia di condurci verso l’omologazione; di dirottare, anche in modo impercettibile, la visione embrionale che, valida o meno, contribuisce alla nascita di nuove idee, di una rinnovata creatività, del pensiero critico.