"La spedizione fantasma" del Cai Biella: riflessioni, silenzi ed emozioni di chi è tornato in cima al K2 70 anni dopo la storica prima volta
Nell'estate 2024, la spedizione del Cai Biella sul K2 è stata un successo andato ben al di là del raggiungimento della vetta: a raccontarlo a L'AltraMontagna Andrea Formagnana, presidente del Cai Biella, e Gian Luca Cavalli, capo spedizione
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di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Un’idea nata quasi per caso, sotto il cielo stellato del Perù. Un’impresa che però di casuale non ha avuto nulla, anzi: è stato un viaggio di corsi e ricorsi, di storia, alpinismo e memoria, con il K2 come meta e filo conduttore.
La spedizione del Cai Biella sulla “Montagna degli italiani” dello scorso luglio ha avuto il sapore di un ritorno alle origini ma anche di una sfida moderna, attuale e proiettata al futuro. Emozionante.
Eppure fuori dai confini biellesi, quasi nessuno ne ha parlato. Misteri della comunicazione montana. Non si fanno troppi problemi e non si pongono troppe domande, Andrea Formagnana, presidente del Cai Biella, e Gian Luca Cavalli, capo spedizione: sono loro a ripercorrere per L’AltraMontagna le tappe di questa avventura.
IL KAPPADUE
Da quando, il 31 luglio del 1954, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli issarono il tricolore sulla vetta della seconda montagna più alta del mondo grazie all'aiuto fondamentale di Walter Bonatti, il K2 è anche chiamato “La Montagna degli italiani”. La sommità della cima è a quota 8.611 metri, ma a conti fatti forse il K2 resta il primo Ottomila per difficoltà al mondo, anche sopra all’Everest.
“Di quella spedizione di 70 anni fa faceva parte anche il biellese Ugo Angelino”, racconta Andrea Formagnana. “Lui non salì in vetta ma il suo ruolo di responsabile della logistica e la sua capacità di mediazione tra il capo spedizione - Ardito Desio -, i compagni alpinisti e i portatori di etnia Hunza fu fondamentale per la buona riuscita dell’impresa”.
“Ma se la spedizione del ‘54 ebbe successo fu anche grazie al meticoloso studio dei suoi protagonisti della spedizione del 1909, quella guidata da Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi: uno studio reso possibile grazie alla straordinaria documentazione fotografica di Vittorio Sella, anche lui di Biella. Documentazione che ancora oggi conserviamo nella nostra piccola ma orgogliosa città del Piemonte. Insomma, ecco perché il K2 non è solo la montagna degli italiani, ma è anche la montagna dei biellesi. Per noi rappresenta qualcosa di più di un ‘semplice’ Ottomila”.
E così visto che ricorreva il 70esimo anniversario di quella grande impresa, si è pensato di onorare la memoria di quel momento storico proponendo una nuova spedizione.
“Pensavamo fosse importante tornare a respirare l’adrenalina di quell’impresa, la maestosità di quel pezzo di mondo e di storia. La spedizione del ’54 fu più di una salita in vetta, trasmise a tutta Biella un entusiasmo e una vitalità sorprendente: basti pensare che proprio in quegli anni qui nacque un soccorso alpino locale addirittura precedente a quello nazionale, e nacque il coro Genzianella che per Biella è ormai un’istituzione storica. Così abbiamo pensato di tornare a vivere quell’entusiasmo con la speranza, al nostro ritorno, di dare impulso per il futuro non solo del nostro Cai locale ma di tutta la comunità biellese”.
STILE ALPINO
“Una spedizione snella, in puro stile alpino”. La descrive così, nel merito e nel metodo, Andrea Formagnana.
Il gruppo è composto da Gian Luca Cavalli, Tommaso Lamantia, Donatella Barbera (indispensabile medico della spedizione), Dario Reniero e Matteo Sella, giovane discendente di Vittorio e Quintino Sella. Con loro anche Cesar Rosales, alpinista peruviano ma biellese d’adozione. "Abbiamo voluto un gruppo leggero, autonomo, senza eccessivi aiuti esterni, nel pieno rispetto dello stile alpino", racconta Gian Luca Cavalli, capo spedizione, membro del Club alpino accademico italiano e istruttore nazionale della Scuola di alpinismo “Guido Machetto” della sezione di Biella del Club Alpino.
È stato proprio Gian Luca a rimanere “folgorato”, a giugno 2023, da un pensiero nato sotto le stelle luminose dei cieli peruviani e diventato con il passare del tempo un vero e proprio tarlo: “Sì, è stata una specie di ‘epifania’ – racconta Cavalli a L'AltraMontagna -, e da quel giorno l’idea di andare sul K2, che non era inizialmente nei nostri programmi, è diventata un chiodo fisso. Al mio rientro in Italia ne ho parlato con Andrea Formagnana e abbiamo iniziato a pianificare il tutto”.
“Partire per questo tipo di spedizioni - ammette Cavalli - comporta un lavoro enorme. Organizzativo, logistico, di pianificazione: incastrare tutto con i miei impegni lavorativi è stato difficile e sfidante. E oltre a tutti gli aspetti tecnici c’è stato anche l’allenamento: per mesi, sveglia alle 5, palestra, attenzione all’alimentazione, corsa. Insomma, una volta che mi sono seduto sull’aereo in partenza verso l’Asia ho tirato un sospiro di sollievo”.
Una volta “sul campo”, nella spedizione non sono mancati imprevisti, difficoltà e cambi di programma in corsa, ma tutti vissuti con grande unità d’intenti, gioco di squadra e spirito indomito.
Al campo base, il gruppo si è diviso: Matteo Sella e Tommaso Lamantia (anche lui accademico del Cai) si sono portati sulla via normale del K2 per acclimatarsi, mentre altri si sono diretti verso il Broad Peak. A un passo dalla vetta, un doloroso problema ai denti - che già lo tormentava da giorni - ha messo ko Sella, capace però di proseguire fino a pochi metri dalla cima dove è invece riuscito ad arrivare, emozionato, Lamantia.
“Quando abbiamo sentito che Tommaso era arrivato in cima - racconta Cavalli -, ci siamo abbracciati. È stato un momento stupendo”.
La spedizione è stata arricchita da una serie innumerevole di corsi e ricorsi storici, troppi per essere menzionati: Andrea Formagnana, insieme a Pietro e a Federico Sella (rispettivamente padre e cugino di Matteo), ha raggiunto gli alpinisti al campo base. Pietro ha portato con sé il diario di Vittorio Sella del 1909 per riprodurre le fotografie scattate oltre un secolo fa. Un'occasione per testimoniare anche l’impatto impressionante del cambiamento climatico, evidente nelle immagini odierne rispetto a quelle di oltre 100 anni fa.
E un altro simbolo forte della spedizione è stato il trasporto e l’installazione al campo base di una scultura, la "Colomba della Pace", realizzata da Paolo Barichello, artista biellese e ricomposta sul posto, come segno di fratellanza tra popoli e alpinisti.
EREDITÀ, COMUNICAZIONE, FUTURO
Nonostante il valore storico, alpinistico e “sportivo” dell’impresa, la spedizione del Cai Biella ha ricevuto poca attenzione da parte dei media e delle istituzioni fuori dalla ristretta cerchia biellese.
Dove invece il Cai locale si è prodigato in una serie di incontri e di momenti celebrativi che potessero restituire al territorio la potenza di quella spedizione. “Forse il nostro essere biellesi, gente schiva, ci ha portato a non ‘gridare al mondo’ questa impresa. Ma chi c’era sa cosa abbiamo vissuto, raccontarlo è importante e necessario: lo abbiamo fatto con un film che proietteremo in una serie di serate, non solo a Biella, e con una mostra; ora abbiamo un libro ‘in cantiere’. Perché la nostra storia credo che meriti di essere ricordata”.
Le immagini raccontano quella che qualche mese fa il giornalista Alessandro Filippini, stimata firma de La Gazzetta dello Sport, grande esperto di alpinismo, ha definito ironicamente ma solo fino a un certo punto “spedizione fantasma”. "Diciamo che – dice Formagnana - senza voler fare polemica, qualcuno ha pensato che la nostra spedizione potesse oscurare quella ufficiale del Cai centrale".
Nella serata celebrativa dello scorso gennaio a Biella, chi c’era ha vissuto momenti di grande potenza emotiva: non solo i canti di montagna del Coro Genzianella e del Coro Cesare Rinaldo, coro nato nel 1954 per accogliere Angelino di ritorno dall’impresa, ma anche la “sorpresa” di un vero e proprio reperto. Una cartolina che tutti i coristi del Genzianella firmarono nell’estate del ’54 e che inviarono ad Angelino al Campo base del K2, dall’altra parte del mondo. Ebbene, tra quei coristi uno, Florido Serra, canta in quel coro ancora oggi a 70 anni di distanza. Nel rivedere la sua firma su quella cartolina, che sembra uscita da un mondo che non c’è più, si è commosso visibilmente e il pubblico lo ha applaudito con una standing ovation da brividi.
Ma c’è ancora tanto da fare, nuove imprese da vivere. “A metà marzo si parte verso l’Annapurna – racconta Cavalli -, tenteremo una via che in passato Guido Machetto e altri compagni biellesi non riuscirono a portare a termine nell’ormai lontano ’73”.
Il cerchio che si è aperto quella notte stellata in Perù, dice Cavalli, non si è ancora chiuso. “La spedizione va avanti”, usavano dire nel salutarsi i membri della spedizione Italia K2 del 1954. Salite, emozioni, vita.
In fondo la montagna non è solo una vetta da conquistare o una meta da raggiungere. È qualcosa di più, è un viaggio che continua, un legame tra passato e futuro. E per il Cai Biella, state pure tranquilli: la spedizione va avanti.