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Alpinismo

"Per arrivare alla vetta scalerò il Cervino almeno due volte in salita e una in discesa". Walter Bonatti e la Nord del Cervino, sessant'anni dopo

Sono trascorsi sessant'anni. Dopo quell’impresa abbandonò l'alpinismo estremo. Una scelta difficile - soprattutto perché l'alpinismo è un'attività adrenalinica, capace di creare dipendenza - ma necessaria per lasciarsi suggestionare da altri contesti; obbligatoria per evitare di ristagnare solo in uno degli infiniti terreni d'esplorazione: fisica e culturale

di
Pietro Lacasella
18 febbraio | 06:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Sono trascorsi sessant'anni.

 

18 febbraio 1965. Dal buio della sera non erano ancora emerse le stelle, quando Walter Bonatti iniziò ad affrontare il primo dei quattro bivacchi che lo portarono a scrivere una delle pagine più significative della storia dell’alpinismo: la scalata della parete Nord del Cervino, d'inverno, in solitaria e attraverso una nuova via.

 

Come spesso accade, le imprese più originali nascono da particolari ricorrenze. Quell'anno cadeva il centenario della prima leggendaria ascesa del Cervino, realizzata dall’alpinista inglese Edward Whymper e dai suoi compagni lungo la cresta Hörnli. Era il 14 luglio 1865. Due giorni più tardi la vetta fu raggiunta anche dal valdostano Jacque-Antoine Carrel, che tuttavia si servì di una linea differente per arrivare in cima: la cosiddetta cresta del Leone.

 

Dopo uno sfortunato tentativo, interrotto da una violentissima bufera, Bonatti si trovò senza compagni. L’abruzzese Gigi Panei e il carnico Alberto Tassotti, che l’avevano accompagnato in quel primo slancio, dovettero infatti lasciare Zermatt a causa di incombenze difficili da rimandare. Decise quindi – non senza titubanze – di affrontare da solo la Nord del Cervino. Partì in incognito, per sfuggire all’occhio vigile dei giornalisti, accorsi in gran numero a Zermatt dopo l’insuccesso del primo tentativo. Alcuni, i più maliziosi, sfruttarono la notorietà di Bonatti per costruire titoli roboanti come Il Cervino ha sconfitto Bonatti. Ad accompagnarlo nella fase di avvicinamento furono tre amici, Guido Tonella, Mario De Biasi e Daniel Pannatier. Fu proprio il figlio di quest’ultimo a regalargli il celebre orsacchiotto-portafortuna Zizì, che gli tenne compagnia, appeso allo zaino, durante l’intera salita. Quando la parete si approssimò, gli amici, salutandolo con discrezione, lo lasciarono solo con la montagna, con i suoi desideri, con le sue paure.


Per abbracciare la croce di vetta a Bonatti servirono quattro giorni e quattro gelidi bivacchi. Una progressione estenuante che raccontò più avanti, nel libro Montagne di una vita, con le seguenti parole:

 

"Procedo in parete in questo modo. Aggancio prima il sacco a un chiodo, così come si assicurerebbe un compagno di cordata, poi mi arrampico per un’intera lunghezza di corda, che è di circa quaranta metri. Al termine di questa lunghezza fisso il capo della corda a un altro chiodo, quindi mi calo fin giù al sacco, per caricarmelo sulle spalle e rimontare fino al punto raggiunto. Naturalmente faccio questo levando via via i chiodi piantati. Con questo sistema di progressione tempo e fatica non hanno misura. Per arrivare alla vetta scalerò il Cervino almeno due volte in salita e una in discesa".

 

Dopo quell’impresa (termine spesso abusato, ma in questo caso più che mai appropriato) abbandonò l'alpinismo estremo. Non aveva ancora compiuto trentacinque anni. Una scelta difficile - soprattutto perché l'alpinismo è un'attività adrenalinica, capace di creare dipendenza - ma necessaria per lasciarsi suggestionare da altri contesti; obbligatoria per evitare di ristagnare solo in uno degli infiniti terreni d'esplorazione: fisica e culturale.

 

Bonatti riuscì quindi a diventare esploratore di se stesso non solo con le numerose "solitarie" (verticali o orizzontali), ma anche con la scrittura e la fotografia: due elementi di fondamentale importanza per metabolizzare l’azione, ma anche per spingersi col pensiero dove il corpo non riesce ad arrivare. Solo così, parafrasando Clint Eastwood, gli anni passano ma il vecchio non riesce a entrare.

 

 

Immagine in apertura: Copertina di Paris Match del 13 marzo 1965, con particolare dell'orsacchiotto-portafortuna Zizì. La fotografia fu ricostruita in seguito alla salita per offrire l'idea di un bivacco sulla parete

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