Intuendo l'importanza dell'impresa, anticiparono Bonatti per sistemare la croce di vetta del Cervino abbattuta dal vento: "L’abbracciai come se avesse un’anima"
La fotografia aerea, scattata da Hermann Geiger, ritrae l'alpinista di fianco alla croce di vetta (prima testimonianza umana dopo quattro giorni di totale solitudine). A rimetterla in piedi furono tre guide del Cervino. Salirono rapidissime, precedendo l’arrivo di Bonatti, e riuscirono a completare l’operazione in un solo giorno


di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Se il 18 febbraio 1965 Walter Bonatti stava iniziando a scrivere una delle pagine più significative della storia dell’alpinismo – la scalata della parete Nord del Cervino, d'inverno, in solitaria e attraverso una nuova via (qui l’articolo) – , quattro giorni più tardi, con un abbraccio alla croce di vetta del Cervino, mise il punto conclusivo, chiudendo così un importante capitolo della sua vita, l’alpinismo estremo, per dedicarsi ad altri terreni d’esplorazione. La fotografia aerea, scattata da Hermann Geiger, che lo ritrae di fianco alla croce di vetta, prima manifestazione umana dopo quattro giorni di totale solitudine, ha un sapore d’altri tempi. Tempi in cui non esistevano i droni e gli alpinisti non potevano avvalersi degli odierni e leggeri apparecchi fotografici. Tempi in bianco e nero, in certe occasioni un po’ sfocati, ma egualmente capaci di evocare profonde suggestioni.
Quell’immagine aerea, testimonianza di un’impresa con pochi precedenti, ha fatto il giro del mondo. Come ha ricordato l’alpinista valdostano Hervé Barmasse nel suo libro Cervino, la montagna leggendaria, quella fotografia è in grado di raccontare una storia nella storia. Una vicenda di carattere minuto, generalmente esclusa dalla narrazione principale di Bonatti e il Cervino che, tuttavia, merita di essere raccontata e divulgata per le sfumature umane che custodisce. Bonatti terminò la sua scalata il 22 febbraio 1965. Durante quell’inverno – racconta Barmasse – la croce venne abbattuta da una violentissima tempesta, con venti oltre i 120 chilometri orari. Quando Bonatti iniziò l’ascesa, la croce riposava a terra, sull’esile lenzuolo di rocce e neve che si stende sulla testa del Cervino. Intuendo il valore storico dell’impresa, le guide valdostane decisero di andare a sistemare la croce. Una prima spedizione fu organizzata dalle guide di Courmayeur che, tuttavia, non riuscirono nell’intento e presto tornarono sui loro passi. A rimettere in piedi la croce furono Ferdinando Gaspard, Piero Maquignaz e Massimo Bich: tre guide del Cervino. Salirono rapidissimi, precedendo l’arrivo di Bonatti, e riuscirono a completare l’operazione in un solo giorno.

Qualcuno, scorgendo nell’iniziativa una matrice religiosa, probabilmente storcerà in naso. In questo caso, tuttavia, nel proposito delle tre guide valdostane è più facile scorgere il desiderio di offrire un po’ di calore umano a un trentaquattrenne che, da quattro giorni e da quattro notti, si trovava in balia di se stesso, dell’alta montagna e dell’inverno. E ci riuscirono. Così scrisse infatti Bonatti, in Montagne di una vita:
"Quando ho raggiunto la vetta del Cervino per me quella croce raffigurò un amico, un essere umano, l’abbracciai come se avesse un’anima".