"È in atto un cambiamento: le donne che lavorano in rifugio sono sempre più numerose, così come le guardiaparco". Marta Aidala, sorpresa letteraria dell'estate
Marta Aidala con il suo “La strangera” è stata la sorpresa all’interno della classifica dei libri più letti nell’estate e, con discrezione, ha portato una storia di decostruzione e ricostruzione di un personaggio, Beatrice, in un contesto di alta montagna. Recuperando la classica dialettica tra città e alpeggio, tra pianura e terre alte, Aidala ha saputo trovare la sua voce e la sua collocazione in tensione diretta con i narratori che più hanno indagato tale spazio di riflessione
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Marta Aidala con il suo La strangera per le cure di Guanda, è stata la vera sorpresa all’interno della classifica dei libri più letti nell’estate. E’ arrivata con discrezione portando una storia di decostruzione e ricostruzione di un personaggio, Beatrice, in un contesto di alta montagna. Recuperando la classica dialettica tra città e alpeggio, tra pianura e terre alte, Aidala ha saputo trovare la sua voce e la sua collocazione in tensione diretta con i narratori che più hanno indagato tale spazio di riflessione.
La vicenda non presenta, volutamente, picchi emotivi. Piuttosto sceglie la via del levare, raccontando la scelta di Bea di salire a lavorare in un rifugio di grande capienza (120 posti letto) dove il servizio in stagione è molto impegnativo non lasciando neppure il tempo per una sigaretta. Ma è qui che Bea si relaziona con i montanari, nelle loro accezioni più diverse e incontra Elbio, un giovane malgaro che le serve da specchio per ritrovare una nuova forma di dolcezza da tempo messa in un angolo. Volentieri Marta ha risposto a qualche domanda, con una sua particolare urgenza avvertibile anche nella scrittura asciutta ma a suo modo avvolgente.
Il tuo romanzo arriva dopo quello di Paolo Cognetti “La felicità del lupo” dove compare una figura di donna allenata alla montagna. Quanto e come ti ha ispirata questo particolare sguardo?
Cognetti l’ho sempre amato ancora prima dell’uscita de “Le otto montagne”. Mi piaceva molto anche prima, quando affrontava temi più urbani. Sono corsa a comprare “Le otto montagne” quando ho saputo che era un libro diverso. Mi sono detta, ma guarda! E poi mi ha profondamente commossa. Quindi certo, i suoi romanzi mi hanno accompagnata prima e dopo la stesura del mio libro, anche se Bea è una giovane donna molto diversa da quella immaginata da Cognetti. Poi ci sono altri libri che mi hanno aiutata a scegliere questa strada, “Il giro del miele” di Sandro Campani, per esempio e “Il Moro della Cima” di Paolo Malaguti che ho letto durante una malattia prolungata sotto la neve. Ma comunque, mentre scrivevo, ho scelto di non leggere romanzi ambientati in montagna proprio per non avere “contaminazioni”.
Verrebbe naturale pensare che nel profilo di Beatrice ci sia un elemento autobiografico ma non deve essere necessariamente così. E’ vero che hai lavorato in rifugio ma tu tieni molto nascosti i riferimenti reali alla montagna da te frequentata e al luogo dove hai fatto esperienza. Perché questa scelta?
Ho voluto proteggere le persone e i luoghi dove ho lavorato perché mi pareva che nominarli fosse un modo per appropriarsene indebitamente. La mia montagna letteraria è un collage di tutte le montagne che ho frequentato come alpinista e appassionata di arrampicata. Bea però non è Marta, è un personaggio che ho delineato perché mi potesse permettere di “guardare” la montagna con gli occhi di una cittadina. Proprio grazie a questa distanza, a questo suo essere lontana dalla logica interna dei montanari, la montagna si svela in molte piccole epifanie. Penso alle campane che risuonano prima che arrivi la mandria delle mucche guidate di Elbio. Per Bea il suono è inedito, quasi presagisce qualche cosa di imprevedibile mentre per il montanaro è la normalità. Come la sveglia alla mattina e il rumore del traffico cittadino per le orecchie di Bea.
Cosa pensi di tutto il movimento che porta a sessualizzare le montagne secondo il genere femminile?
I nomi delle montagne, in genere, sono nomi al maschile. Ma in Nepal, per esempio, alcune montagne portano un nome femminile. Penso che la montagna stia aprendo molto alle donne, sia in campo sportivo sia rispetto ai mestieri tradizionali che si stanno recuperando. Faccio riferimento naturalmente alle ricerche di Nuto Revelli. E’ vero che è un ambiente duro, non sempre adatto per ragioni biologiche, ma è anche vero che è in atto un cambiamento. Le donne che lavorano in rifugio sono sempre più numerose, anche le stesse gestore e non dimentichiamo che è in crescita anche il numero delle guardiaparco. Bea, per esempio, lascia la città perché è arrabbiata e crede che la montagna sia il luogo giusto dove trovare una casa. Troverà in Elbio, un maschio pastore, un contraltare quasi femminile. Voglio però aggiungere che Bea, fino alla fine, sarà percepita come straniera non in quanto donna ma in quanto forestiera.
In molti hanno parlato di una storia d’amore tra Elbio e Bea. Ma è davvero cosi?
Mi piace piuttosto pensare ad una storia di rispecchiamento. Per questo Bea si sente così irresistibilmente attratta da Elbio, pur nel suo essere quasi un personaggio surreale. Elbio è detentore di solitudine e dolcezza che sono poi al centro della ricerca di Bea. Tra di loro si accende una relazione di silenzi e abbandoni che cambia Bea e il suo sguardo sull’ambiente.
Come riesci a sopportare la lontananza dalla montagna in un periodo come questo così fitto di presentazioni e impegni?
Camminando, sempre. Vivo vicino a Porta Nuova a Torino ma se devo andare a Moncalieri indosso un paio di scarpe comode, le mie amate Ultraraptor e ci vado a piedi. Quelle scarpe sono una parte di me, ci vado anche al supermercato.