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Cultura

Un bel modo di scrivere una storia? "Come se dovesse essere letta. Raccontata". Intervista a Simone Torino, con 'Macaco' vincitore del Premio Calvino

Simone Torino è nato ad Aosta e ha fatto, nella vita, tanti mestieri. Tra questi anche lo scrittore. E con “Macaco” ha vinto il Premio Calvino per inedito, il premio più prestigioso e autonomo per esordienti italiani. Gli abbiamo fatto qualche domanda su come opera e soprattutto su quanto la matrice per così dire alpina, abbia agito sul suo modo di scrivere e si sia infiltrata in altre tradizioni letterarie

di
Camilla Valletti
28 luglio | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Simone Torino è nato ad Aosta e ha fatto, nella vita, tanti mestieri. Tra questi anche lo scrittore. E con “Macaco” ha vinto il Premio Calvino per inedito, il premio più prestigioso e autonomo per esordienti italiani. Gli abbiamo fatto qualche domanda su come opera e soprattutto su quanto la matrice per così dire alpina, abbia agito sul suo modo di scrivere e si sia infiltrata in altre tradizioni letterarie.

 

Nato e cresciuto in Valle d’Aosta, dove ha studiato, lavorato e dove ambienta il suo romanzo 'Macaco'. Cosa le è rimasto di questa matrice geografica?

 

Rimanere, come verbo, mi mette tristezza. Non so perché, ma lo associo agli addii. E odio gli addii. A volte mi invitano alle feste, io ad un certo punto me ne vado. Aspetto una distrazione, che so, qualcuno propone un caffè, una tisana, o vanno a fumare. Io me ne vado. Non dico niente a nessuno, vado via. Poi mando un messaggio nel gruppo whatsapp. Una faccia che sorride. Un bacino. Mi fa ridere. E ridere è meglio. Che poi non sarebbe neanche un addio. Ecco, mi sono focalizzato su 'rimasto', ho perso di vista la domanda. Posso dire, però, che 'Macaco' è ambientato in Valle d'Aosta. Il protagonista ce la racconta, la Valle, in particolare le frazioni basse di Gressoney, e più giù Marine. Racconta come se sei al bar, e ti sta dicendo cosa gli è successo ieri, a casa sua. Che poi è così. E lui abita in Valle d'Aosta. E anche io. Comunque mi sono rimaste troppe cose, di questa matrice geografica, ne ho messe alcune in questa storia. Poi, se sembra che non ho risposto alla domanda, probabile non ho, mi scuso coi lettori e chiudo col punto che segue, eccolo: .

 

I suoi personaggi si muovono in una comunità ristretta in cui cercano, nelle forme più radicali, un riscatto anche rispetto all’economia dominante. La sua esperienza personale l’ha condotta a incontrare esperienze simili o piuttosto la sua è una scelta letteraria?

 

Credo tutte e due. Certo, ho incontrato esperienze simili, e la mia esperienza personale ha influito, nello scrivere questa storia. Il lavoro che fa il protagonista, ad esempio: il bracciante agricolo. Io l'ho fatto per otto anni. Ora, anche se non me lo hai chiesto, stare a dire quanto è inventato e quanto è basato sulla mia esperienza, non saprei. In percentuale, forse sessanta quaranta. O quaranta sessanta. La scelta letteraria, invece, non so se si può parlare di scelte, perché, per quanto mi riguarda, posso avere le migliori intenzioni nello scrivere una storia di un certo tipo, con determinate scelte letterarie, ma so che prima o poi quella andrà dove vorrà, e sceglierà da sola, fregandosene delle mie esperienze e della mia volontà di scelta. Ci posso provare, a piegarla, la storia, ma più di tanto no, rischi che spacca. Diciamo che cerco sempre di tener presenti due principi: la verosimiglianza, e la coerenza. Se questa storia è verosimile e coerente, bene. Evviva. Ci sono riuscito. Ah, e se piace, anche.

 

La lingua, così personale, ha debiti anche con l’oralità montanara?

 

Sì. Ho conosciuto persone che potrebbero tranquillamente parlare col ritmo e la cadenza di Macaco. Macaco è il protagonista della storia, è lui il titolo, meglio ricordarlo. Devo essere sincero però: mi piace pensare che sia solo lui a parlare così. Che poi, a pensarci bene, siamo tutti unici. Tranne i gemelli. Scherzo, anche loro, sono. A volte non sembra, ma sono.

 

Pensa che esista una letteratura di montagna o bisogna parlare di letteratura tout court?

 

A me, se racconti una storia, e lo fai bene, qualsiasi storia sia, ti seguo fino alla fine. O almeno, è molto probabile. Anzi, quasi certo. Anzi: certo.

 

Quali modelli letterari le sono stati indispensabili?

 

Non mi va di fare un elenco di autori, ne dimenticherei sicuramente qualcuno. Ci ho anche provato, ma veniva lungo, e continuavo ad aggiungere. Mi dicevo, non posso non mettere questo, e nemmeno questa. Allora non metto nessuno. Che peccato. Poi te mi hai chiesto i modelli, io voglio dire gli autori, e non metterne neanche uno è brutto, facciamo così, piego un altro po' la domanda e dico tre libri che mi hanno, come posso dire, illuminato riguardo alla lettura. Il primo è Pippi Calzelunghe. Credo sia il primo libro letto in autonomia, e probabilmente il primo che mi ha fatto ridere fino alle lacrime, non mi era mai successo. Poi dico It, di Stephen King, facevo le medie, credo sia tutt'ora il più lungo mai letto. Forse il Don Chisciotte è più lungo, non ricordo. Vorrei dire Guerra e Pace, ma non l'ho ancora finito. Infine metto Martin Eden. Martin Eden è la storia di uno che vuole fare lo scrittore. Con tutte le sue forze. Con tutte, le sue, forze.

 

Non posso però non dire che la lettura di Paolo Nori, Gianni Celati, Ugo Cornia, Daniele Benati, Ermanno Cavazzoni, mi ha aperto un altro possibile modo di leggere, e quindi scrivere. Non so se si può dire così: una scrittura orale. Letta ad alta voce, intendo. Ecco, questo è un bel modo di scrivere una storia. Scriverla come se dovesse essere letta. Raccontata. Così ho fatto. Spero di esserci riuscito. Secondo me, sì. Alla fine un modello te l'ho detto, dai.

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