Quanti suoni non riusciamo a riconoscere o a percepire? L'analfabetismo uditivo è il riflesso di una società ancorata a immutabili sicurezze
Quante volte non riusciamo a dare a un suono una forma o un nome? Quanto volte non riusciamo ad associarlo a un insetto, a un uccello, a una chioma mossa dal vento? Ogni tanto vale la pena chiudere gli occhi e affacciarsi nelle novità (sonore, ma non solo): per lasciarsi attraversare da prospettive inedite, per provare a comprenderle e per decidere volontariamente se accettarle o scartarle
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Chiudo gli occhi per meglio viaggiare tra suoni e rumori e, in mezzo a questo prato, di fronte al rifugio dove sono sdraiato, come mi capita ogni volta che provo a lanciarmi in questo esercizio, vengo travolto da uno spaventoso analfabetismo uditivo.
Sento, sì, qualcosa, ma spesso non riesco a dargli una forma, un nome; non riesco ad associarlo a tale insetto, al tale uccello, alla tale chioma mossa dal vento.
E questi suoni sconosciuti si palesano solo ora, nella concentrazione, perché appena apro gli occhi e la concentrazione svanisce, scivolano via lasciandomi percepire solo le vibrazioni familiari.
Nella distrazione della quotidianità sento quello che conosco, il resto sfiora le mie orecchie senza riuscire a farsi catturare.
E allora, in questo silenzio apparente, in questo prato di fronte al rifugio, vengo per qualche istante attraversato dalla vertiginosa consapevolezza di riuscire a cogliere, dall'arena sociale, soltanto le riflessioni che già hanno attecchito in me; che già si sono depositate nel mio bagaglio culturale. Di conseguenza, in modo pressoché involontario, rischio di ignorare le traiettorie di pensiero che mi circondano, ma alle quali non riesco a dare una forma. Un nome.
"È proprio così - penso - che si vengono a creare le cosiddette camere d'eco": bolle sociali - oggi amplificate dagli algoritmi di internet e soprattutto dei social network - al cui interno si raccolgono modi simili di interpretare il mondo. Entrando in queste camere troviamo conforto, ci sentiamo meno soli, ma al contempo rischiamo di perdere contatto con la pluralità di idee che ci circonda.
Allora ogni tanto vale la pena chiudere gli occhi, aprire la porta della propria camera, e affacciarsi nella novità: per lasciarsi attraversare da prospettive inedite, per provare a comprenderle e per decidere volontariamente se accettarle o scartarle.